Ecco come le agenzie di rating minacciano le sovranità nazionali

E’ il 12 Novembre 2011, Silvio Berlusconi è costretto a dimettersi, l’Italia si trova nell’occhio del ciclone, si parla di spread, declassamento, crisi totale. In pochi si accorgono allora di quello che oggi è palese e provato, che quello andato in scena fu un “colpo di Stato”, orchestrato da Giorgio Napolitano, allora presidente della Repubblica, con la complicità e la direzione di Merkel e Sarkozy. Due mesi prima, il 20 settembre, l’agenzia di rating Standard &Poor’s aveva declassato l’Italia; due mesi dopo, con Mario Monti a guida dell’esecutivo, un nuovo declassamento, provocava un’impennata dello spread e un grave crollo della borsa.

Intanto, Morgan Stanley, banca azionista di Standard & Poor’s, si scoprirà che incassava dall’Italia “montiana” 2,6 miliardi di euro, decidendo di chiudere in anticipo un contratto derivato sottoscritto con il ministero dell’Economia nel 1994, facendosi ripagare tenendo come riferimento il valore di mercato, valore molto alto in quel momento, a causa del recente declassamento subito dall’Italia.  La stampa, in tutto ciò, taceva. Soltanto il Tg1 di Augusto Minzolini, poi costretto ad andarsene con il voto decisivo di un consigliere proveniente da Mediaset, aprì con un duro editoriale contro le agenzie di Rating. “Il Fatto Quotidiano” stesso, pur azzardando qualche ipotesi, tacque, ancora troppo impegnato a godersi la sconfitta del grande nemico.

Oltre due anni più tardi, però, a Trani, il pm Michele Ruggiero, chiede il rinvio a giudizio di otto manager di Standard & Poor’s e Fitch, a cui viene contestata “l’intenzionale manipolazione del mercato finanziario, aggravata dal fatto che è stata commessa ai danni dello Stato italiano e dall’ingente danno patrimoniale subito”. In particolare, viene loro addebitato l’aver emesso fra il 2011 e il 2012 giudizi sull’affidabilità del sistema creditizio italiano, con “indebiti annunci preventivi” riguardanti il declassamento dell’italia, “così divulgando a mercati aperti informazioni che dovevano restare riservate, concretamente idonee a provocare una sensibile alterazione del prezzo degli strumenti finanziari”.

Ma il pm non si ferma qui, affermando che, dal documento di Stabilità finanziaria, emerge che i rating delle agenzie sono stati emessi senza alcuna razionalità, poiché la situazione italiana non era tale da giustificare il declassamento e, anzi, era più sana di molti altri Paesi europei, chiedendo quindi la condanna a 9 mesi di carcere e 16000 euro di multa dell’analista di Fitch David Riley.

E il ministero dell’economia? Il governo Renzi, per bocca dell’allora ministro Maria Elena Boschi, decide di non costituirsi parte civile, aumentando i dubbi sulla trasparenza della posizione assunta dallo Stato italiano in questi ultimi anni di “governicchi”, formatisi tutti con la benedizione del presidente emerito, Giorgio Napolitano.

In tutto ciò, dall’altra parte dell’oceano negli Stati Uniti, Moody’s patteggia il pagamento di una multa per 864 milioni di dollari, per aver gonfiato i rating di mutui ipotecari e aver assegnato un indice di rischio basso a titoli poco sicuri, provocando di fatto il dissesto finanziario iniziato con i mutui subprime, dissesto in cui sono coinvolte anche le altre due celebri agenzie di rating imputate nel processo di Trani, Standard and Poor’s e Fitch.

Le agenzie di rating sono semplici società private, che in seguito ad analisi e studi, attribuiscono un giudizio – rating, appunto- sulla solidità e affidabilità dei titoli di società private. Tre di esse, Moody’s, S&P, Fitch, si occupano di assegnare rating agli Stati. Ma chi decide sulla loro affidabilità? Considerando che, una settimana prima del fallimento, assegnavano rating positivo a Lehman Brothers o a Parmalat poco prima del crack, appare assolutamente illogico permettere loro di determinare le sorti di interi Paesi e la soluzione più coerente passa senz’altro per la creazione di agenzie nazionali, sottoposte a controllo pubblico e con obblighi di trasparenza.

Una risposta arriverà senz’altro dagli Stati uniti, dove le tre sorelle hanno accolto l’avvento dell’era Trump con minacce più o meno velate di un declassamento, che porterebbe notevoli vantaggi alla Germania.

(di Bendetta Frucci)