Il “no” della Raggi a Roma 2024? Simbolo della morte di un Paese

Secondo Virginia Raggi organizzare le Olimpiadi a Roma sarebbe da “irresponsabili”. Il motivo è presto detto, non ci sarebbe nemmeno bisogno di specificarlo perché ce ne hanno abbondantemente fatto l’elenco in tutti questi anni: non ci sono soldi ma, al contrario, inefficienze, corruzione, ritardi e difficoltà enormi in tutto il Paese e in special modo in una capitale disastrata quale è Roma. Il tutto in una cornice di ortodossia istituzionale come minimo latente (per usare un eufemismo) se il neo-sindaco, oltre al rifiuto, accompagna anche la cosiddetta “buca” (o ritardo programmato, storia lunga che ci interessa molto poco) all’incontro con il presidente del CONI Giovanni Malagò.

Secondo il ragionamento dei 5 Stelle, e di una larga fetta di cultura popolare ormai in voga da diversi decenni, organizzare eventi costosi e impegnativi sarebbe possibile soltanto a patto di risolvere i problemi vari di debito pubblico, di ordine, efficienza ed economia. Di rimettere in ordine le cose, almeno in parte. Ma anche “in parte” è difficilmente definibile in termini oggettivi e concettuali, visto che non esiste alcuno Stato al mondo senza “disordini” (mi si conceda il termine) o inefficienze di qualsiasi tipo.

Un’educazione ormai di massa al lassismo e al rifiuto, che non a caso trova nei postcomunisti d’ispirazione SEL o Sinistra Italiana i suoi maggiori alfieri, e ne Il Fatto Quotidiano il suo giornale ideologico, pronto a fare i conti in tasca un po’ a senso unico.

In realtà, Olimpiadi estive, Mondiali ed Europei di calcio negli ultimi 30 anni sono stati ospitati e organizzati da Paesi di tutti tipi, alcuni anche appartenenti alle economie in sviluppo: allo scopo di ragionare per eccesso alla voce “costi”, ci permettiamo di concentrarci sullo sport più popolare del mondo (il calcio) e sulla manifestazione sportiva per eccellenza.

Non tutti sono andati in “fallimento” come la Grecia “il cui default è iniziato con Atene 2004” come hanno sostenuto a più riprese Il Sole 24 Ore (lo stesso che al giorno d’oggi riporta la perdita di 4 miliardi di euro stanziati per Roma grazie al “NO responsabile” del sindaco 5 stelle) ed altri giornali di massa. È curioso notare come le economie di due Paesi non certo avanzati come Polonia e Ucraina si siano permesse addirittura il lusso di organizzare l’edizione dei campionati europei del 2012 (non senza difficoltà), ed è ancora più curioso sottolineare come essi si trovino ancora in una situazione di relativa indipendenza economico-bancaria che gli consente di stampare moneta utilizzando proficuamente il proprio debito (come del resto tutte le economie dell’Est, ancora non entrate nel girone dell’Euro e, di conseguenza, della crescita esponenziale del deficit).

Si potrebbe ipotizzare che non sia così certo che il fallimento greco sia imputabile proprio (o quanto meno non esclusivamente) ai Giochi del 2004, ma, forse, anche a qualcos’altro, ma non ci dilunghiamo troppo sotto questo aspetto, visto che i temi sono tanti.

Uno di questi è come la Spagna abbia tratto enorme giovamento proprio dall’organizzazione di Barcellona ’92, e questo nonostante l’economia del Paese non fosse all’epoca propriamente ai primi posti nel mondo occidentale, almeno fino alla fine degli anni Novanta, quando esplose la “bolla” durante i governi di Josè Maria Aznàr. La Spagna, un Paese che, importante dirlo, allora era ancora pienamente autonomo dal punto di vista monetario, è quindi un esempio virtuoso, la dimostrazione che spendere in certe manifestazioni può pagare, anche se, e questo dovrebbe essere chiaro, non è un’azione da svolgere con il bilancino.

Negli ultimi 15 anni hanno ospitato i mondiali di calcio: Corea e Giappone, Germania, Sudafrica e Brasile. Se i primi tre fanno parte del cosiddetto mondo sviluppato, per gli altri due la questione è più complessa o quanto meno discutibile: entrambi popoli in crescita da diversi anni, hanno però affrontato crisi economiche complicate e le loro situazioni di politica interna non si possono considerare delle più rosee.

