Il rosso: non per i lavoratori, ma per la globalizzazione

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Manco una settimana dalla splendida figuraccia firmata Rolling Stone che la sinistra italiana (intesa non come un partito, ma come un modo di pensare che parte dal PD per giungere ai vari ex-SEL, SI, LeU, e perfino buona parte dell’elettorato grillino) fa un’altra figuraccia. Magliette rosse, emorragia di umanità, dicono.

Ora, la prima cosa che viene alla mente è come diamine faccia la sinistra stessa a produrre sempre nuove espressioni retoriche, e soprattutto come diamine faccia a renderle ancora più ridicole delle precedenti.

Basterebbe il buon Gad Lerner, incamiciato di rosso con il rolex  di cui ormai parla – giustamente schifato – pure il fruttivendolo sotto casa, a far produrre grasse risate a tutti, ma volevo interessarmi di qualcos’altro.

Il rosso: non per i lavoratori, ma per la globalizzazione

E questo “qualcos’altro” è lo scandaloso potere che tutt’oggi possiedono questi signori in termini di condizionamento e indottrinamento delle giovani generazioni. Talmente ampio da pervadere una scuola che, oltre ad essere totalmente ininfluente per i valori contrari alla società liberal-capitalista, vi funge da miglior eco quando ne é emanazione diretta.

Il rosso: non per i lavoratori, ma per la globalizzazione

Tutti in maglietta rossa, i signori professori, durante una commissione d’esame. Stipendi certi, facce sorridenti, e l’immancabile “restiamo umani” ripetuto a pappagallo come tutti i mantra dei loro buonissimi e solidali padroni.

La “serietà” di un’iniziativa che, nonostante tutto ciò che è venuto fuori sul business dell’immigrazione e sul ruolo assolutamente complice delle ONG (spesso volontario, altre volte magari no), continua imperterrita a diffondere un verbo che significa due sole cose: l’incitazione alla tratta e allo schiavismo, alla guerra tra popoli.

Perché le magliette rosse sono de facto magliette per il commercio, per la tratta degli esseri umani, per il lavoro sottopagato, per il razzismo anti-italiano.

Credo che il peggio in assoluto sia rappresentato da quell’istituzione ormai tragicomica, imbarazzante, ridicola espressa dalla sigla CGIL. La signora Susanna Camusso ha ormai toccato il fondo sotto molteplici aspetti: ideologico, culturale, etico, nazionale. Qualcuno dirà che i sindacati italiani sono quasi sempre stati eco di un pensiero che, dagli anni Quaranta in avanti, si è configurato apertamente come anti-nazionale.

Il rosso: non per i lavoratori, ma per la globalizzazione

Mai però si era raggiunto un livello tanto ignobile, tanto vergognoso, da dimenticare completamente, nei fatti, l’oltre 30% dei giovani italiani disoccupati, di fatto messi in secondo piano di fronte al mantra dell’accoglienza.

Un livello espresso già ad ottobre, quando il sindacato gettò i suoi pochi brandelli di dignità per approvare ufficialmente le cittadinanze regalate, quelle che potenzialmente concedono a centinaia di migliaia di stranieri la certificazione di diritti che già ora ostacolano gli aiuti che lo Stato dovrebbe sacrosantamente ai propri figli, se poveri, se terremotati, se indigenti.

Il rosso: non per i lavoratori, ma per la globalizzazione

Persone disperate alle quali stranamente la sinistra non dedica mai nessuna delle sue ridicole iniziative, rendendo ben chiare, come al solito, le proprie priorità.

Per carità, in un certo senso siamo pure contenti: di pagliacciate, per i nostri valori, non ne vogliamo.

(di Stelio Fergola)

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