Aleksej Puškov: la Storia volgerà le spalle agli USA

Aleksej Puškov, celebre politologo russo e Presidente del Comitato Parlamentare per le Relazioni Internazionali. Intervista di “Geopolitika

Intervista di: Slobodan Erić e Nevenka Stojčević

Aleksej Puškov (1954), celebre politologo russo e, secondo molti, reale autore e ispiratore di “Postskriptum” (il più importante programma analitico della televisione russa), è stato nostro ospite questi giorni a Belgrado in occasione della presentazione del suo nuovo libro “Postskriptum: Putin può essere d’aiuto alla Russia?”, pubblicato in Serbia dalla casa editrice Fondazione Karić. Durante la presentazione, che si è tenuta il 26 ottobre presso il Dom Vojske, sono intervenuti anche Živadin Jovanović, Vladislav Jovanović e Srećko Đhukić. L’introduzione all’edizione serba del libro è stata scritta da Dragomir Karić.

Nel corso dell’intervista, “Geopolitika” ha chiesto al signor Puškov come spiega nel libro ai propri lettori le sue posizioni riguardo alle prospettive che attendono la Russia e il mondo intero. Inoltre, abbiamo chiesto all’autore il suo parere sugli eventi fondamentali degli ultimi anni: la crisi globale, il “reset” nelle relazioni tra Russia ed occidente, il programma di “destalinizzazione”, la guerra in Libia, i cambiamenti intervenuti in Russia e il ruolo svolto da Vladimir Putin nei fatti di politica interna ed estera. Abbiamo infine toccato il tema delle sofferenze della Serbia, che sono presenti in tutto il libro come una sorta di filo conduttore. L’intervista è stata un’occasione per apprezzare l’acutezza e la grande preparazione che Puškov dimostra di avere in qualità di raffinato intellettuale di grande autorità nell’elite politica e tecnocratica russa, in qualità di professore della Facoltà moscovita di Relazioni Internazionali, in qualità di Presidente del Consiglio di Pianificazione Strategica, nonché in qualità di Presidente del Comitato Parlamentare Russo per le relazioni internazionali e scrittore di numerosi libri, pubblicazioni scientifiche ed articoli di analisi politica nelle maggiori riviste russe ed internazionali.

-Signor Puškov, durante la presentazione del suo libro ha dimostrato in maniera estremamente convincente che la crisi ucraina non rappresenta una minaccia nemmeno a livello regionale, mentre la crisi mediorientale è una minaccia per la sicurezza europea e globale. La prego di spiegarci che cosa vogliono ottenere gli USA: la destabilizzazione dell’Unione Europea e del Medio Oriente, uno scontro di fedi e di civiltà?

