Chiudiamo il Grande Fratello e tutto il circo trash!

Esattamente come sul Titanic la prima classe restò nella sala da ballo finché non sentì l’acqua lambire i piedi, così nel circo mediatico dell’ “intrashtenimento” sono serviti episodi riprovevoli e al limite del reato per portare alla luce un’evidenza scontata: che una volta toccato il fondo, si può sempre scavare di più. Che l’immoralità, privata di freni inibitori grazie all’amplificazione del mezzo televisivo, potrà solo sfociare verso nuove frontiere della degenerazione.

Così è successo pochi giorni fa all’interno di Koh-Lanta, format francese emulo del nostrano Isola dei Famosi, dove una concorrente è stata quasi stuprata – era accaduto già nel 2004, in un programma simile intitolato “Survivor”. L’episodio ha portato alla sospensione del reality show.

Così sta accadendo oggi nel famigerato Grande Fratello, trasmissione italiana giunta alla quindicesima edizione: il compendio di insulti, minacce e altri comportamenti censurabili che fungono da inevitabile sfondo di un programma dove il concorrente è volutamente dispensato dal buonsenso (ammesso che lo abbia mai avuto) ha portato a una sentita protesta sui social network, e infine a un più concreto allontanamento da parte di molti importanti sponsor della trasmissione. Il primo miracolo del trash, quello di avere per una volta fatto prevalere il disgusto alla brama di denaro.

Glissando sui singoli episodi, che non è nostro interesse approfondire -lo facciano gli appositi rotocalchi- sarebbe curioso indagare su quanti, tra concorrenti e spettatori, siano a conoscenza del riferimento letterario contenuto nel titolo di tale programma, e precisamente del motto “l’ignoranza è forza” contenuto tra i dogmi dell’utopia orwelliana.

Lo conoscono di certo i produttori del programma, vera “finestra sulla discarica” che nonostante gli strali procede imperterrito, suddito dello share, non fermandosi nemmeno quando il buonsenso lo richiederebbe (andò in onda, ad esempio, anche il giorno della morte di Eluana Englaro, in un Paese dilaniato e col fiato sospeso) e distraendo le masse da eventi cruciali della propria storia: come, recentemente, durante il quarantennale della morte di Aldo Moro, quando la ben nota e irritante conduttrice del programma ha gongolato per essere riuscita a doppiare, in termini di ascolti, la fiction sulla morte dello statista.

Perché il danno maggiore del “circo degli orrori”, nella società italiana, è quello di avere glorificato e istituzionalizzato la figura del buffone di corte, donando un’aura di dignità alla cafonaggine e trasmettendo il messaggio che per ottenere gli agognati onori, spesso più di quanti si osi sognare, sia sufficiente esaltare i propri bassi istinti e porli di fronte a una telecamera per il sollazzo della massa informe.

L’ipocrita scandalo che ne sussegue quando il suddetto giullare, cafone improvvisato o per inclinazione naturale, combina qualcosa che va oltre il buonsenso, non intacca l’equazione che programmi come il Grande Fratello hanno instillato nella mente di milioni di persone: se fai il circensem, otterrai il panem. Il gradasso, il volgare e il violento viene visto come una eccezione all’interno di uno spettacolo ritenuto innocuo, e che per questo “deve continuare”, quando ne è invece la naturale deriva.

E’ certo irrealistico auspicare in una televisione composta solamente di documentari e programmi culturali, a discapito di programmazioni leggere e non impegnative, dove anche il semplice uomo di spettacolo assume il proprio ruolo funzionale, ma la dittatura dello share non giustifica il processo di istupidimento e decadenza morale che infetta sempre più una società priva di punti di riferimento. Una società, evidenziava Erik Gandini nel suo saggio documentario Videocracy, dove “basta apparire”, prostituirsi allo schermo per soddisfare il proprio narcisismo e, al contempo, istigare lo spettatore a identificarsi con un modello di personaggio insipido, intellettualmente irrilevante, mercificato.

“La TV è la più spaventosa, maledettissima forza di questo mondo senza Dio”, diceva Sidney Lumet nel suo celebre film Quinto Potere. La altrettanto terrificante potenza mediatica dei programmi trash e dei suoi protagonisti, contando la ricaduta sulla società e in particolare sui suoi membri più deboli, non può non portare a una riflessione sugli stessi, e a una inevitabile conclusione: la loro chiusura immediata è necessaria, anche a discapito di introiti pubblicitari e al sacrificio dei famosi “quindici minuti di celebrità” di qualche genio incompreso. Il denaro si recupera, ma la dignità di un popolo, plagiata dal mezzo televisivo, rischia di perdersi per sempre.

(di Federico Bezzi)