Il razzismo scolastico della sinistra progressista

Guardando indietro nel tempo, possiamo notare come il diritto all’istruzione e allo studio nascevano e venivano concepiti come prettamente elitari e di classe.

Nella società contadina, che basava le fondamenta e le regole sul proletariato nel vero senso etimologico della parola, i figli erano considerati una ricchezza da impiegare nella lavorazione dei campi o nel bestiame.

Non a caso quando fu insignita la leva obbligatoria, le reticenze maggiori venivano proprio dal mondo contadino, che vedevano nel figlio (che si sarebbe allontanato per anni) delle braccia in meno nel lavoro di tutti i giorni.

In quel contesto storico e sociale l’istruzione era un miraggio, una chimera non contemplata, aliena, una cartella che si allontanava sulle spalle del figlio del signorotto locale o del padrone, uno status symbol da sventolare davanti ai servi della terra. L’insulto si formulava in base ai mestieri con meno grado di istruzione, non in base alla ricchezza. Era insulto non solo l’epiteto “ignorante”, ma anche “villico”, “bifolco”, “villano”.

L’istruzione come conquista delle masse meno abbienti fa un netto balzo in avanti durante e dopo la prima “rivoluzione industriale”, con il lento e sistematico abbandono delle campagne per le città. La rivoluzione industriale porta innovazione, tecnologia, sconvolge il concetto lavorativo standard e chi lo fa.

La famiglia diventa “ nucleare”. Diminuisce l’orario di lavoro del singolo individuo, aumentano i salari. Si sconvolge anche il ruolo della prole, i figli non vengono più concepiti unicamente come forza lavoro, ma anche come risorsa intellettuale, grazie alle conquiste migliorative nello stato sociale della classe operaia.

Viene disintegrato il tabù dell’istruzione d’èlite, la scuola pubblica garantisce l’insegnamento e la scolarizzazione a tutti. Non più figli per l’unico uso nell’agricoltura estensiva, ma anche da istruire coltivando il sogno Dickensiano dell’emancipazione grazie alla scolarizzazione. Erano arrivati i tempi di “anche l’operaio vuole il figlio dottore”.

La scuola riconosciuta come diritto universale ed individuale. L’ Università come obiettivo comune. La classe sociale viene intesa e suddivisa per reddito, non più per istruzione, anche se la classe dominante seleziona gli atenei migliori in base alla retta. Potremmo analizzare quanto questa istruzione universale abbia influito nella società occidentale nell’abbandono del lavoro manuale, ma l’analisi si protrarrebbe oltre i nostri attuali scopi.

Arrivando ai giorni nostri e ai – finora – sedici anni di crisi economica, finanziaria e occupazionale, essi  segnano il ritorno di un fantasma nella società europea ed occidentale. Che non è quello del socialismo, anzi.

Il crollo strutturale e progressivo dell’occupazione e dei salari nelle famiglie italiane e non porta a delle rinunce che sembrano legate alla società del passato. Si ritorna infatti a selezionare i figli da istruire, da mandare all’università: i dati ci parlano di addirittura uno su tre (Eurostat, 2015).

Negli ultimi dieci anni in Italia l’abbandono scolastico dopo i 16 anni è aumentato del 120%. Ed ecco, come per magia, al ritorno di “Contessa”. Il ritorno dell’istruzione universitaria come prassi di una classe benestante, una istruzione superiore da sventolare in faccia al povero “ignorante” dell’era digitalizzata.

Tragedia nella tragedia, il classismo scolastico da società latifondista e contadina oggi è diffuso tra i figli della sinistra sessantottina, ovvero una sinistra cresciuta a pane e sogni egualitari e di rivoluzione, ma che oggi assumono un comportamento degno del peggiore dei Luigi XVI. Per tastare il fenomeno basta andare sui social network più in voga e visitare le pagine più care alla sinistra “al caviale” e radical chic. (Internazionale, Left, Espresso, Repubblica, e ovviamente il paladino dei servizi igienici negli aereoporti : Saverio Tommasi) .

È in quei commenti che si consuma il nuovo classismo, una nuova forma di casta modello induista. Gli ”istruiti” all’assalto dei “non sapienti”. La gente vota in maggioranza qualcosa a “ loro” non gradita? È colpa dei “vecchi ignoranti e dei non laureati”.

Vince la Brexit in Gran Bretagna? “Non a caso ad Oxford ha vinto il Remaine e nelle città operaie il leave. Gli ignoranti non dovrebbero votare.” Non un’analisi sulle cause sociali di tali fenomeni, ma il dissenso bollato come “cafone”, “ ignorante”, “bifolco”. Aggettivi cari alla società medievale che oggi si possono ritrovare tra persone che affermano di essere “lefty e solidali”, ma che in verità sprizzano odio sociale ed intellettuale.

Un Beppe Servegnini che in prima serata afferma “non ho ancora sentito un professore di Yale esultare per Trump, ma solo operai del Michigan e contadini dello Iowa. E non a caso. E si sentono anche furbi…”. Tolgono dal cilindro epiteti come “analfabeta funzionale”, “post verità”, quasi per addolcire quelli che alla fine sono insulti classisti con cui bollare le persone più semplici e meno abbienti.

A tali signori andrebbe rimembrata una frase del deputato socialista, Alceste De Ambris: “I voti non si pesano, si contano.” Su tutto, va preso atto di un dato: il razzismo “scolastico” aumenta a pari passo con le crisi economiche, crisi economiche create dagli stessi che poi lo applicano.

La cultura e l’istruzione sono doni preziosi che le lotte sociali e di classe hanno dato a tutti. Nel diventare Elitaria, l’istruzione si trasforma nel peggiore dei razzismi, per questo oggi assistiamo, nonostante sia l’era dei “nativi digitali”, al progressivo ritorno di “Contessa”.

(di Luigi Ciancio)