-Per quanto riguarda l’Ucraina, a mio parere si è verificata principalmente una crisi creata ad arte. Crisi di cui si sono approfittati in primo luogo gli USA ed alcuni loro alleati per creare le condizioni di una nuova Guerra Fredda. Gli USA hanno bisogno di una nuova Guerra Fredda per diverse ragioni. Innanzitutto, è un pretesto per rianimare la NATO, che negli ultimi 10-15 anni ha perso ogni ragione d’essere. La NATO è stata creata come contrappeso all’Unione Sovietica e al Patto di Varsavia, ma dopo il crollo di queste istituzioni ha perso quello che gli statunitensi chiamano «sense of purpose», cioè la sua unica reale finalità. Moltissimi paesi membri della NATO si sono avvalsi proprio di questa circostanza per non pagare più il 2% del loro PIL per fare fronte alle necessità del blocco. Cosa che non ha potuto non mettere in allarme i vertici della NATO e gli USA. Per questo motivo la crisi ucraina è stata un’opportunità straordinaria per tenere in vita e rafforzare la NATO come organo politico-militare di stanza in Europa. Inoltre gli USA avevano un forte bisogno di disgregare le relazioni tra UE e Russia, poiché per quanto gli USA possano assicurare che il loro «pivot» privilegiato sono le regioni asiatiche sul Pacifico, il vero fulcro del loro predominio consiste nel controllo incontrastato dell’Europa da parte della NATO. La NATO è l’unico organo che possa permettere un coordinamento unitario di azioni in Occidente, e gli USA non ne faranno mai a meno, finché sia loro possibile. E’ chiaro, quindi, che il rafforzamento dei legami tra EU e Russia, i cui scambi commerciali avevano raggiunto negli anni prima delle sanzioni 450 miliardi di dollari all’anno, non potesse non preoccuparli. E’ stato necessario provocare una crisi in Ucraina. Il colpo di stato che ne è conseguito e l’incapacità del nuovo potere di controllare parti del territorio ucraino hanno portato al mutamento dello stato giuridico della Crimea e a gravi disordini nelle regioni orientali. Tuttavia, la crisi ucraina non ha ripercussioni di sorta sulla sicurezza nazionale della Spagna, della Gran Bretagna, della Norvegia o della Germania e non ne avrà, a meno che i politici europei non commettano l’errore di abolire l’obbligo di visto per i cittadini ucraini. Spero non lo facciano. La crisi siriana è completamente differente: sta avendo luogo in un centro nevralgico tra il Marocco e il Pakistan, vale a dire un areale endemicamente instabile da 20-25 anni. Questo areale si sta tramutando in maniera irreparabile in una zona distinta da terrorismo, guerre, sanguinari conflitti militari e civili. Se la regione non viene stabilizzata, la minaccia del terrorismo coinvolgerà senz’altro anche la Russia: in Cecenia siamo già stati testimoni del tentativo da parte di forze straniere di utilizzare un conflitto interno per rafforzare l’attività terroristica di diverse organizzazioni fondamentaliste in territorio russo e anche in Asia Centrale. Ritengo che per l’Europa la combinazione di due fattori come gli atti terroristici e l’enorme incremento degli immigrati sia estremamente pericolosa. Attraverso la sola Serbia sono passate già 200.000 persone. Se supponiamo che il governo di Assad cada, circa un milione o un milione e mezzo di profughi verranno in Europa. E’ una cosa assolutamente certa.

-Oggi ha già detto che in Europa sta venendo creata una reale struttura statale islamica, per quanto non ancora visibile. Ritiene che il Primo Ministro ungherese abbia capito correttamente il senso delle recenti migrazioni islamiche in Europa?

-Perché i servizi segreti ungheresi avrebbero dovuto inventarsi qualcosa? Le informazioni che hanno fornito a tutti noi secondo me sono attendibili, poiché gli agenti ungheresi hanno riconosciuto in alcuni individui che si dichiarano migranti in fuga dal regime guerriglieri precedentemente fotografati in diversi punti del pianeta. Qualcosa non mi quadra, e non mi stupirebbe affatto se l’Isis utilizzasse qualcuno dei suoi uomini, facendoli confondere nella massa dei migranti, per rafforzare le proprie cellule segrete in territorio europeo. Siamo stati già testimoni degli attacchi terroristici a Parigi, attacchi che avevano indubbie connessioni con l’Isis, nonché di quelli condotti in Tunisia. Si sono verificati precedentemente altri casi, sebbene io non escluda che quelle azioni possano essere state gestite da altre organizzazioni. Con l’afflusso di migranti e la strategia di espansione perseguita dall’Isis, mi sembra che i pericoli per l’Europa stiano aumentando in maniera esponenziale.

-Durante la presentazione ha colpito particolarmente l’attenzione non solo mia, ma anche degli altri numerosi ospiti, una cartina che ci è stata mostrata. E’ una cartina che illustra la propagazione del terrorismo nel mondo.

