Trump affossa il TPP

“ll TPP, così come lo conosciamo, darebbe un colpo fatale all’industria americana. […] L’ondata di mondializzazione ha annientato la classe media. La mondializzazione non deve necessariamente svolgersi in questo modo, possiamo raddrizzarci in poco tempo”.

Era una promessa fatta in campagna elettorale e subito mantenuta una volta eletto presidente. Così Donald Trump è stato di parola e ha firmato il decreto per il ritiro degli States dal TPP (Trans-Pacific Partnership), un accordo di natura commerciale che prevede il libero scambio tra USA/Canada e altri 12 paesi del Pacifico, abolendo quasi tutti i dazi doganali e riducendo gli ostacoli non tariffari al commercio. Si tratta tuttavia di una formalità, non essendo l’accordo stato ancora ratificato al Senato, ma è sicuramente un segnale decisivo per l’economia e il commercio americano.

Produrre in USA e assumere americano, questo è l’obiettivo del Presidente Donald Trump, che rilancia anche nel suo primo incontro alla Casa Bianca con i leader del business, promettendo inoltre di tagliare del 75% il quadro regolatorio e una riduzione delle tasse per la middle class e per le società dall’attuale 35% al 15%-25%.

“Tutto quello che dovrete fare è stare qui, non andar via. Non licenziare la vostra gente negli USA”, ha detto il neo presidente. Trump, infatti, ha promesso vantaggi per le società che produrranno in USA suggerendo che imporrà un “sostanzioso dazio doganale” sulla merce straniera che entra nel Paese. Inoltre, “se qualcuno vuole creare una fabbrica”, spiega Trump, “tutto sarà veloce, si dovrà affrontare una procedura ma sarà veloce”, aggiungendo che questo nuovo governo si prenderà cura dell’ambiente e della sicurezza.

L’accordo, perfezionato ad Atlanta nell’ottobre 2015, aveva come scopo l’abbattimento delle barriere al commercio tra le nazioni che rappresentano circa il 40% della produzione economica mondiale. Fin dall’inizio della sua campagna elettorale Trump aveva individuato il TPP (così come il TTIP con l’Europa) e il NAFTA (North American Free Trade Agreement) tra i propri bersagli, al fine di rilanciare la produzione interna agli Stati Uniti. L’obiettivo della nuova amministrazione americana, come spiegato varie volte da Trump e ribadito anche oggi all’incontro con i diversi manager dell’industria manifatturiera americana, è siglare accordi bilaterali con le nazioni asiatiche e non solo.

Proprio in questa direzione prende forma il nuovo accordo bilaterale con la Gran Bretagna e con il premier britannico Theresa May con cui è in programma il primo summit con un leader straniero e in cui si discuterà di “trade”, la forma preferita nel clima di American First rispetto ad accordi multilaterali. Anche se un patto con la Gran Bretagna su questo fronte non appare rapidissimo poiché quest’ultima deve tuttora definire i suoi apporti con l’Unione Europea. Quindi piaccia o non piaccia, il commercio internazionale cambierà e drasticamente. Agli occhi americani, infatti, il made in USA è discriminato all’estero mentre i prodotti internazionali entrano negli Stati Uniti a porte aperte.

Quando l’Europa, e in particolare l’Italia, con le sue infinite tipicità produttive, aprirà gli occhi e si si schiererà con i suoi imprenditori, agricoltori e consumatori facendo lo stesso con l’omologo TTIP, il trattato di libero scambio fra Europa e USA/Canada? Per adesso non possiamo che prendere atto positivamente dell’ammissione da parte tedesca del fallimento del TTIP, un trattato che alla fine avrebbe solo visto l’Europa sottomettersi alle follie americane in campo commerciale senza procurare a noi alcuna convenienza, anche se avremmo voluto vederlo fare dal governo italiano.

(Andrea Saponaro)