Il proletario che vota Salvini

 

Dopo la caduta del Muro di Berlino il Pci rimase antifascista, internazionalista, femminista, antirazzista, retoricamente pacifista e dirittumanista, ma smise definitivamente di essere anticapitalista. Giustificò, senza più alcun equivoco, la struttura economica. Diventò liberal-socialista, oggi “democratico”, obamiano e blairiano fighetto e radical-chic, con i-phone d’ordinanza e Davide Serra pronto a spiegare dalla city di Londra i benefici del jobs-act. Il PD è diventato il partito del “sistema”: delle politiche neoliberiste, del “ce lo chiede l’Europa“, del morire per Maastricht, dell’immigrazione selvaggia, dell’atlantismo più servile, dell’antimafia di facciata che va in onda su Ballarò.

E’ passato dalla critica alla legittimazione dell’esistente. I piddini hanno sbavato sul loden di Monti, salutato nel Sole 24 Ore e nell’Economist le avanguardie rivoluzionarie per un’avvenire di progresso e scritto la “finanziaria dei sogni” di Squinzi. Se un operaio vota per la Lega è colpa del becero populismo demagogico di Salvini, ma di certo non è un problema per il piddino medio.

Forse per quell’operaio che vive in una periferia-ghetto la vita sarà resa più difficile dall’arrivo di centinaia di “migranti” stipati come bestie in “centri di accoglienza”, considerando anche è facile che questi nuovi residenti divengano un esercito industriale di riserva da sfruttare e sottopagare per spingere al ribasso i diritti e le garanzie della classe operaia autoctona, cioè degli italiani poveri, ma sono discorsi xenofobi. Al PD e ai suoi elettori, alla fin fine, basta un articolo dell’Huffington Post per Comprendere.

(di Daniele De Quarto)