-Quella stupenda cartina è stata elaborata dal Ministero della Difesa USA e dal Pentagono, penso di averla vista anche su USA Today. Illustra come gli USA nell’arco di 15 anni di lotta continua al terrorismo siano riusciti a far sì che Al-Qaeda, che prima era solo in Afghanistan, ora si trovi praticamente dappertutto. Forse gli USA l’hanno fatto coscientemente, esiste infatti una teoria cospirologica secondo cui gli USA hanno destabilizzato appositamente la regione per controllarla meglio. E’ possibile che negli USA esistano forze che tentano di fare questo gioco particolarmente pericoloso, ma il controllo della regione tramite il caos può essere un’arma a doppio taglio. Personalmente non credo che si tratti della politica ufficiale USA per il semplice fatto che questo caos a volte incide gravemente anche sugli interessi statunitensi. Riflettiamo: il fine della politica estera statunitense è di instaurare nei paesi delle regioni mediorientali dei regimi filo-statunitensi. Ma in Libia dopo l’assassinio di Gheddafi si è instaurato il caos. Semplicemente il caos. Mi rifiuto di pensare che questi risultati corrispondano realmente alle aspettative statunitensi: farsi ammazzare i propri ambasciatori a Bengasi è quello a cui aspiravano gli USA? Passiamo all’Egitto. Che hanno ottenuto lì gli USA? AL potere prima vi si trovava il filo-statunitense Mubarak, ora invece c’è Al-Sisi, che ha un approccio estremamente scettico verso gli USA e sta persino rinnovando i rapporti con la Russia, stipula con noi contratti per l’acquisto di armi. Risultato: dopo il caos introdotto in Egitto gli statunitensi hanno perso, mentre la Russia ritorna ad influenzare il paese. Per cui non credo che esista, negli USA, una politica organicamente rivolta a creare caos nei paesi che si desidera controllare. Certo, quanto accade in Siria ci sembra risponda ad un piano statunitense a lungo termine, tuttavia la situazione lì ha assunto dei tratti imprevisti e molto peggiori di quanto si era programmato. Non ho un’alta considerazione della politica estera statunitense a partire dalla presidenza di Bush Jr., ma ora vedo che la situazione si è fatta molto, molto peggiore, poiché gli statunitensi non sono stati in grado di realizzare nemmeno uno scopo di quelli che si erano prefissati: né sono riusciti ad eliminare Assad, come avrebbero voluto, né hanno neutralizzato l’Isis. Non sono riusciti nemmeno a creare una coalizione anti-Isis efficiente! Tutto questo vuol dire che l’amministrazione di Obama, come si dice in Russia, non ha un solo asso nella manica. Vedo solo la loro completa impotenza e dichiarazioni roboanti senza una reale forza che le supporti. Quanto detto mi fa capire che la politica statunitense è una combinazione di azioni ora più o meno coscienti, ora necessariamente vincolate alle congiunture che si vengono a creare in una regione dove si vuole a tutti i costi creare dei regimi «democratici» filo-statunitensi. Regimi «democratici» in Medio Oriente! Per quanto mi sembra di capire, il raggiungimento supremo di questi regimi dovrebbe essere la legalizzazione dei matrimoni omosessuali. Ma gli USA non valgono proprio niente come leader globale se hanno la follia di credere che dei matrimoni omosessuali siano possibili in paesi musulmani!

-Due anni fa per la nostra rivista il brillante analista Mahdi Nazemroaya ha scritto un articolo dedicato al Medio Oriente, dove si è espresso in maniera abbastanza cinica sullo stato di cose che gli USA chiamano «caos costruttivo»

