“L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.”
Così: perentoria, pesante, autorevole, chiarissima si apre la nostra Costituzione. Non esistono tonalità di grigio. O bianco, o nero. Quella parolina lì, “sovranità”, che codifica il DNA del nostro Paese, è il punto archimedeo dove poggiare la leva del buon governo. La “Potestas” dei latini, che ben conoscevano il valore del popolo, da sempre lusingato, coccolato, ascoltato, nutrito e tutelato dal Senato prima e dall’Imperatore poi. Quel “populus qui ipse rem publicam regit”, ovvero quel “popolo sovrano” che sapeva ben ritirarsi sull’Aventino (anche se non è certo, dato che probabilmente lo fece sul Monte Sacro, di cui un quartiere romano porta tutt’ora il medesimo nome) laddove le élite non fossero in grado di considerarlo.
Ebbene, quella parola è la nostra bandiera, la stessa che garrisce sul Quirinale. Tuttavia, fin troppo è stata oggetto di vilipendio con l’associazione divenuta quasi automatica con il fascismo. Essere sovranisti ormai è vista come una posizione di estrema destra, con ricadute addirittura naziste. Poco importa se la sovranità, come da Costituzione, sia del popolo e poco importa se non esista minimamente problema di convivenza fra democrazia e sovranità.
In verità neanche dovrebbero esistere i “sovranisti”, poiché è buona norma che un cittadino ami la propria Patria. E il fatto che un governo come quello attuale stia difendendo la sovranità italiana, rispondendo alle offese di Parigi o gestendo i confini, dovrebbe essere motivo di gioia per chiunque viva su questa Penisola. Dopotutto era ciò che facevano i partigiani, no?
Insomma, non interessa la forza politica al governo in un Paese, quanto che questa difenda la sovranità del popolo e i suoi interessi, anche perché, si badi bene, l’alternativa alla sovranità è la sudditanza, quella che i latini chiamavano “oboedientia” o “servĭtus”. A voi la scelta.
(di Alessandro Carocci)