Da Aleppo: “Francia sostiene il terrorismo”

Pubblichiamo la traduzione dal francese di una testimonianza molto importante di un operatore umanitario francese da Aleppo. Una lettera-appello indirizzata al Presidente François Hollande, che racconta una realtà molto diversa da quella descritta dai mass media generalisti.

Signor Presidente,
Metto in discussione i valori con i quali sono cresciuto, i valori del paese che amo, la Francia. Mi rivolgo a Lei come cittadino francese arrivato senza pregiudizi in territorio siriano, giunto ad Aleppo Ovest, ridivenuta ora Aleppo, circa un anno fa, in qualità di operatore umanitario politicamente neutrale. Ciò che mi accingo a fare è difficile, non soltanto perché sono l’unico francese ad abitare qui al momento, il che mi identifica facilmente come autore di una testimonianza controcorrente, ma anche perché esprimere a parole gli eventi a cui abbiamo assistito, eventi che travalicavano spesso i limiti stessi dell’orrore, non è un esercizio semplice.

Sono testimone di un massacro e di una situazione umanitaria catastrofica di cui noi siamo tra gli attori protagonisti e parzialmente i mandanti, a causa del nostro sostegno al terrorismo. Mi rivolgo a Lei con questo mio messaggio, così come mi rivolgo a qualunque altra persona abbia gli strumenti per prendere decisioni che facciano della pace e della popolazione civile una priorità.

Tutti i giorni ho dovuto affrontare la morte, come tutti del resto in questa città, e la missione a cui ho scelto di dedicarmi mi ha portato a visitare delle famiglie che risiedevano nei pressi di quelle che, dal principio del conflitto, vengono definite “forze di opposizione”. Personalmente, non ho potuto osservare che bandiere nere, foto in allegato, su tutte le linee del fronte, segno di riconoscimento di quei gruppi contro i quali la Francia combatte da diversi anni.

La popolazione è oggi unita, non per combattere contro il governo, bensì per combattere contro i gruppi di terroristi, quali che siano gli appellativi coniati da noi occidentali per “moderare” le loro azioni e la ragione stessa della loro esistenza. Tali bande armate si fanno chiamare Al-jaïch al-hour (Esercito Siriano Libero o ESL), Jabhat al-Nosra (anche detta Fatah al-Cham, branca di Al-Qaeda), Jaïch al-Islam, Hakarat Nour al-Din al-Zenki, Brigata Sultan Mourad, ecc. Esiste certo un’opposizione al governo, come esiste nel caso di qualunque altro governo un’opposizione più o meno pacifica, ma si tratta realmente di una sparuta minoranza. Dal principio del conflitto fino a oggi, la quasi totalità delle forze in campo appartiene a combattenti riconducibili a gruppi armati pronti a tutto.

Utilizzo il termine “terroristi” in quanto non esistono ribelli ad Aleppo – non esistono elementi che consentano di identificarli come tali. Continuare a giocare con le parole, preferendo quindi questa definizione, è un atto di irresponsabilità qui in Siria, nel momento che, da noi in Francia, tali gruppi vengono classificati come organizzazioni terroriste. I combattenti sono stati, in accordo con il governo, evacuati con i loro armamenti, e si sono “tutti” recati a Idlib, che è quasi totalmente occupata da diversi gruppi armati e dalle loro famiglie. Sventuratamente, essi sono tornati in gran numero nei pressi di Aleppo, e hanno continuato i bombardamenti contro i civili e gli attentati suicidi, qui come del resto ovunque in Siria.

Sono in grado di fornire prove concrete di tutto ciò che affermo. Da diversi mesi, mi impegno ogni giorno, compatibilmente con le mie possibilità in un quadro di conflitto, raccogliendo testimonianze della popolazione civile per iscritto o attraverso video, indipendentemente dal loro orientamento religioso o posizionamento politico, in assenza di militari o di membri delle forze governative. Pubblico poi tali testimonianze e le trasmetto a una commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite incaricata di studiare gli attacchi e i crimini della cosiddetta opposizione, cercando nello stesso tempo di mettermi in contatto con altri testimoni.