-Se mi si dimostra che da questo «caos costruttivo» gli USA hanno guadagnato qualcosa, sono pronto ad esaminare questa teoria con più attenzione. Al contrario, mi sembra che abbiano semplicemente perso il controllo della situazione. Ritengo che creare un caos costruttivo sia possibile in un paese o al massimo in due. Ma quando il caos si propaga ad un’intera regione, quando raggiunge la stessa Europa nella forma di centinaia di migliaia di profughi, allora… allora le conseguenze negative per gli USA sono più di quelle positive. Anche perché nel mondo si è sempre più convinti che gli USA non siano più in grado di gestire la situazione. Quando Obama è intervenuto all’Assemblea Generale dell’ONU, abbiamo visto che è stato in grado di parlare di qualsiasi cosa, ma non degli eventi mediorientali. E questo perché gli USA non hanno semplicemente risposte su come risolvere il problema. Ma lo status di leader globale ha come presupposto irrinunciabile la capacità di dare queste risposte. Pendiamo a titolo di esempio gli accordi raggiunti con l’Iran: è stato un caso in cui gli USA hanno valorizzato positivamente il proprio status di potenza mondiale, poiché invece di cominciare l’ennesima guerra hanno preferito avviare delle trattative e, insieme a Russia, Cina, Francia e Germania, hanno raggiunto un accordo concreto con l’Iran. E’ un utilizzo positivo della propria potenza e giustamente Obama vede in questo raggiungimento un merito della sua presidenza. Ma quanto è accaduto in Siria e in Iraq ha dimostrato che gli USA militarmente, certo, sono forti, ma questa forza è insufficiente a risolvere i problemi globali e raggiungere soluzioni politiche adeguate. Come si dice da noi, gli USA in Iraq hanno vinto la guerra, ma hanno perso la pace. L’Iraq, attualmente, è un paese distrutto.

-Qual è lo scopo dell’intervento russo in Siria? Si è consapevoli in Russia dei rischi? L’Unione Sovietica ha già sperimentato le conseguenze degli scontri con gruppi armati islamici in Afghanistan. Inoltre, si è preoccupati per la possibile conduzione di un «false flag»? Supponiamo, un bombardamento ai danni di civili effettuato dall’aviazione statunitense e poi addossato ai russi?

-Per quanto riguarda la Russia, l’intervento in Siria persegue diversi scopi. Il primo: impedire il rafforzamento dell’Isis, che tende chiaramente ad espandersi dalla Siria e dall’Iraq verso altri territori. Abbiamo fatto esperienza di questa cosa già in Cecenia. Il presidente El’cin nel 1996 firmò il cosiddetto Accordo di Chasavjurt col leader ceceno d’allora, Maschadov. La Cecenia, invece di preoccuparsi di creare basi morali e materiali per il nuovo stato, cominciò subito ad espandersi a danno dei vicini. Il fondamentalista Shamil Basaev proclamò la costituzione di un califfato dal Mar Nero al Caspio. Ecco, l’idea di un califfato l’abbiamo sentita per la prima volta non dall’Isis, ma da Shamil Basaev, con la sua idea di un califfato islamico nel Caucaso settentrionale. Simili movimenti non sono in grado di creare stati che possano esistere normalmente. Il loro unico fine è l’espansione religiosa ed ideologica. Il loro senso si esaurisce in questo. Non sono Stati creativi. Non saranno in grado di essere concorrenti seri dell’Arabia Saudita nella produzione del PIL, i profitti provenienti dalla vendita del petrolio andranno alla realizzazione del loro piano ideologico-religioso. Nient’altro. Se all’Isis viene offerta la possibilità di consolidarsi in Siria e in Iraq, uno dei vettori della sua successiva espansione sarà il Maghreb, poiché dopo la distruzione della Libia alcune sue parti sono già controllate dall’Isis. Dalla Libia si passerà senz’altro in Egitto, dove l’attuale governo ha già approvato le azioni russe in Siria, poiché non desidera assolutamente movimenti fondamentalisti nel proprio territorio. Il secondo obbiettivo dell’Isis è naturalmente l’Europa, mentre il terzo è il Caucaso russo, dove già si verificano attacchi terroristici e sono attive cellule wahhabite, e l’Asia Centrale, che hanno già cercato di destabilizzare a cavallo tra gli anni ’90 del secolo scorso e l’inizio del nuovo. Intendo in primo luogo il Tajikistan e l’Uzbekistan. Queste sono le direzioni a cui aspira l’Isis. Per questo riteniamo che debba essere annientato, poiché la sua eliminazione corrisponde anche alla nostra sicurezza interna. In Siria, quindi, stiamo lottando anche per tutelare noi stessi. Inoltre, se l’Isis vince, la Siria verrà annientata come paese, e questo aggraverà ancora di più la già insostenibile instabilità della regione, che diventerà ormai un motivo di minaccia per tutti. Non siamo interessati alla destabilizzazione del Medio Oriente, noi. Perché il Medio Oriente è vicino alle nostre frontiere. Ad esempio, ad Ankara c’è stato un atto terroristico, il Primo Ministro Davutoglu ha accusato l’Isis. Per questo riteniamo che l’Isis sia una minaccia globale. La soluzione di questa minaccia risponde anche alla soluzione dei nostri problemi di sicurezza nazionale.

