Se il Governo non vuole scontrarsi con Bruxelles è tutto inutile

Su SkyTG24 ieri sembrava di essere a una festa. Tutti sorridenti, inviati dalle principali borse, conduttrice, analisti in studio, per dire la stessa cosa: i toni del governo sono cambiati sul rispetto del patto di stabilità. Sorridevano davvero mentre lo dicevano, avrei voluto fare anche un video per quanto era evidente e palpabile, mai visto niente del genere nemmeno in una trasmissione di Santoro.

Festa stra-motivata, se le cose andranno proprio così, perché rappresenteranno per l’ennesima volta l’arrivo a quel confine che nessun governo italiano è stato mai in grado di superare, al netto degli intenti e delle dichiarazioni, quel confine a partire dal quale le opposizioni, oltre che tramite l’aiuto dei soliti magistrati e del monopolio della stampa (nel caso della sinistra, chiaramente) recuperano sempre terreno e impediscono di dare continuità di consenso – e dunque di operativitità – a un qualsivoglia esecutivo.

“Non sfidiamo l’UE”, è diretto Di Maio. “Vogliamo rispettare gli impegni presi con gli italiani restando nei vincoli imposti dagli altri”, ancora più diretto Salvini.

Nella legge di stabilità sembrano esserci, comunque, tanto un principio di reddito di cittadinanza (19 miliardi di euro) che  un abbozzo di Flat Tax sulle imprese (3,5 miliardi).

A prescindere dalle valutazioni che si possono avere su entrambe le operazioni (delle quali non sono esattamente entusiasta, personalmente, soprattutto della prima) è però il principio che ci pone di fronte al problema principale: il limite.

Il limite contro le coperture, quegli scogli che separano il Paese dalla propria libertà economica e finanziaria. Quanto sia impossibile o comunque molto complicato superare quel limite è storia nota.

E’ altrettanto storia nota che l’Italia sia sempre – o quasi – rimasta al di sotto, mentre la Francia solo qualche anno prima dell’elezione di Macron ebbe la forza per dichiarare il proprio sforamento al valore del 3% senza battere ciglio.

Non si tirino fuori i soliti discorsi sull’enormità del debito pubblico italiano: quello francese è più basso ma comunque elevatissimo.

Per carità, c’è anche la speranza che le dichiarazioni ufficiali siano seguite da azioni completamente diverse, del resto la stessa composizione dell’esecutivo è più formale che sostanziale: ad oggi esso pare una sorta di triumvirato in cui due vicepremier lavorano su un piano di superiorità rispetto al premier ufficiale, il ministro dell’economia Tria (probabilmente) lavora di concerto con altri ufficialmente non coinvolti (Savona ma al di fuori dei ruoli ufficiali forse perfino Bagnai), quindi non si sa mai e, come sempre, si vedrà.

Ma la verità è che l’Italia- terza economia dell’Unione, senza la quale la stessa Unione potrebbe crollare domani mattina – non ha la cultura, ad oggi, per produrre un governo veramente di rottura rispetto ai padroni europei. Non la possiede a livello sociale, prima ancora che politico.

Fin quando non si invertirà la tendenza, fin quando non torneranno lecite certe tematiche su ogni piano possibile, si potranno avere governi più o meno di tendenza, ma rimarranno sempre eccezioni. Che quel maledettissimo “limite” non lo supereranno mai.

(di Stelio Fergola)