Il poker della ricostruzione siriana

Già definita «Il più grande business del secolo in Medio Oriente» dall’economista Ramsey Cherabye, la ricostruzione della Siria e la riconversione della sua economia di guerra è ormai il terreno su cui Assad si sta giocando il futuro del suo paese. Il leader ba’thista ha già messo le cose in chiaro facendo sapere che non ci sarà trippa per gatti per coloro che negli ultimi anni hanno fatto di tutto per affossare lui e la sua nazione.

Ma in progetto vi sono cantieri da centinaia di miliardi di dollari. Secondo stime del Fondo Monetario Internazionale, circa 200 miliardi di dollari sarebbero necessari solo per riportare abitazioni ed infrastrutture di base allo stato precedente il conflitto. Abbastanza da scatenare molti appetiti famelici. Non c’è dunque da stupirsi della continua ingerenza dell’Arabia Saudita nella politica del Libano e del loro coinvolgimento con il presidente libanese Saʿd Ḥarīrī le cui dimissioni, ricordo, sono state dichiarate durante una visita di stato a Riad.

Il Paese dei Cedri sarà la base operativa, infrastrutturale e finanziaria per i progetti di ricostruzione sia per quanto concerne la logistica e sia per quanto riguarda il passaggio dei finanziamenti. Questo, oltre che per la sua vicinanza geografica con la Siria, anche per il fatto che gli altri Paesi vicini non hanno la stessa capacità di accogliere grandi aziende internazionali: l’Iraq è escluso a causa dell’instabilità che continua a regnare, la Turchia è respinta da Damasco che non ha dimenticato i contributi di Ankara ai suoi nemici, la Giordania non ha le capacità necessarie per ospitare le grandi company che saranno coinvolte. Un affare da non lasciarsi scappare per i partiti usciti vincitori dalle ultime elezioni in Libano nel quadro di un rilancio economico del paese.

Intanto la Rosneft, la più grande compagnia di navigazione russa, sembra aver scelto come base regionale per le sue navi Tripoli, porto del Libano settentrionale a meno di 30 chilometri dalla Siria, recentemente ammodernato con una spesa di 400 milioni di dollari, in grado di ricevere tonnellaggi maggiori di Tartus o Latakia. La Russia, oltre ai già assicurati contratti di ricostruzione da 850 milioni di dollari, è interessata principalmente a creare proprie basi militari sul suolo siriano.

La vera protagonista di questa partita sarà però la Cina. Nell’agosto 2017, una grossa delegazione di imprese cinesi ha partecipato alla prima fiera commerciale tenutasi a Damasco dal 2011. Il tema imperante era ovviamente quello della ricostruzione. Nonostante la presenza di delegazioni iraniane e russe fosse imponente e scontata, però, è stato chiaro che la delegazione cinese fosse pronta ad assumere un ruolo preponderante una volta messe a tacere le armi.

Il governo cinese ha promesso l’immediato stanziamento di 2 miliardi di dollari per la realizzazione di un parco industriale in Siria per 150 aziende cinesi. Damasco, potrebbe accettare di diventare parte del colossale piano infrastrutturale cinese della Nuova via della seta (One Belt, One Road), che prevede centinaia di miliardi di investimenti in vari stati destinati a collegare l’ovest della Cina e le sue coste con l’Occidente e il Mediterraneo.

Restano da sciogliere alcuni nodi importanti come i futuri rapporti con le monarchie petrolifere del Golfo, fondamentali per le forniture energetiche cinesi, e poi la possibile reazione di Iran e Russia, che vedrebbero la loro influenza relativa su Damasco diminuire con l’entrata in gioco di Pechino.
Infine Assad deve guardarsi dalla sempre incombente minaccia statunitense. Gli USA hanno ancora in mano la carta dei Curdi, anche se attualmente minacciati da Erdoğan, ed hanno già approntato un strategia di finanziamento di piccole realtà locali siriane, preferibilmente dissidenti, al fine di bypassare il governo centrale.

(di Lorenzo Nucci)