-Ha detto che gli USA non sono più leader globali. Pensa che la Russia possa essere loro un concorrente serio, tenendo conto anche del fatto che presenta un sistema di valori contrapponibili alla civilizzazione statunitense?

-Al momento attuale la Russia non aspira affatto a svolgere un ruolo di egemone globale. Gli USA sono ancora un paese leader in campo economico, finanziario, militare, mediatico, tuttavia siamo giunti alla conclusione che l’egemonia statunitense sta assumendo dei tratti di giorno in giorno sempre più distruttivi. A suo tempo Vladimir Putin ha cercato di stabilire un «modus vivendi» con gli USA, che siamo stati i primi a sostenere dopo gli atti terroristici del 2001. Putin è stato il primo ad aver telefonato a George Bush dopo gli eventi di New York e Washington. L’egemonia statunitense potrebbe godere di lunga vita, se fosse costruttiva. Ma poiché essa ormai si esprime nell’inglobare con la violenza stati sovrani, non può avere prospettive per il futuro. Gli USA hanno invaso l’Iraq, vale a dire un paese della NATO, col pretesto del regime dittatoriale da cui era retto il paese. Ma scusi, l’Arabia Saudita e il Qatar sono forse dei paesi democratici? Esiste forse la democrazia nei paesi arabi? In Libia volevano un regime filo-statunitense, ma hanno ottenuto l’anarchia completa. Negli USA ora non è trend parlare di questa cosa, ma gli italiani, che conoscono bene la Libia, poiché è stata una loro colonia, riconoscono che la Libia post-Gheddafi è una catastrofe totale che non fa assolutamente onore alla NATO. Anche il colpo di stato ucraino del 21-22 febbraio 2014 ha avuto luogo con la partecipazione attiva degli stati occidentali. Non si dimentichi che i firmatari dell’accordo tra Janukovič e l’opposizione sono stati i ministri degli Affari Esteri della Polonia, della Francia e della Germania. Ma già il giorno successivo alla stipulazione dell’accordo questi stessi stati si sono detti impotenti dinanzi a quello che stava accadendo. A parte questo, mi sembra che l’egemonia globale statunitense stia divenendo un lusso estremamente pericoloso per le nuove realtà mondiali, poiché essa non porta stabilità in nessuna parte del pianeta: al contrario, dove gli USA compaiono, lì compare anche un’instabilità devastante, poiché agli statunitensi importa solo dei propri interessi egoistici, che essi impongono a tutti i paesi che si trovano sotto il loro controllo. Gli statunitensi sono persone di scarsa cultura, si ritengono la Quarta Roma, la Nuova Roma. Sono persino convinti che questa cosa possa durare a lungo…

-Cioè l’Ultima Roma…

-Per me gli USA non possono essere paragonati a Roma nemmeno in teoria. Piuttosto, gli USA soffrono del complesso di «indispensabilità ed eccezionalità». Ed è una cosa molto, molto pericolosa. Chissà perché, si sono convinti di essere una nazione eccezionale. Anche se non so in cosa siano così eccezionali. Non sono eccezionali in niente, se escludiamo la loro ottusità ed ignoranza. Non penso che queste «qualità» siano un modello esemplare per le altre nazioni. Lei ha notato giustamente che un paese che aspiri al ruolo vacante di egemone globale dovrebbe avere un sistema di valori, ma non è una condizione indispensabile. Non è indispensabile avere un modello sociale che possa attrarre gli altri paesi, glielo garantisco. La Cina, ad esempio: ha tutte le possibilità di diventare un paese egemone su scala globale, eppure il modello cinese è estremamente specifico: un modello fondato su un solo partito con un orientamento verso il mercato globale. E’ una concezione poco applicabile agli altri paesi. Ma quando Xi Jinping va all’ONU ed offre un miliardo di dollari per lo sviluppo sostenibile, per un programma di sviluppo sostenibile, tutti sono pronti a riconoscere nella Cina una posizione leader per il semplice fatto che questo paese offre mezzi concreti d’azione. Per cui non è necessario sviluppare un modello socio-statale valido per tutto il mondo. Il modello statunitense poi è inaccettabile a priori in moltissimi punti.