Potremmo escludere dalle nostre osservazioni le varie Copa America, Coppa d’Africa, Coppa d’Asia, pur consapevoli che circa il 90% degli Stati che competono in queste manifestazioni (e quindi in lizza per organizzarle) appartengono al cosiddetto terzo o al massimo “secondo” mondo, leggasi economicamente precari, dove le inefficienze italiane potrebbero sembrare un lusso per pochi, dove l’indebitamento verso i Paesi ricchi e sfruttatori supera limiti mai visti.

Ma ci limitiamo a sottolineare che l’umanità, secondo la mentalità pentastellata, non dovrebbe mai organizzare manifestazioni sportive di grosso calibro, o quanto meno che possano avvicinarvisi: fatichiamo a trovare un solo Paese, che, per dirla in gergo, se la passi meglio dell’Italia in questi tre/quarti del globo terrestre, a parte il Giappone, gli Stati Uniti e il Canada (le criticità non mancano in nessuno dei tre, ma semplifichiamo il discorso). La Cina è un Paese in enorme sviluppo da 20 anni, ma la sua frenata nelle ultime due stagioni non è stata irrilevante:  diciamo che, in ogni caso, l’enorme quantità di debito statunitense posseduta da Pechino le consente di essere uno degli Stati maggiormente in grado di spendere e investire in progetti di questa portata.

Insomma, in tre/quarti del nostro pianeta si potrebbero organizzare, forse, solo una Coppa d’Asia con finale a Pechino o a Tokyo, e una Copa America nel Nord America, da qui ad un presunto “risanamento globale”. Nessun Paese del terzo mondo avrebbe mai dovuto ospitare un’edizione di qualche importante manifestazione internazionale calcistica: quindi niente Messico ’86, addio Argentina ’78, e non permettetevi nemmeno di nominare il Brasile con il suo Mondiale e la sua Olimpiade in appena due anni.

Dobbiamo, quindi, metterci d’accordo. O tutto il mondo conosciuto (nessuna eccezione, tra le economie avanzate che affogano nei propri debiti e quelle sottosviluppate senza un minimo di servizi fondamentali) non è in grado di ospitare manifestazioni sportive internazionali, il che significa che le stesse andrebbero al più presto eliminate “fin quando la guerra, la fame e tutte le ingiustizie del mondo non saranno debellate”, oppure organizzare Giochi olimpici, Mondiali o Europei fa parte, banalmente, dei progetti della vita di qualsiasi Paese: progetti che vanno affrontati con un approccio assolutamente costruttivo, improntato al miglioramento delle proprie strutture e dei propri servizi, ma con la consapevolezza di non poter prevedere il futuro e di affrontare i problemi per risolverli, anziché evitarli a prescindere.

Una Nazione ha il compito di promuovere il secondo approccio. Quando girano tanti soldi è pressoché inevitabile che possano esserci delle irregolarità: non accade solo in Italia, basti pensare ai casi cinese, brasiliano o polacco-ucraino. Vanno impedite e non “evitate”, i trasgressori puniti severamente.

Non c’è da scandalizzarsi, ma da agire: anche questo è nelle prerogative di uno Stato degno di tale nome. I brogli, usati come pretesto per evitare una simile sfida organizzativa, sono un po’ come la sciocca idea che sia meglio restare a casa anziché uscire e andarsi a mangiare una pizza con gli amici, per paura di un furto o un omicidio. La morte dell’individuo e, quindi, dello Stato. E i costi? Tanti, ovvi. Calcolati al negativo, però, solo quando fanno comodo a Grillo e i suoi, vista l’indifferenza per i quasi 200mila lavoratori  che potrebbero essere occupati nei sei anni di cantieri previsti.

Se il Città del Messico ha ospitato i Mondiali del 1986 e, trent’anni dopo, Rio i Giochi del 2016, non c’è nessuna ragione per cui Roma non debba organizzare le Olimpiadi del 2024. Non solo, da qui ai prossimi otto anni ci sarebbe un enorme stimolo a migliorare i trasporti, i servizi e la vivibilità della città.

E non per una questione di “costi grillini”, ma di quella vita di cui il Paese ha bisogno. Contrapposta alla morte che la Raggi, i 5 stelle e tutti coloro che per una linea di autobus non funzionante, invece di pensare a come migliorarla in un prossimo futuro anche grazie all’approssimarsi di un evento del genere, esclamano indignati: “Sì vabbé, e noi vorremmo candidarci per le Olimpiadi?”.

(di Stelio Fergola)