Devo imitare il valoroso Don Orlando. E poiché Orlando è impazzito, io diventando pazzo diverrò un vero cavaliere (Don Chisciotte)
1972, 24 Ore di Le Mans.
Dopo aver vinto cinque volte il Gran Premio di Monaco e una volta la 500 Miglia di Indianapolis, il due volte campione del mondo di Formula 1 Graham Hill diventa l’attualmente unico pilota al mondo a potersi fregiare della Triple Crown.
Un titolo puramente simbolico, che non ha nulla di concreto. Ma che da anni echeggia nelle leggende dei corridori, contribuendo a suo modo nel definire quella che è la determinazione per antonomasia di Campione automobilistico.
Un Campione dovrebbe essere un pilota completo, capace di vincere sì ma anche di adattarsi alle varie sfide che gli si pongono davanti: che sia una Formula 1, un prototipo a ruote coperte o una Formula Indy. Da qui il significato della tripla corona, una per categoria, in una gara specifica.
Tanti prima di Alonso ci hanno provato, ma solamente Hill è riuscito nell’impresa, eclatante dimostrazione di come adattare la propria bravura di pilota non sia automaticamente trasversale: oltre al dono insito, l’esperienza spesso paga, e lo sanno bene personaggi da metà classifica ancorati al loro sedile da anni.
Cosi, ormai ridotto al ruolo di comparsa in Formula 1 a causa della scarsa competitività della sua sbiadita McLaren, impazzire come Orlando è diventata l’unica possibilità di ergersi nuovamente a Campione quale egli è.
Perché la vittoria alla 24 ore di Le Mans, anno 2018, ha dimostrato ancora una volta questo: il recupero effettuato dalla Toyota n. 8 nel suo turno di guida notturno è stato determinante per vincere la gara e sopravanzare la gemella al comando.
Alonso ha ricordato ancora una volta come la bestia affamata di vittorie che ha dentro non è diventata un agnellino: può nascondersi, costretta dagli eventi di questi anni, ma non scomparire. Così come il suo smalto e le sue capacità rimangono immutate in questi anni: ormai rientrante nella vecchia generazione dei piloti impegnati in Formula 1, il fattore età non sembra condizionare l’asturiano, costantemente davanti al suo (giovane) compagno di scuderia.
Una vittoria importante per Toyota, la quale insegue da anni questo traguardo che la sfortuna le ha portato via così tante volte da sfiorare la maledizione. Ormai anche lei combatteva contro i fantasmi più che contro gli avversari (era l’unica vettura ibrida nonché ufficiale nella sua categoria) ma dopo il ritiro avvenuto nel corso dell’ultimo giro nel 2016 quando era al comando, nulla sembrava impossibile a spezzare questa infinita scia sfortunata.
A questo punto diventa praticamente certo lo sbarco di Alonso in Indycar nel 2019: dopo averci provato nel 2017, impegnarsi a tempo pieno nel campionato il prossimo anno con la McLaren gli permetterebbe di accumulare una giusta dose di esperienza per completare, quasi cinquanta anni dopo Hill, anche lui la tripla corona ed entrare per sempre nella leggenda dei Campioni.
(di Davide Bologna)