Governo-UE: retromarcia che sa di sconfitta

Se cercare un ago in un pagliaio è impresa ardua, cercare la coerenza in politica è una missione talmente impossibile che neanche il migliore dei Tom Cruise potrebbe nemmeno provare a portarla a termine. Per non parlare poi di quando la politica si sposta, dai banchi dell’opposizione a quelli del governo, con tutte le responsabilità, i bilanciamenti tra i poteri (più o meno palesi), gli appoggi, le mediazioni e le strategie che ne derivano.

È l’eterno tema della realpolitik, la politica pragmatica e concreta che fa storcere il naso ad un idealismo puro e incontaminato che ha l’arduo compito di doversi confrontare con la realtà. Ed è in virtù di questo principio che chi parte da premesse estreme finisce, quasi sempre, inevitabilmente per ammorbidirsi.

Non sono scampate a tale sorte le due anime del governo gialloverde, partite entrambe da movimenti di lotta e di battaglia (dai referendum per l’uscita dall’euro dei grillini alle ferree convinzioni “basta euro” leghiste, con tanto di sito, gadget e programmi) e finite a mediare sui valori decimali del deficit.


Rassicurati, in sede di formazione del governo, gli uomini di Bruxelles sulla assoluta impossibilità che il nostro Paese esca da euro e UE con questo esecutivo, le due massime forze sovraniste del nostro Paese si sono dovute via via ammorbidire sempre più anche in tema di rispetto delle regole europee.


“Non sforeremo il 3%” diceva Salvini a Marzo ma, aggiungeva, “se per aiutare la crescita si dovesse sforare dello zero virgola qualche vincolo europeo, quello zero virgola non sarebbe un problema”. Anche Di Maio, ad Agosto, dichiarava che sforare il famoso vincolo non era poi cosa da escludere: “Se per raggiungere i nostri obiettivi servirà, accederemo agli investimenti in deficit.”.

Ebbene nonostante queste premesse lo sforamento non viene nemmeno preso in considerazione, ce ne teniamo anzi ben distanti presentando una manovra con deficit al 2,4%. Ma non basta per l’Europa che, in virtù del solito mantra del debito pubblico troppo elevato, chiede al governo (mentre concede ad altri Paesi di fare il bello e il cattivo tempo) una ulteriore riduzione.

Braccio di ferro, tiro alla fune, dichiarazioni al veleno da una parte e dell’altra per finire col governo che, ancora una volta è costretto a mollare un pezzettino di corda. Quel 2,4 diventa quindi 2,04. Peccato che il commissario europeo Moscovici abbia già annunciato che nemmeno questo ulteriore passo verso le richieste di Bruxelles sia ancora abbastanza, mettendo così il governo in una posizione a dir poco scomoda.

È il momento della verità. Partiti dal “Basta Euro” ci si è ammorbiditi sul “cambiare dall’interno”. Dal restare dentro potendo sforare i parametri si è poi passati al rispettarli e da lì ancora a cedere decimali per assecondare le richieste di politica economica volute dall’Unione Europea. Le soluzioni ulteriori sono due: rialzare la testa dopo aver mostrato la totale sordità di Bruxelles alle esigenze italiane o piegarla del tutto. 

Insomma tra i due contendenti del braccio di ferro UE-governo, in tema economico non c’è dubbio che il nostro esecutivo dia l’impressione di stare sempre più soccombendo. E se, come detto in premessa, un ammorbidimento è concesso per realpolitik, bisogna stare attenti a che diventando troppo morbidi non si finisca per sgretolarsi. Il popolo italiano ha votato per un cambiamento totale: farlo diventare meno netto potrebbe essere comprensibile, annullarlo del tutto no.

Farò in modo che l’Italia non viva le scene che stanno vivendo i francesi” ha detto alla stampa estera Matteo Salvini pochi giorni fa. Caro ministro, Lega e 5 stelle rappresentano l’unica via politica al sovranismo in Italia: attenzione a farla crollare perché, in assenza di una alternativa politica, quella di piazza resta l’unica strada percorribile.

(di Simone De Rosa)