"Posti per soli uomini": la Supercoppa in Arabia Saudita e le ipocrisie del calcio

“Posti per soli uomini”: la Supercoppa in Arabia Saudita e le ipocrisie del calcio

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Non si sono ancora spenti gli echi delle polemiche di Inter-Napoli che già la Federazione Calcio viene investita da un’altra ondata di sdegno. In previsione dell’incontro di Supercoppa tra Juventus e Milan, in programma il prossimo 16 gennaio a Gedda, in Arabia Saudita, è emerso che la maggior parte dei settori dello stadio King Abdullah saranno riservati ai soli maschi, mentre le donne potranno accedere a una parte minoritaria dell’impianto – ma solo se accompagnate dagli uomini.

E così, se i deprecabili cori razzisti indirizzati al difensore del Napoli, Koulibaly, hanno fatto stracciare le vesti di opinionisti e commentatori di ogni genere, imponendo alla società interista pesanti sanzioni, quest’ultima vicenda mette in evidenza tutta l’ipocrisia del mondo del calcio, che è sempre in prima fila per condannare, anche violentemente, cori e striscioni inneggianti al razzismo e alla discriminazione, tranne quando, come in questo caso, ciò comprometterebbe i propri introiti. Un eventuale ritiro della Federazione Calcio dall’accordo con i sauditi causerebbe infatti il mancato incasso di 21 milioni di euro, di cui 7 spetterebbero a Juve e Milan.

L’argomento è ovviamente molto più ampio. Le monarchie del Golfo Persico sono entrate prepotentemente nel calcio da qualche anno, dapprima con sponsorizzazioni e finanziamenti e poi con l’acquisto di varie società dei campionati europei letteralmente rivitalizzate a suon di milioni. Due gli esempi più lampanti: innanzitutto il Manchester City, comprato dallo sceicco emiratino Mansour nel 2008 e portato in cima al calcio europeo con investimenti faraonici; e poi il Paris Saint-Germain, rilevato nel 2011 dal fondo sovrano del Qatar, che fa capo all’emiro Al Thani e che in sette anni ha speso più di un miliardo di euro per risollevarne le sorti.

Il calcio, del resto, è lo sport più seguito al mondo, e conseguentemente rappresenta un potente strumento di propaganda. Da questo punto di vista, però, le varie federazioni europee, dalla UEFA in giù, fanno finta di niente. Del resto è come dicono spesso i ciclisti risultati positivi all’antidoping: la giustificazione comune è: “Lo fanno tutti, se non lo facessi anche io non sarei più competitivo”.


La polemica sui posti a sedere della Supercoppa pare però destinata ad essere molto meno dirompente rispetto a quella sul manipolo di imbecilli che qualche giorno fa ululava contro Kalidou Koulibaly, e che è stata protagonista delle prime pagine per almeno una settimana. Troppi soldi in ballo, innanzitutto, e poi la consapevolezza che, se si iniziasse a mettere in dubbio la scelta morale di accettare soldi dalle petromonarchie, potrebbe partire un effetto domino che inficerebbe – e impoverirebbe – l’intero calcio europeo.

Chi non ricorda la sceneggiata di Roberto Mancini, che qualche anno fa si presentò infuriato davanti alle telecamere accusando l’allenatore del Napoli, Maurizio Sarri, di averlo chiamato “finocchio”? In quell’occasione Mancini disse che certi atteggiamenti non erano più tollerabili e che “accadono solo in Italia e non in Inghilterra, che è un Paese civile”.


Nessuno ricorda però il rifiuto di Mancini di allenare il Manchester City, di proprietà di un emiro di un Paese che gli omosessuali li mette direttamente a morte. E nessuno lo ricorda perché ciò non è mai avvenuto: Mancini ha allenato il City dal 2009 al 2013, percependo un milione e mezzo di sterline l’anno – e tralasciamo qui le indagini della magistratura britannica secondo cui una cifra ancora superiore gli sarebbe stata versata ogni anno su un conto offshore delle isole Mauritius.


Tutte queste contraddizioni esploderanno in occasione del Mondiale del 2022, che si giocherà in Qatar. Pur di incamerare le spaventose somme di denaro promesse dall’emiro di Doha, la FIFA ha permesso che si organizzasse per la prima volta un mondiale durante i mesi invernali invece che in estate, per evitare il caldo soffocante del deserto ma scombussolando così la preparazione atletica di tutti i maggiori campionati del mondo per almeno due anni.


Ci sono poi aspetti molto inquietanti sull’organizzazione stessa dell’evento. Il The Guardian ha pubblicato oltre mille documenti, noti collettivamente come Qatar Gate, che evidenzierebbero un enorme giro di tangenti per l’assegnazione del mondiale alla monarchia araba. E non solo: a quanto pare, per la costruzione di stadi e impianti c’è stato ampio ricorso alla manodopera infantile e alla schiavitù. Sì, schiavitù: è il sistema della kafala, in uso in molti Stati islamici e che vieta ai lavoratori (quasi sempre stranieri, sempre sottopagati) di cambiare impiego senza il permesso del datore di lavoro attuale e, inoltre, impedisce loro sia di ribellarsi alle violenze subite sia di lasciare il Paese.

E non vogliamo qui sfiorare il discorso del comprovato flusso di denaro che dalle capitali della Penisola Araba fluisce nelle casse delle varie organizzazioni terroristiche di ogni parte del mondo: se si dovesse tener conto anche di questo aspetto, non sarebbe solo il mondo del calcio a dover fare a meno dei finanziamenti delle petromonarchie, ma anche gli stessi Stati europei. E quindi per questi ultimi è meglio far finta di niente, sperando che il prossimo attentato non si svolga sul proprio territorio.


Quello dei posti a sedere per la Supercoppa Italiana è quindi solo uno dei molteplici aspetti di un problema che tutti fingono di non vedere. Un’ipocrisia lampante, specie da parte di chi è pronto a invocare polizia e magistratura quando quattro proletari abbrutiti insultano il milionario di turno allo stadio.

(di Roberto Bargone)





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