-Personalmente ho come l’impressione che la Russia sia ora l’unico paese europeo a conservare un determinato modello cristiano e culturale che, in larga parte, sta venendo invece devastato negli USA e nell’Unione Europea. Sbaglio?

-Se si parla di categorie morali, non penso che ora noi, russi, si stia creando un modello sociale attraente per tutti. E’ vero, il modello statunitense è attraente solo per chi non lo conosca realmente. Quando poi questa gente arriva negli USA, si rende conto che il paese non è governato democraticamente dal popolo e dai suoi rappresentanti, ma da un gruppo ristrettissimo di persone. E che non c’è affatto quella libertà tanto decantata dalle favole inventate sugli USA. Per quanto riguarda la Russia, la nostra forza consiste nel conservare dei valori tradizionali in opposizione ai nuovi valori anti-cristiani diffusi e predicati dal mondo occidentale. Questi valori avversi al cristianesimo sono promossi dall’elite finanziaria globale, interessata ad annientare i confini e le sovranità nazionali, che sono un ostacolo all’invasione dei suoi capitali. In questo senso, il destino dell’Unione Europea è estremamente indicativo. Se si annientano i confini e le sovranità nazionali, il mondo intero diviene territorio di preda per i principali centri del potere finanziario globale. Gli ostacoli vengono immediatamente tolti non appena le legislazioni nazionali vengono trasformate in un’informe legislazione globale. Dove sono i centri principali del potere finanziario globale? A Londra e a New York. Ed ora vogliono imporre anche a noi una… chiamiamola così… una civilizzazione globalizzata dove i valori reali non sono valori cristiani, ma i valori della cosiddetta libertà politica? Vi chiedo, in cosa consiste questa «libertà»? Nel votare ormai da 250 anni i candidati di due soli partiti, senza nemmeno la minima speranza di poter creare un terzo partito? Siamo seri: si tratta realmente di libertà? Oppure sarebbe più corretto dire «manipolazione e costrizione»? Ci offrono un modello di libertà sessuale assoluta, la cui conseguenza primaria è la distruzione della famiglia come istituzione sociale. Ci dicono che è il progresso. Anche nell’antica Roma esisteva una libertà sessuale pressoché assoluta, ma non sono convinto che ritornare a quel modello sia in realtà un progresso. I valori morali assicurano la sopravvivenza della famiglia, che a sua volta garantisce la sopravvivenza della nazione. E le nazioni -ogni nazione- sono un ostacolo per il globalismo. Per cui la Russia attrae chi ritenga che sia necessario conservare i valori tradizionali. La Russia riconosce i valori universali incarnati dai diritti umani, ma non ha mai riconosciuto la convenzione internazionale che ha permesso i matrimoni tra persone dello stesso sesso. La Russia offre una determinata gamma di valori eterni che garantiscono semplicemente la futura esistenza dell’umanità. E non credo che poi siano così tanti i paesi che accolgano con sincero entusiasmo la dichiarazione di Barak Obama secondo cui gli USA saranno garanti delle minoranze sessuali su scala globale.

-Aleksej Konstantinovič, come valuta l’attuale condizione della Serbia? Da una parte l’Unione Europea esercita pressioni perché il nostro paese tronchi i rapporti con la Russia ed introduca le sanzioni, cosa che il governo serbo si rifiuta di fare. Dall’altra, la maggior parte della popolazione serba chiede al governo di aumentare le relazioni con il suo paese.