L’attenzione dell’opinione pubblica è stata focalizzata esclusivamente sui bombardamenti nelle zone in cui la minoranza è all’opposizione, la maggioranza però è jihadista; secondo la stampa, in tali zone verrebbero quotidianamente massacrati i civili. Non viene però mai specificato che che la maggioranza dei civili ad Aleppo Est non poteva fuggire in quanto trattenuta dai gruppi armati. È proprio durante le recenti operazioni concernenti i corridoi umanitari recentemente organizzati dai russi e dal governo siriano (corridoi umanitari annunciati con uno o due giorni d’anticipo specificando l’orario di aperture mediante invio di messaggi telefonici attraverso i gestori siriani MTN / SYRIATEL, il cui servizio utilizzo anche io) che numerosi civili sono stati abbattuti dai gruppi armati per aver tentato di scappare. Fortunatamente, svariate migliaia di civili hanno abbandonato il territorio occupato per vie traverse al di fuori dei corridoi umanitari, spesso costretti a passare per zone minate.

Rari sono i media che hanno precisato che tali civili erano degli scudi umani, fatto confermato da testimoni. Hanno preferito descriverli come presi tra il fuoco di uno scontro che opponeva dei combattenti rivoluzionari al loro governo – governo che difende il suo popolo contro dei terroristi la maggioranza dei quali sono mercenari stranieri entrati in Siria potentemente armati, fanatici per i quali la vita umana non ha alcun valore. Nella sola Aleppo, la lista dei loro crimini include l’invasione delle periferie e del centro città, bombardamenti quotidiani nella parte Ovest della città, esecuzioni sommarie dei civili ad Est per un sì o per un no.

I gruppi armati presenti non hanno mai dimostrato particolare “moderazione” nei confronti della popolazione civile. Ho constatato con i miei stessi occhi che disponevano di armi e munizioni provenienti da svariati paesi, un numero considerevole di quelle munizioni era di fabbricazione americana, francese, inglese, saudita ecc. Armi utilizzate quotidianamente contro la popolazione civile a Est e a Ovest, sia da gruppi riconosciuti come terroristi sia da gruppi assemblati sotto la bandiera del cosiddetto Esercito Siriano Libero, in maggioranza costituito da jihadisti che noi cerchiamo di far passare per combattenti per la libertà.

Essi tiravano su Aleppo Ovest dalle zone più popolose dell’Est, sovente scegliendo degli ospedali come postazione al fine di limitare le rappresaglie. Ho ottenuto le mie testimonianze da dei civili dell’Est trovatisi nel mezzo di tali combattimenti, di cui mi occupo al pari di altre organizzazioni internazionali qui presenti. Aleppo Est contava 120000 persone coinvolte nei combattimenti (di cui all’incirca da 15 a 20000 combattenti), appartenenti per la maggior parte alle numerose famiglie che hanno rifiutato di abbandonare le loro case per paura che venissero occupate, distrutte o saccheggiate. In Siria, pochi abitanti sono affittuari.

Deve passare del tempo prima che si possa divenire proprietari della propria abitazione, ma è un fatto culturale, in quanto la casa è il simbolo della famiglia. Il punto cruciale è che noi abbiamo occultato una realtà, quella di 1300000 siriani di tutte le confessioni che vivono nella parte Ovest e tentano, malgrado la morte onnipresente, di mantenere il funzionamento delle proprie istituzioni e di mandare i figli a scuola o all’università. Noi li abbiamo cancellati in un obiettivo politico, per il fatto che vivevano in una zona controllata dal governo siriano. Così facendo, noi abbiamo mistificato ancora e ancora ciò che sta avvenendo nella parte Est, e ci siamo macchiati di entrambe le colpe in nome di una minoranza la cui causa non riguarda che loro soltanto.

