Sono le 8:25 del mattino. Scrivo da un treno con il wi fi traballante, ma per ora stabile. Leggo le principali testate: Corriere, la Repubblica, il Giornale, La Stampa e via discorrendo.
Nemmeno un titolo sulla Vittoria (a parte Mattarella che sul Corriere ci ammorba per la centottantesima volta in 3 anni con il fatto che l’amor di patria non è nazionalismo estremo, tanto per non farsi mancare mai l’ossessione di dover sempre parlare indirettamente di fascismo), mi auguro che nel pomeriggio qualcosa succeda, ma non sono ottimista. Oggi sono 100 anni dal momento in cui – qualcuno ha scritto – l’Italia non si spezzò, ma risorse e vinse una Guerra che – in pochi lo ricordano – ha sempre dominato. Ovviamente patendo gli stenti di quel conflitto: poche conquiste e tanti sacrifici.
Vengo da una presentazione del mio nuovo libro a Brescia. Sì, parlo di Grande Guerra. Incontro un signore che, nella fase finale delle domande, si chiede come abbiano combattuto quella stragrande maggioranza di contadini che componevano l’esercito italiano.
“Con onore e senso del dovere. Non penso che dovessero essere tutti eroi per forza”. Il signore storce un po’ il naso. Sono stati portati lì con la forza, dice fra i denti, sebbene con grande educazione.
“Sono stati fucilati in meno di 1200 su 5 milioni e 200mila mobilitati per diserzioni e decimazioni, faccia un po’ lei i conti di quanto il fenomeno abbia inciso”.
Mario Isnenghi, del resto, lo ha sottolineato: la stragrande maggioranza dei soldati italiani fu fedele, e in alcuni reparti speciali l’eroismo era addirittura condiviso. Se ci si aspetta milioni di eroi, in Italia come ovunque, o si è incredibilmente cretini o patologicamente ingenui.
Intanto dopo l’ottobre – novembre 1917, l’Italia reagì. Reagì nonostante fosse ripiegata su sé stessa, con il nemico alle porte, pronto forse a rivoltare all’ultimo momento una guerra che aveva sempre perso per anni. Sarebbe stata una sorpresa, quasi come un gol in contropiede subito dopo una gara dominata all’attacco.
Invece l’Italia, che per molti altro non è che una novella Jugoslavia, una nazione inesistente formata da popoli diversi senza nemmeno una storia comune, reagì. E dimostrò al mondo già allora quanto sia sempre stata qualcosa di diverso.
E che se fosse davvero la nazione inventata che molti tentano di distruggere, forse sarebbe morta già in quel dicembre del 1917. O comunque, fidatevi, lo Stato unitario non sarebbe sopravvissuto fino ad oggi.
Viva l’Italia che reagì, viva l’Italia che ancora spera. Sono le 8:38 e da un treno sulla via di ritorno per Roma è tutto. Di titoli ancora nulla. Ma è obbligatorio continuare, nel nostro piccolo, a fare diversamente. Tutti i giorni. Ogni mattino fino alla sera.
(di Stelio Fergola)