-In un modo o nell’altro, la situazione serba non è semplice: l’Unione Europea rimane comunque un istituto forte, e la Serbia è costretta a prestare ascolto ai diktat di Bruxelles finché aspiri ad entrare in questa unione. Ma allo stesso tempo la Serbia non è ancora un paese membro dell’Unione, per cui non ha alcun obbligo diretto nei suoi confronti. Le assicuro che se l’Unione Europea avesse una pur minima libertà di scelta, una buona decina di paesi si sarebbe rifiutata di introdurre le sanzioni. La ragione è semplice: perché perdere i profitti derivanti dal commercio con la Russia? Perciò mi sembra che, riguardo alle sanzioni, la Serbia si trovi in una situazione piuttosto favorevole, vantaggiosa. Da quello che so, i produttori agricoli serbi hanno già visto un incremento delle proprie esportazioni in Russia da 200 milioni di euro a 320 milioni. Si parla cioè di un aumento del 40%. Nelle attuali circostanze la presenza delle sanzioni non può che favorire ulteriormente la collaborazione commerciale tra la Russia e la Serbia. Spero in tal senso che la visita di Vučić a Mosca possa portare dei frutti positivi. Sa ad esempio che in Serbia sono attive molte ditte russe? Intendo dire: siamo interessati ad un incremento massimo nei rapporti commerciali con la Serbia. La Serbia a sua volta deve comprendere che non esistono reali ostacoli a rapporti proficui con la Russia. Per quanto riguarda invece un contesto di sviluppo strategico, i politici serbi e il popolo serbo devono definire in maniera netta cosa realmente possa dare loro un probabile ingresso in una Unione Europea devastata dall’aumento dei prezzi, dalla povertà, dalla disoccupazione. Né la Lettonia, né la Bulgaria né la Romania hanno risolto i propri problemi una volta entrate nell’Unione: sono rimaste povere esattamente come lo erano prima. A vincere nell’Unione sono solo le elites, mentre i comuni cittadini perdono. Sino a venti fa l’appartenenza alla Comunità Europea garantiva un determinato tenore di vita, ma ora si osserva una stato di profondo ristagno e decadenza. I problemi derivanti dia profughi hanno ulteriormente aumentato la rabbia della gente comune. Ma è possibile che i paesi che vogliano entrare in Unione Europea non vedano quello che sta accadendo in Grecia, possibile che non vedano l’estremo grado di ostilità che la gente comune francese, italiana prova ormai nei confronti di questa unione?

-In Serbia osserviamo con preoccupazione la situazione montenegrina e, naturalmente, siamo sconvolti dall’atteggiamento dei vertici governativi montenegrini nei confronti della Russia e della Serbia. Qual è il suo parere a riguardo?

-Il Montenegro sta seguendo da tempo una linea anti-russa per non dispiacere agli USA e ai più accaniti nemici della Russia in Unione Europea e nella NATO, strutture dove il Montenegro vuole assolutamente entrare. Ma sia chiaro: questa è la posizione delle sole elites. La gente comune a Podgorica sta protestando contro l’ingresso del paese nella NATO. Posso supporre che le elites montenegrine vogliano così tanto entrare nella NATO, poiché l’appartenenza a questa struttura darebbe loro un potere quasi assoluto e permetterebbe loro di fare tutto senza doverne rispondere. Ad esempio in Kosovo era presente una rete per il traffico d’organi, non è così? Sembra che persino figure governative kosovare fossero coinvolte in questo traffico. Lo svizzero Dick Schwarz ha denunciato questo fatto al Consiglio Europeo, che ha mostrato un’indifferenza olimpica. Non è stato fatto nulla per fermare il traffico. Continuano a governare il Kosovo le stesse persone accusate di traffico d’organi. Semplicemente perché sono filo-statunitensi. Cioè, se siete filo-statunitensi, avete carta bianca per fare quello che vi pare senza timore di accuse e tribunali. L’ingresso nella NATO per questa gente è come un’indulgenza medievale: la possibilità di commettere impunemente crimini. E’ così che spiego la volontà delle elites montenegrine di entrare il prima possibile nella NATO. Per quanto riguarda le proteste popolari nella capitale montenegrina, l’accusa che si tratti di una manovra di Mosca è semplicemente ridicola. Ma come, quando si fa un Majdan a Kiev, si dice che sia democrazia, quando però lo fanno a Podgorica, allora c’è lo zampino di Mosca. Non riesco a capire: perché se fa comodo agli USA una protesta è democratica, mentre quando non fa loro comodo bisogna subito sospettare qualche oscura cospirazione russa? E’ un approccio assolutamente scorretto e manipolatore. Del resto, le dichiarazioni di Đukanović non mi sorprendono. Dimostrano semplicemente che non è stato in grado di convincere la popolazione montenegrina nel suo insieme della necessità di entrare nella NATO. Nulla di più semplice: attribuire alla Russia i motivi del proprio fallimento politico. I nostri rapporti col Montenegro sono da tempo pessimi: il Montenegro ha appoggiato le sanzioni contro la Russia, sebbene non appartenga ufficialmente all’Unione Europea.

