Immodesta proposta: un’Assemblea Costituente a maggioranza M5S-Lega

Ci sono fondamentalmente due ordini di ragioni per cui gli italiani, stando ai sondaggi, mantengono un’alta fiducia verso il governo-ircocervo M5S-Lega, sorto da un’alleanza di necessità ma sviluppatosi secondo una comune ispirazione sovran-populista: l’inconsistenza e la pochezza di prospettive della cosiddetta opposizione da un lato, e quella che chiameremo creatività distruttrice, data dalla natura inedita dell’accoppiata, dall’altro. Una natura, tuttavia, esposta doppiamente al pericolo cui vanno incontro tutti i governi: l’incoerenza fra aspettative e risultati.

Che è la sola vera colpa che i cittadini non perdonano. Mai.
La reale forza che puntella la maggioranza grillo-leghista sono le minoranze. A sinistra, il Partito Democratico non è neppure in partita, imparanoiato com’è a dilaniarsi le proprie stesse spoglie nel rito delle primarie. Non propone nulla, si limita a fare un obbligato controcanto destituito di ogni credibilità presso il suo stesso popolo, stufo marcio della cecità permanente in cui si vegeta vecchia e “nuova” classe dirigente (Zingaretti ripete le stesse formulette di sempre: penoso). Più a sinistra ancora c’è il vuoto assoluto, e solo perché si ostina a definirsi comunista, oltre che per essere pure lui stagionato, un Marco Rizzo non ha chances di dar vita a una “cosa rossa” potenzialmente vincente, essendosi congedato, vivaddio, dai patetici totem del sinistrismo borghese (auto-inganno immigrazionista, dirittismo ultraliberale, atlantismo ecc).

Passando a destra, la ridicolaggine dei “gilet azzurri” rende in pieno lo stato di pre-morte, ovvero la totale sconnessione con la realtà in cui versa quel che resta di Forza Italia e del suo faraone mezzo imbalsamato. Fratelli d’Italia vive nella speranza che la Lega un giorno o l’altro si stacchi dai pentastellati, perché altrimenti, da solo, conta come il due di briscola, pretendendo di essere nei riguardi della Lega quel che qualche ingenuo nel micro-mondo di certa sinistra neo-sovranista vorrebbe essere nei confronti del Movimento 5 Stelle: rappresentare il populismo autentico e coerente. Ma in politica, quando c’è già qualcuno ad occupare interamente uno spazio di idee e di interessi, pensare di scalzarlo in una gara di purezza non paga mai: opinione pubblica ed elettorato premiano sempre il più forte. In generale, dunque, dalle opposizioni non emerge nessuna alternativa concreta.

Che vantaggio potrebbe avere Salvini a ricomporre un centrodestra finito e strafinito, essendo già di fatto il suo il partito unico dell’emiciclo destro? Tanto vale proseguire per egemonizzarlo e conquistarlo del tutto, e addio – finalmente! – alle scorie superflue del passato. Quanto a Di Maio, andare per farfalle dietro al Pd significherebbe ridare fiato e credito ad un fantasma, il che non avrebbe alcuna logica. Quanto a qualche futuribile nuovo movimento di centro, più o meno cattolico e senz’altro liberale, che è il sogno dei misoneisti di tutti i colori e specialmente di quelli acquartierati in Confindustria e affini, semplicemente non c’è un cane disponibile a mettere in piedi un’avventura senza retroterra popolare. Insomma: chi li voterebbe, i benpensanti adoratori di papa Francesco e timorati dei divini mercati?

Ma oltre ad una ragione contestuale, ce n’è anche una tutta interna alla maggioranza, a garantirle paradossalmente solidità. Diciamo paradossalmente poiché consiste in ciò che viene comunemente additato come difetto, quando in realtà è un motivo di forza, nel breve-medio periodo. E cioè la dialettica anarchicheggiante che vede spesso il governo sdoppiarsi in due governi diversi e coesistenti. Con il M5S a professare una tesi, e la Lega un’altra, andando in disaccordo su temi anche molto rilevanti e che stanno nel, e non fuori dal contratto, come il Tav. Questa contrapposizione taglia fuori l’opposizione, come abbiamo visto già esangue di suo, presidiano l’intera scena politica. In pratica, i due governanti si fanno opposizione fra di loro da soli, e mettono così fuori gioco gli oppositori politici.