Non un solo giorno è passato senza che noi fossimo vittime di tiri dei cecchini o di cariche con il mortaio, di cannonate, missile, attacchi con il gas ecc., che colpivano strade, abitazioni, ospedali, scuole. Non un solo giorno è passato senza che decine di persone trovassero la morte, o non fossero trasportate in condizioni critiche in ospedali sovraffollati per i continui attacchi, malgrado non vi fosse esercito nella città a parte qualche checkpoint; esercito e miliziani proteggevano le line del fronte. Tutti i giorni adulti, bambini, famiglie intere venivano massacrati dai proiettili. Se mi esprimo come un siriano è perché ho dovuto affrontare quotidianamente questa Guerra.

Sono fortunato ad essere ancora in vita perché Aleppo era come un campo di battaglia, i missileipiovevano su di noi. In quanto soccorritore ho tentato di salvare dell evite, non sono sempre riuscito ad arrivare in tempo, le persone avevano gambe, braccia, brandelli di corpo strappati, distrutti, bruciati… Non ho più le parole adeguate per descrivere quello che la popolazione ha vissuto qui, è molto duro da condividere, ho visto troppa gente morire – ogni giorno, non sapevamo se saremmo o meno restati in vita.

Ho continuamente incontrato cittadini in fuga dall’interno del paese. La loro è una testimonianza senza appello. A est di Aleppo, la legge della sharia veniva applicate attraverso dei “tribunal islamici” sommari, costituiti da combattenti e sceicchi che si arrogavano il diritto, in funzione delle fatwa (decreti religiosi) di imprigionare, torturare, costringere delle bambine al matrimonio e ordinare esecuzioni a loro piacimento. In seguito alla liberazione di Aleppo Est, abbiamo anche appreso che gli jihadisti disponevano di enormi scorte alimentari. Ho visto dei cumuli di pacchi alimentari sufficienti per un anno di assedio.

Le famiglie rendono testimonianza della loro impossibilità di accedere a tali scorte e raccontano della fame patita durante l’assedio ma, soprattutto, del monopolio delle tariffe e dei baratti proibitivi praticati dai gruppi armati; si arrivava fino a 50 volte il prezzo normale. Chi accettava di combattere per loro riceveva un trattamento di favore. Per contro, come mi è stato raccontato da alcuni loro simpatizzanti restate ad est: “Noi non amiamo questo governo, ma se qualcuno si azzarda a criticare i combattenti dell’Esercito Siriano Libero o di altri gruppi, viene ucciso. La libertà dov’è?” Infrastrutture, ospedali, scuole erano parzialmente adibiti a quartier generale da quei gruppi e servivano anche come prigioni e depositi di armi. In una delle scuole, ho potuto constatare che venivano fabbricate armi chimiche con prodotti importati da svariati paesi.

E, negli ultimi mesi, in seguito ai peggiori combattimenti, ho assistito all’arrivo di feriti la cui pelle stava letteralmente bruciando per la clorina. A est, gli ospedali curavano principalmente i combattenti e le loro famiglie, o quelli che potevano permettersi di pagare le cure. Anche là, in seguito alla liberazione di Aleppo, ho constatato con i miei stessi occhi la gigantesca quantità di medicamenti e due ospedali che restavano funzionali per una zona guerra malgrado la loro facciata, così come certe zone parzialmente integre, malgrado fosse stata più volte annunciata la loro complete distruzione.

I “Caschi bianchi”, fra i cui finanziatori vi è il governo francese e che noi abbiamo ricevuto all’Eliseo, sono quasi esclusivamente soccorritori di giorno e terroristi di note, e vice versa; hanno prestato alleanza a Jabhat al-Nosra (Al-Qaeda), come provato da documenti ritrovati in seguito alla loro partenza e come testimoniato dagli abitanti.

La maggior parte delle loro squadre prestava soccorso ai combattenti poi, eventualmente, ai civili. La particolarità consisteva nel fatto che ciascun gruppo aveva un cameraman a sua disposizione, e che i civili venivano soccorsi unicamente quando la telecamera riprendeva. Molti civili mi hanno raccontato che numerose persone sono restate prive di soccorso sotto ai detriti, in quanto avevano rifiutato di arrendersi. Altri hanno invece affermato che venivano messi in scena degli attacchi, con dei falsi bombardamenti, falsi feriti e falsi interventi di aiuto.

