Assad: un medico diventato presidente

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Dall’inizio della guerra ‘civile’ siriana nel 2011 i media occidentali hanno pesantemente accusato il presidente siriano Assad dei più disparati crimini. Ma nonostante la definizione mediatica di “sanguinario dittatore”, buona parte dei network della cosiddetta ‘controinformazione’ non ha faticato a eleggerlo a paladino della giustizia ed esempio politico.

Anche se è continuamente nominata (spesso a sproposito) questa figura è tutt’altro che conosciuta a fondo dalla maggior parte delle persone: alcuni accenni della sua vita e delle sue politiche di governo ci sono utili per chiarire i motivi dell’ostilità americana quanto occidentale.

Baššār Ḥāfiẓ al-Asad, occidentalizzato in Bashar Al Assad, nasce l’11 Settembre 1961 a Damasco in Siria, secondogenito di Hafiz Al Assad. Quest’ultimo, uomo politico siriano facente parte della dissidenza anticolonialista, prese parte al colpo di Stato del 1966, diventando Ministro della Difesa. Nel 1970, raggiunta la leadership dell’ala militare del partito Ba’th (la più aggressiva in politica estera) attraverso la cosiddetta “rivoluzione correttiva” soppiantò il presidente Nūr al-Dīn al-Atāssī e salì definitivamente al potere.

Il giovane Assad invece, almeno inizialmente, non contemplò mai la politica come scelta di vita, conducendo una giovinezza molto riservata. Dopo aver completato gli studi superiori si iscrisse alla facoltà di medicina di Damasco: lì si laureò nel 1988, prima di iniziare nel 1992 una specializzazione in oftalmologia presso dei centri specializzati a Londra. È sposato con una donna di fede sunnita  ( Asmāʾ al-Akhras ) e ha tre figli.

La svolta nella vita dell’attuale presidente siriano avvenne nel 1994. In quell’ anno il fratello Bassel, destinato a seguire le orme del Hafiz, morì in un tragico incidente stradale. Bashar si fece quindi carico dell’eredità, e alla morte del padre nel 2000 ricevette la carica di Presidente e di leader del partito Ba’th.

Il partito, noto anche come Partito del Risorgimento Arabo Socialista, gioca il ruolo principale della politica siriana dal 1966 in avanti, fa capo alle ideologie panarabiste, del socialismo nazionale e del nazionalismo arabo.

Il movimento nato nel 1947 aveva subito una pesante scissione proprio nell’anno del golpe degli anni Sessanta: in quell’occasione le posizioni tra la sinistra interna guidata dai siriani e la destra guidata dagli iracheni divennero inconciliabili. Anche dopo la separazione le due fazioni mantennero entrambe il nome Ba’th ed in alcuni periodi, specie sotto la presidenza Irachena di Saddam Hussein, tentarono senza successo di riavvicinarsi.

Non si può però parlare di Assad senza parlare della sua Siria, quella di oggi, un Paese caratterizzato dalla libertà di culto. Lo stesso presidente fa parte della minoranza religiosa degli alawiti, una corrente particolare dell’ideologia sciita.

Nel Paese antecedente al 2011 convivevano pacificamente le più variegate idee religiose:  musulmani sciiti, cristiani, musulmani sunniti,  fino ad arrivare a culti assiri precristiani. Non a caso la Siria assadista osteggia tutti i gruppi dell’estremismo religioso sunnita, in primis i Fratelli Musulmani per poi passare ad Al Quaeda, ISIS e vari gruppi wahabiti, che vorrebbero fare del Paese l’ennesimo stato arabo basato sulla sharia.

Al netto delle retoriche “democratiche”, a far finire Assad sulla lista nera del blocco occidentale è stata, soprattutto, la volontà del presidente di non sottomettersi al volere di Israele, che gli USA vorrebbero come potenza egemone in Medio Oriente.

Le politiche antisioniste adottate del regime siriano si possono riassumere fondamentalmente in quattro punti: la volontà di riprendere il controllo delle alture del Golan occupate da Israele nel 1967 durante la Guerra dei Sei Giorni, la sintonia con l’Iran storicamente avverso a Tel Aviv, il sostegno alla resistenza palestinese contro lo Stato ebraico e l’appoggio ad Hezbollah, partito e organizzazione paramilitare libanese di religione sciita, considerata da Israele e dagli alleati atlantici un vero e proprio gruppo terrorista.

Con l’inizio della guerra del 2011, Damasco si è avvicinata a Mosca: oggi il rapporto sembra addirittura più saldo di quello che la prima Siria ba’athista aveva con l’Unione Sovietica, come ha testimoniato l’intervento dell’aviazione russa a supporto dell’esercito lealista negli ultimi anni. Da aggiungere alla lista degli alleati della Siria di Assad è anche la Cina, che ormai da tempo la supporta economicamente, senza dimenticare l’ormai storica alleanza con l’Iran khomeinista.

Ennesimo tassello chiave per capire l’astio che l’occidente prova verso la Siria baatista è la proprietà pubblica della Central Bank of Syria: una scelta che permette al governo di controllare pienamente le proprie politiche monetarie, rendendo così lo Stato molto resistente agli attacchi speculativi, libero di svalutare la propria moneta e quindi autonomo dalle potenze bancarie mondiali.

L’astio del ‘mondo civile’ verso Damasco risiede anche nella profonda volontà del regime di non autorizzare la costruzione di nessun gasdotto o oleodotto che potrebbe permettere ai paesi della penisola arabica di trasportare direttamente idrocarburi verso l’Europa.

A mettere ulteriore carne al fuoco, infine, si è aggiunta la volontà della Turchia di Erdogan, confinante a Sud con la Siria, di raggiungere un certo grado di egemonia in Medio Oriente e di essere uno storico alleato proprio dei Fratelli Musulmani, osteggiati nella Siria assadista.

Tutti tasselli di un mosaico che rende facilmente intuibile il motivo per il quale l’Occidente, le monarchie del Golfo e la Turchia osteggino tanto la Siria di Bashar Assad.

(di Pietro Ciapponi)

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