La battaglia sovranista di Marine Le Pen

Tra due mesi si svolgerà il primo turno delle elezioni presidenziali francesi, una competizione quanto mai incerta, con i sondaggi che danno in testa al primo turno la leader del Front National. Certo, i numeri vanno presi con le pinze, soprattutto dopo l’esempio delle presidenziali americane, ma l’ascesa di Marine Le Pen è oggettiva e il suo partito non è più un outsider ma una realtà concreta, in grado di governare e diventare persino punto di riferimento imprescindibile per i sovranisti.

La crisi conclamata dell’Unione Europea, la Brexit, l’elezione di Trump, i successi di Putin in Siria, stanno mettendo in ginocchio l’idea di una società unipolare, un mondo globalizzato senza confini che dietro l’aspetto rassicurante (?) di intellettuali prezzolati, multinazionali dal finto volto umano e di un buonismo nauseante nasconde in realtà un attacco senza precedenti ai diritti dei lavoratori e alle identità nazionali. Marine Le Pen ha saputo dunque intercettare molti voti tradizionalmente appannaggio della sinistra, voti di persone che non si sono sentite più rappresentate da partiti impegnati, ormai solo ed esclusivamente, nella decantazione del “sogno europeo” e nelle battaglie per i diritti civili; persone che sono state tradite ulteriormente anche dalla contestatissima riforma del lavoro, la “Loi Travail” che ovviamente ha favorito come sempre le multinazionali.

Già nel 2014, alla vigilia delle europee, la leader frontista affermò che il suo partito andava oltre la vecchia dicotomia destra-sinistra; e all’ormai vuota e antistorica paura di presunte velleità totalitariste del Front rispose: “ il pericolo fascista è una favola per bambini e per qualche intellettuale di sinistra parigino”. Gli elettori francesi (e non solo) sembrano aver colto molto bene il messaggio che destra e sinistra attualmente sono concetti che non hanno ragion d’essere e che piuttosto lo scontro debba spostarsi tra chi sostiene la globalizzazione e chi auspica il ritorno alle sovranità nazionali.

La battaglia sovranista della Le Pen poggia su due cardini: uscita dalla Nato e dall’Unione Europea. Sull’uscita dall’alleanza atlantica la posizione del Fronte è chiara: la Francia deve provvedere da sé alla propria difesa e non combattere più guerre per interessi altrui o, peggio, contro nazioni che vengono considerate potenzialmente alleate. Sull’uscita dall’Unione Europea e dall’Euro la posizione del partito è altrettanto netta, ma prevede un semestre di negoziazioni con Bruxelles e un referendum con cui i francesi avranno l’ultima parola. Interessante è anche il tema del protezionismo con l’idea di tassare le società francesi che hanno delocalizzato all’estero la produzione per poi vendere in Patria, tesi che ricorda molto quella portata avanti, con successo, in campagna elettorale da Donald Trump che con il suo slogan “compra e assumi americano” ha scandalizzato la stampa liberal.

Già, la stampa. Questa, manco a dirlo, da tempo si è scatenata nel ricordarci quanto sia populista la leader del Front National, assecondando il solito vecchio copione del mostro da sconfiggere. D’altronde è lo stesso concetto di sovranismo ad essere tacciato di eresia in certi ambienti e circoli mediatici, un vero e proprio tabù per una sinistra che ancora insiste sulle opportunità e le sfide della globalizzazione e demonizza la sovranità nazionale paventando un oscuro ritorno a un passato fatto di guerre commerciali e militari. Permane, a fronte di quello che l’apparato mediatico mondiale ci descrive come un sistema (la globalizzazione e l’europeismo) di pace, la curiosità di scoprire come mai, nel attuale, giusto e senza “nazionalismi violenti”, si continuino a bombardare civili inermi, fomentare e finanziare le sanguinose “rivoluzioni colorate” e applicare sanzioni a paesi non allineati al mantra del pensiero unico. Domanda che si porranno di certo anche gli elettori francesi, sempre più numerosi, sotto il vessillo di Marine Le Pen.

 

(di Alessandro Ametta)