Il nostro governo finanzia anche associazioni come “Syria Charity”, che si fregia della bandiera a 3 stelle, il cui nome era al principio “lega per una Siria libera”, come figura ancora nei loro rendiconto. Nonostante affermasse di apportare aiuti umanitari, tale associazione ha oltrepassato la linea rossa partecipando a una guerra d’opinione al fine di giustificare il rovesciamento del governo occultando la realtà dei fatti, così come la loro vicinanza ai gruppi armati (per inciso anche la loro presenza, accuratamente censurata nei video) e il costante sostegno medico alle forze jihadiste.

Numerose associazioni e organizzazioni umanitarie francesi e internazionali in zone “ribelli” hanno fatto più male che bene strumentalizzando la sofferenza della popolazione, manipolando l’opinione pubblica in nome di una causa e di donazioni con obiettivi ben specifici; hanno anche preso in ostaggio la popolazione locale, permettendo a questa guerra di continuare “legittimandola” in mariera disonesta, permettendo ai combattimenti di perdurare, alla morte di regnare incontrastata nel quotidiano.

Noi abbiamo anche esposto per qualche ora all’Eliseo la bandiera siriana a 3 stelle, il tempo di ricevere il (falso) sindaco di Aleppo, uomo mai eletto dal popolo siriano, che non proviene affatto da Aleppo ma riconosciuto ed eletto dai capi dei gruppi jihadisti, così come da partigiani e stranieri. Questa bandiera non ha nulla a che vedere con la libertà della Siria, qui non è che un simbolo di morte nel quotidiano in quanto è ormai associata all’Esercito Siriano Libero, un conglomerate di gruppi jihadisti vicini ad Al-Qaeda che non predicano la democrazia se non davanti ai media e che noi appoggiamo. Non dobbiamo soprattutto confondere il movimento Cittadino del 2011 e quelli che lo hanno strumentalizzato, qui e in alter parti del mondo, per fabbricare questa guerra.

Sì, molta gente è morta. Nessuna guerra è giusta, io non sono qui per negare o difendere la volenza estrema dei bombardamenti su Aleppo Est per permettere non la sua caduta, ma la sua liberazione. È una realtà. Un’altra realtà è che, a parte i bambini feriti, le bombe e le grida d’aiuto, noi abbiamo cancellato la presenza dei gruppi armati ma soprattutto cancellato i civili, la vita stessa. Li aqbbiamo private della loro voce, lasciando la gente alle proprie deduzioni a partire delle proprie emozioni in base a una situazione continuamente illustrata come catastrofica, utilizzando il più delle volte dei bambini.

Come rimettere in causa quello che succeede qui, quali che siano gli argomenti e le prove a disposizione, quando si fa credere al pubblico che la Siria intera è unilateralmente a ferro e fuoco a causa del suo governo? Che tutto quello che succede qui e non rientra in tale schema è etichettato come propaganda? Che la priorità è imporre una “no-fly zone” (cosa che, sia ringraziato il Signore, non è mai successa)? Sì, una “no-fly zone” avrebbe volute dire conflitto perenne e aumento del numero di morti; avrebbe consentito ai terroristi di prendere Aleppo, anziché di liberarla dalla guerra e dalla morte.

I civili fuggiti da Aleppo Est hanno attraversato l’inferno e vivono il loro arrivo qui principalmente come una liberazione, non come una deportazione, dal momento che la maggioranza di loro è ora tornata a casa propria. Nessuno ha sottolineato che circa l’85% dei civili è liberamente venuta a rifugiarsi ad Aleppo Ovest, dal lato del governo, mentre bus venivano noleggiati in direzione di Idlib trasportando combattenti e civili volontari.

