2 giugno, Festa o Lutto? Una questione aperta

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È ben nota la posizione che come Oltre la Linea abbiamo sul 25 aprile, assurdo incidente della storia non tanto per il riconoscimento di quanto avvenuto (la disfatta italiana nella Seconda Guerra Mondiale e la conseguente colonizzazione da parte dei vincitori ai danni del Paese) quanto per il fatto che ne sia stata resa addirittura una festa nazionale, cammuffando una sottomissione al nemico perfino per una specie di resurrezione italiana che qualcuno si dà – ancora oggi – la pena pure di paragonare al Risorgimento, oscurando completamente la Vittoria del 4 novembre 1918.

Per il 2 giugno, data nota a tutti come la “Festa della Repubblica”, la questione è un po’ diversa. Indipendentemente dalle critiche al regime in vigore, stiamo parlando di una data che dovrebbe simboleggiare e celebrare qualcosa che difendiamo da sempre, ossia lo Stato. Da questo punto di vista, la nascita della Repubblica Italiana non può essere considerata aprioristicamente un fatto negativo, indipendentemente dal giudizio che si abbia della caduta del Fascismo.

La storia è fatta di periodi che hanno un inizio, un’evoluzione e una fine. Si potrebbe discutere del fatto che il regime fascista sia stato ammazzato durante una delle sue – numerose e costanti – evoluzioni, e che non possiamo avere idea dei risultati di tali evoluzioni, dal momento che troppe non sono state nemmeno sperimentate (si pensi al progetto corporativo).

Ciò che non si può ignorare è che quanto venuto dopo si sia retto, in ogni caso, sull’imprescindibile elemento dello Stato. Ovvero quella struttura principale su cui si regge una società, comunità o nazione che sia.

È grazie allo Stato che esistono diritti e doveri per tutti i cittadini. Esso potenzialmente esprime, in qualche maniera, un senso di collettività che non può essere ignorato o liquidato troppo facilmente. Di conseguenza la Festa della Repubblica non è ideologicamente ostile al nostro modo di pensare.

Ma le riflessioni, ahimé, restano tantissime. Anzitutto quanto questo Stato non lavori per affermarsi in modo costruttivo, senza insistere nel fare paragoni assurdi con il fascismo dettati da un complesso di inferiorità ormai evidente, ma proponendo una visione spiriturale propria, mai vista in 70 anni se non attraverso personalità singole, di tutto rispetto, ma isolate: impossibile non citare per l’ennesima volta Alcide De Gasperi, la meteora Giuseppe Pella, Enrico Mattei, Aldo Moro e Bettino Craxi.

In secondo luogo quanto la Repubblica non sia, nei fatti, un’istituzione a tutela degli interessi degli italiani. Quanto accaduto nell’ultimo mese è emblematico in tal senso. Il rifiuto del presidente della Repubblica Sergio Mattarella alla nomina di Paolo Savona, la pretesa di far produrre al nascente governo Lega-5 stelle una schiera di ministri “non troppo ostile” all’Unione Europea, argomento ufficialmente tabu nonostante uno dei principi fondamentali della Repubblica stessa sia la sovranità popolare, beh, oscurano decisamente questo aspetto, che dovrebbe essere fondamentale per qualsiasi istituzione che rappresenti un popolo.

A ciò si aggiunge la distruzione della scuola e di tutto ciò che potesse veicolare le masse a una seria tutela della tradizione e della cultura italiana, divenuta sempre più argomento di vuoto studio e non elemento fondativo delle generazioni successive: lo si è dimostrato con la cassazione della riforma Gentile, con l’abolizione della festività lavorativa nazionale del 4 novembre, con una cultura massmediatica che ha sostanzialmente eliminato, progressivamente ma inesorabilmente, l’elemento patriottico. Un fattore – è fondamentale dirlo – che potrebbe fare comodo alla Repubblica stessa, la quale potrebbe farsi portavoce anche domani mattina della voce degli italiani e degli interessi nazionali, se solo esistesse una reale volontà in tal senso.

La Repubblica Italiana ha quindi dimostrato di esprimere, nel lungo periodo, senza che nessuno glielo avesse chiesto, i seguenti valori: anti-italianismo, criminalizzazione della Patria, costante svendita della sovranità italiana a organismi che non si sono dimostrati tanto amici quanto padroni. Del resto è la stessa Costituzione che predispone in taluni sensi (articolo 11 su tutti), di conseguenza il dubbio che lo Stato che viviamo sia frutto di un approccio culturale non conciliante con il bene dell’Italia – almeno in senso assoluto – è legittimo.

Può esistere una Repubblica Italiana diversa, che riprenda in mano i concetti di nazione e patria senza continuare con l’ossessione del fascismo da delegittimare? Che ricominci una formazione scolastica inflessibile e profonda delle future generazioni, considerati i disastri compiuti sulle “vecchie” da 50 anni a questa parte? In cui il voto popolare tanto rivendicato sia rispettato a prescindere dai valori che esprime, anti-europeismo incluso?

È una domanda aperta e dubito ci sia una risposta. Di certo c’è che, nelle potenzialità, il 2 giugno potrebbe essere una festa autenticamente italiana, a differenza del 25 aprile. Nonostante i dubbi e le critiche del tutto plausibili, ha un senso quindi festeggiarla in quanto ricorrenza di un’istituzione troppo importante, più di tutte, quella che si chiama Stato. Credo che a chiunque interessi il bene dell’Italia prima di ogni altro, debba sperare sempre in una conversione: peggio di una sconfitta e di una colonizzazione straniera, in ogni caso, non potrà mai essere.

(di Stelio Fergola)

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