Ma attenzione: non quelli nel corpo vivo della società italiana. Se ad esempio si dovesse mai attuare un referendum sul Tav (che i grillini concettualmente sbagliano a osteggiare, nello stesso momento in cui rilanciano la modifica della Costituzione per inseririrvi il referendum propositivo), e dovesse vincerlo il fronte del Sì che include anche la stessa Lega, sarebbe uno smacco che certamente incrinerebbe il patto “contrattuale” di Palazzo Chigi, indebolendo uno dei due contraenti, ossia il M5S, e fornendo ossigeno ad una futura neo-opposizione che si ricostruirebbe su temi di forte presa com’è quello, ormai assorto a simbolo-spartiacque di due modelli di economia e di sviluppo, dell’alta velocità. Di qui il no grillino, ideologicamente incoerente ma politicamente, dal loro punto di vista, ragionevolissimo: una sconfitta su una questione per loro identitaria di questa importanza contribuirebbe potentemente a infondere al loro avvenire l’aura del declino. A quello loro e di conseguenza alla convivenza con la Lega.

In un un’ottica di breve termine, tuttavia, queste continue difficoltà di coabitazione rappresentano anche un segno di vitalità: si abbattono i tabù, si succedono situazioni impreviste, cadono certezze, niente è più prefissato e prestabilito. E’ come se il governo Di Maio-Salvini regalasse una incessante creatività, caotica e distruttiva, o meglio distruttrice di quei confini e di quelle linee rette a cui ci aveva abituati la defunta dicotomia Destra-Sinistra, col vecchio schemino delle caselle risapute e obbligatorie. Occhio, però: se questo può reggere per un po’, sicuramente fino alle europee e probabilmente anche dopo, alla lunga può rovesciarsi in un limite suicida.

Se dal caos ad un certo punto non escono misure e provvedimenti visibili e palpabili, il popolo invertirà la fede nel frankestein comunque preferito ai cadaveri di prima, in delusione e rancore, e quindi in vendetta elettorale. I colpi messi a segno finora, per quanto ridimensionati e in qualche caso molto al di sotto degli intenti iniziali (riforma legge Fornero, “manovra del popolo”), o più d’immagine che di sostanza (ma l’immagine conta: si pensi al taglio dei vitalizi, al risarcimento per le vittime delle banche, o l’arresto di Battisti), sono un viatico che lascia il bicchiere a metà. E non stiamo parlando tanto dei rospi già ingoiati (il Nord leghista che ingoia quello del “decreto dignità” grillino, o il Sud grillino che deglutisce quello leghista dell’autonomia lombardo-veneta), ma di queste stesse promesse nel caso in cui non venissero mantenute.

Non parliamo tanto dei dossier tutto sommato minori o localizzati, o anche decisivi ma non percepiti come tali dal grosso delle masse, che l’uno e l’altro hanno dovuto sacrificare sull’altare dello status quo o delle rispettive priorità (il Tap, le trivelle, il Terzo Valico, lo Spazzacorrotti, la legge sulla sicurezza, gli ondeggiamenti sulla chiusura dei porti, lo scontro con la tecnocrazia Ue ridotto poi a più miti consigli, e giocoforza, data la gracilità della formula populista all’italiana). No, quello di cui parliamo sono quelle poche, ma capitali realizzazioni che toccano il portafogli e la sensibilità profonda dei due elettorati, dal “reddito di cittadinanza” alla flat tax, senza le quali l’atteggiamento perdonista e giustificazionista di questa prima fase si trasformerà in rabbia di ritorno, moltiplicata per quella investita in questi anni nelle due forze elette per rappresentarla.

Ma guardiamo al di là. La sfida epocale per questo governo, che deve guardarsi in fin dei conti più dai poteri forti di sempre nonché da se stesso, è di superare il momento della tattica, in cui ciascuno dei due alleati-rivali cerca di agguantare il più possibile tenendosi in difficile equilibrio, per giungere al piano della strategia: progettare insieme due o tre Grandi Riforme costituzionali, non vorremmo dire dal sapore rivoluzionario ma quasi, ma non su astruserie tecniche, ma sulla vita (far giustizia dell’immondo articolo 81, per esempio?) in modo da infondere una missione che possa rendere plausibili e passabili le diatribe che continueranno a esserci.

Perché non provare a mettere mano ad una revisione sufficientemente radicale della Costituzione, indicendo un’Assemblea Costituente (eletta rigorosamente col proporzionale) in cui avere una maggioranza, provando ad elaborare – ma sì, sogniamo – un pensiero comune di fondo perlomeno su alcuni aspetti? Se quella volta ce l’hanno fatta comunisti e democristiani, possono farcela anche leghisti e grillini. Perché non fare di questa una legislatura costituente, anzi, rifondante per l’Italia?

(di Alessio Mannino)