La “legittimità” così accordata ai terroristi e alla loro causa attraverso i media e gli appoggi esteriori ha permesso loro delle avanzate cruciali intorno alla città, costringendo centinaia di migliaia di persone ad abbandonare le loro case. Mi ricordo che per intere settimane dormimmo vestiti, le borse pronte ai piedi del letto, i terroristi e gli scontri talmente vicini che spesso le pallottole attraversavano le strade e, più la loro avanzata si faceva pressante, più potevo sentirli urlare il loro “Allah Akbar” prima e dopo ogni colpo di mortaio sulla città.

Quali che siano i paesi nei quali sono stati utilizzati, questi video create da jihadisti e ribelli, spesso per intero delle montature, sono stati diffuse in prime time dai nostri mezzi di comunicazione, strumentalizzando la morte e la sofferenza di coloro i quali vivono in mezzo ai combattimenti, così come l’amore e la compassione di coloro i quali guardavano quei messaggi. Come gli stessi terroristi, noi abbiamo venduto la paura facendo in modo che nessuno si rendesse conto che quei contenuti avevano degli obiettivi ben precisi ed erano stati create di conseguenza, senza mai consentire ai civili coinvolti di far sentire la loro voce, se non a dei ribelli o a dei combattenti (preciso che i civili potevano difficilmente permettersi del pane, una telecamera e soprattutto una connessione a internet 3G era ardentemente desiderata, costava l’equivalente di 5 chili di carne).

Al fine di raggiungere l’obiettivo di avere un numero sufficiente di combattenti per distruggere il governo, noi abbiamo completato il nostro impatto sul conflitto praticando manipolazione emotive al fine di influenzare l’opinione pubblica e ottenere il suo tacito consenso in questo conflitto.

Nella parte Ovest, documentare la situazione in tempo reale è sempre stato di una difficoltà enorme, era troppo pericoloso e, in più, le informazioni non uscivano dalla Siria. Fare un “live Facebook” o pubblicare un reportage mostrando i luoghi degli attacchi permetteva loro di precisare, riaggiustare i loro tiri e mirare alle zone più densamente popolate. In un doppio discorso sul loro canale televisivo “Free Syrian Army ***”, da un lato si autodefinivano i liberatori della popolazione, mentre presentavano al contempo i loro attacchi come delle punizioni per noi “infedeli che vivono al fianco di Bachar al-Assad. Questo canale televisivo è accessibile a tutti qui.

Al momento della liberazione, i reportage fatti dai russi e le testimonianze dei siriani vissuti sotto l’occupazione dei gruppi armati sono stati immediatamente bollati come propaganda, in modo da sottrarre credibilità a tutto ciò che potrebbe emergere direttamente dalla Siria, da coloro che vi vivono o sono sul terreno di combattimento.  L’anno passato è realmente stato l’anno della disinformazione.

Un combattimento per la “libertà” del popolo siriano. Utilizziamo questo sostantivo senza averlo mai argomentato o giustificato. Quale libertà? Quale popolo siriano? Distruggere il governo, strangolare la popolazione per introdurre cosa? Il nostro bel savoir faire democratico? I francesi hanno posto la questione circa quello che succederebbe nel “dopo”? No! La libertà, punto. Facile. Il programma politico e sociale di questi gruppi terroristi è in opposizione con la libertà, la democrazia, i nostri valori e quelli della maggior parte del resto del mondo.

È in nome dei nostri interessi, non in nome della libertà, qua noi strumentalizziamo quei gruppi che invocano la crazione di uno Stato Islamico in Siria. Non domandate quindi ciò che costoro intendono offrire al popolo siriano, domandatevi piuttosto ciò che vogliono sottrarre e imporre. Tutti i civili che incontro quotidianamente rifiutano di immaginare questa opzione anche un solo istante, quelli che invece l’hanno vissuta sulla propria pelle cercano di dimenticare.

