Giovenale, profeta del politicamente scorretto

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Spendere la vita per la verità”. Un imperativo, una sentenziosa e gnomica espressione che ritroviamo nella Satira IV di un poeta che nelle composizioni riusciva ad intrecciare con ironia l’intuizione per una provocazione pungente e scomoda, agli usi e i costumi della sua epoca.

Decimo Giunio Giovenale, poeta nato ad Aquino il 50 d.C., visse nel periodo più stagnante dello splendore imperiale, nel decadentismo morale che ripudiava il “mos maiorum” su cui in passato l’aurea civiltà romana poneva le sue radici. Giovenale era un cliens, succube delle classi più abbienti e benestanti, non poté mai esprimere per tal motivo posizioni politiche né pensieri di libertà morale. Egoisticamente pensando, la condizione sociale del poeta ad oggi si può definire fortuita e benefica; infatti se essa non vi fosse stata, non vi sarebbe rivelata “l’indignatio” che ha portato l’autore alla composizione di manoscritti carichi di politicamente scorretto che ad oggi suscita riflessione.

Analizzando le satire di Giovenale, troviamo l’impronta di un malessere di vita, una denuncia contro le élite del potere e di quello che al giorno d’oggi potrebbe essere evidenziato e soprannominato come “ipocrisia della casta”. I manoscritti dell’autore sono sempre stati studiati ed analizzati anche dopo la sua morte; a distanza anni, nel medioevo furono inseriti nei programmi d’istruzione scolastica, i fanciulli dovevano imparare a leggere e comprendere quello che pareva un autore profetico che tanto criticava il presente quanto elogiava nostalgicamente uno splendore passato non più esistente.

Nella III satira, Giovenale denuncia la presenza di immigrati nella capitale, prevalentemente greci e orientali. Il poeta parla di una Roma ormai in preda alle influenze di una cultura ipocrita e barbara come quella greca. Gli orientali e i greci, abili nell’adulazione, venivano scelti dai ricchi romani, spesso assoldati come intellettuali, lasciando di conseguenza i cittadini romani nella rovina e costretti a rifugiarsi altrove. Giovenale denuncia nelle altre satire anche la mercificazione dei corpi femminili, le donne che parlavano greco semplicemente per apparire acculturate e migliori. Viene denunciata l’ipocrisia e il potere assoluto dell’ostentazione delle ricchezze, il denaro, così come oggi, può comprare tutto.

Ebbene, se ignorassimo la contestualizzazione storica dell’autore, verrebbe quasi naturale pensare che si stia parlando della società odierna, del nostro secolo e delle nostre vite.

Può Giovenale dunque considerarsi un profeta di due epoche tanto differenti quanto uguali?

Le analogie sono tante, Giovenale, insieme ad autori come Persio, rappresenta la voce fuori dal coro, l’uomo che pratica l’adverso flumine in una società che vive vorticosamente secondo delle logiche ormai cariche di relativismo e poche certezze.

Portando avanti dei parallelismi logici, i “Giovenale” dell’età odierna sono pochi, così come nell’antica Roma; criticare costruttivamente, elaborare ragionamenti basati su una riflessione soggettiva è difficile, quasi impossibile. Giovenale poteva servirsi della chiave della satira portata avanti dalle caratteristiche pungenti del linguaggio sarcastico e politicamente scorretto. Il nostro secolo è quello dei millennials, la generazione Y che proietta le proprie aspettative di felicità, nei social network, nell’uso spesso sfrenato del web, nella cultura del decadentismo dei corpi, dell’elogio del brutto, nella normalità della pornografia e della mercificazione di sé stessi verso un sistema che con la globalizzazione espressa senza alcuno scrupolo etico e morale, tratta le merci e gli umani allo stesso modo.

Essere il “Giovenale” d’oggi per indurre alla riflessione il Giovenale di domani.

“Facit Indignatio Versum”

(di Giuseppe Ferraro)

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