-Cosa significa la piccola Serbia per la grande Russia in un generale contesto di geopolitica globale?

-Il fatto è che per noi la Serbia non è una piccola terra in qualche posto sperduto della terra. Da tempo abbiamo con la Serbia dei rapporti amichevoli ed una comune cultura ortodossa. Quest’ultimo fattore è importantissimo. Ci unisce la storia comune della lotta contro i turchi ed Hitler. La Serbia è l’unico paese in Europa che non abbia dato il suo assenso alle sanzioni e noi non possiamo non apprezzarlo. La Serbia è l’unico paese che, nella regione balcanica, abbia conservato delle relazioni ottimali con la Russia. Per cui ritengo che la sua terra abbia per noi un’importanza specifica, persino maggiore di paesi apparentemente più influenti, ma che in realtà hanno completamente ceduto la propria sovranità a Bruxelles e Washington. Attualmente siamo in procinto di stabilire delle relazioni a livello parlamentare, stiamo creando una commissione parlamentare fissa russo-serba: è un passo importante, se teniamo conto che abbiamo commissioni parlamentari congiunte solo con la Cina, l’India, la Francia e l’Italia. Naturalmente anche i legami culturali sono fortissimi, come testimonia la presente Fiera del Libro. In Russia mi si chiede spesso perché in Europa ci amino così poco. Allora rispondo: se volete andare in un paese dove ci amano, andate in Serbia. Anche se, escludendo le elites, altri paesi hanno un’attitudine positiva nei nostri confronti: la Slovacchia, l’Austria e l’Italia, dove atteggiamenti russofobi sono praticamente inesistenti. Aggiungerei anche la Spagna e la Slovenia. Ma la Serbia è particolare. Qui è come se fossimo a casa.

«Sostegno» non è «multipolarità»

Nessuna forza è in grado di governare il mondo da sola. Molto più naturale sarebbe la cooperazione tra paesi leader capaci di controllare insieme il corso degli eventi nel pianeta, cominciando dal problema del riscaldamento globale per finire con questioni di sicurezza locale. All’Assemblea Generale dell’ONU, Obama ha riconosciuto che gli USA non possono risolvere questi problemi senza l’aiuto degli altri paesi, ma con il termine «aiuto» intende un sostegno da gregari dato ad un solo paese egemone. E’ in quest’ottica che siamo stati invitati a cooperare in Siria. Ma noi non intendiamo affatto cooperare con paesi che riforniscono l’Isis di toyota. Riteniamo invece che debba esistere un coordinamento regionale tra paesi leader che abbiano un identico peso (Russia, Cina, USA, India, UE) e che raggiungano un accordo anche con l’Iran, in maniera da evitare il formarsi di una situazione esplosiva che potrebbe dare vita ad una nuova guerra. Ma gli statunitensi sono persone rozze, si ritengono la Quarta Roma, la Nuova Roma, e pensano che questa cosa possa durare a lungo.

http://www.geopolitika.rs/…/intervju/867-2015-12-29-06-05-12

(Traduzione a cura di Claudio Napoli)