Signor Presidente, noi abbiamo, del resto come numerosi altri paesi, una grande responsabilità in questa guerra che noi abbiamo tentato di portare a termine – sottintendendo con termine naturalmente un cambiamento di regime in Siria a tutti i costi. Negli ultimi anni, al fianco di numerosi altri paesi, abbiamo partecipato alla distruzione della Siria, un paese in gran parte francofono la cui popolazione ama la Francia; quelli che parlano il francese qui sono numerosi. Per quanto imperfetto sia questo governo, quali che siano i suoi errori (del resto, i nostri sono ben grandi), noi stiamo attualmente sostenendo l’instaurazione di una dittatura, in un paese dove l’opposizione esiste, mentre i gruppi armati non sono motivate che dal fanatismo, la frustrazione, il rancore e l’odio.

Servirci di tali gruppi per concretizzare degli obiettivi geopolitici o economici non ha nulla di democratico; al contrario, noi condanniamo i siriani. Avendo percorso il paese, ho potuto constatare che, malgrado certe critiche, qualunque cosa si possa dire la grande maggioranza dei siriani sostiene onestamente e sinceramente il governo, appoggiando quello che chiamano il loro presidente, e non dittatore, Bachar al-Assad.

Io concepisco questo messaggio come un dovere. Sono un operatore umanitario e ho creato la mia associazione non politica e non religiosa, autofinanziata fino a questo momento. Vivo in zona di guerra, ne pago il prezzo e affronto i rischi necessari al fine di dare il mio modesto contributo nell’aiutare i civili. Dare testimonianza di questa realtà mi vale gli attacchi dei mezzi di comunicazione main-stream e dei loro partigiani che tentano di farmi tacere, arrivando fino a designarmi come un bersaglio.

Mi espongo a un rischio ulteriore prendendomi la responsabilità di scrivere questa lettera, poiché sento il peso e la responsabilità di denunciare una situazione che ho osservato giorno per giorno, spingendo sempre più lontano le mie investigazioni. Non ho nulla da guadagnare, nessun interesse personale, affronto tali rischi da diversi mesi per combattere il terrorismo attraverso la trasmissione della verità, la realtà che i siriani devono affrontare qui, le loro testimonianze, denunciando i gruppi terroristi e la manipolazione mediatica che giorno dopo giorno stroncano la vita delle persone.

Domandiamo al popolo siriano quello che vuole per il suo paese anziché parlare in suo nome, rubare la sua voce, le sue libertà, il suo presente, il suo futuro. È il popolo siriano che deve decidere del suo futuro, non possiamo arrogarci il diritto di farlo al posto loro. È una forma di dittatura ancor più terribile della nostra illegittima ingerenza fino a questo momento. La democrazia dovrebbe cominciare sempre da sé stessa, indipendentemente dalla nostra responsabilità nei confronti dei siriani, e sarebbe quindi davvero tempo di consultare il popolo francese circa la sua volontà di implicazione in questo conflitto, visto il pericolo che tale situazione rappresenta per la sicurezza interna presente e futura.

Faccio appello alla mia Francia, il paese che amo e nel quale sono cresciuto, affinché cessino le persecuzioni infinite contro la popolazione e l’incoraggiamento a dei gruppi terroristi che già colpiscono le nostre famiglie, i nostri figli, i nostri cittadini, quali che siano gli interessi economici o geopolitici in gioco. Non possiamo difendere gli interessi, e sostenere, i gruppi armati che hanno intrapreso una rivoluzione per tornare all’età dell’oscurantismo.

Signor Presidente, in nome della giustizia e in nome del cuore, lancio un appello e scongiuro la Francia, i cui valori con i quali sono cresciuto mi spingono a perseverare nel mio operato quotidiano qui, di eliminare le sanzioni contro la Siria che penalizzano innanzitutto la popolazione civile e non il governo, di trovare delle soluzioni diplomatiche alternative a questa guerra in favore della pace, sia per il bene del popolo siriano che per il bene del popolo francese, che rischia di subire le ripercussioni del nostro impegno a favore di gruppi che seminano terrore e le cui ambizioni sono chiaramente internazionali.

AugurandoLe di avere coraggio, Signor Presidente, a Lei come alla persona che Le succederà, La prego di credere all’espressione dei miei migliori sentimenti.

(di Pierre Le Corf. Traduzione a cura di Teresa Costanza Marino)