Michele Serra e la sinistra che odia i poveri

Non si è mai parlato di bullismo e violenza nelle scuole come nell’ultimo anno, quasi il problema fosse prima inesistente – non lo era affatto, semplicemente la furbizia del bullo che posta le proprie eroiche gesta sui social network ha contribuito a portare alla luce un sottobosco di discriminazione verso i più deboli.

Chi prima di oggi declassava il problema a fenomeni isolati, “robe che fanno i ragazzi”, “ai miei tempi si faceva” et similia, ora è posto di fronte alla evidente e cruda realtà che il problema affonda le proprie radici più profonde nella società: l’abdicazione dello Stato e della scuola dal proprio ruolo di guida e formazione, la svendita dell’educazione al mercato del lavoro e, in ultimo, la disgregazione del senso di comunità e appartenenza per scopi politici.

L’amaca, da questo punto di vista, è una metafora perfetta del distacco dalle paturnie terrene: rilassante, elevata dal terreno, è la rappresentazione ideale di chi non intende sforzarsi in analisi troppo approfondite e decide di elevare il pregiudizio, il sentito dire, a dato di fatto.

Nella sua ultima “Amaca”, appunto, Michele Serra trova il bandolo della matassa alla questione della sempre più prepotente irriverenza verso qualsivoglia autorità: la colpa è dei poveri. “Tocca dire una cosa sgradevole […] Non è nei licei classici o scientifici, è negli istituti tecnici e nelle scuole professioni che la situazione [della violenza] è peggiore, e lo è per una ragione antica: il livello di educazione, di padronanza dei gesti e delle parole, di rispetto delle regole è direttamente proporzionale al ceto sociale di provenienza”.

La gravissima implicazione del suo breve articolo è che povertà e maleducazione, se non violenza e comportamenti antisociali, sono intimamente collegati e “direttamente proporzionali”. Ancor peggio, mette nero su bianco la frattura ideologica che affligge la moderna sinistra sposa del mercato e presunta “custode della democrazia”: questi episodi accadono “di là” dove non si mastica il latino, sono la regola, mentre “di qua” esiste una maggiore aderenza alla società.

Infatti, Serra parte dal bullismo e arriva alla stoccata contro il “populismo”, il quale “evita di prendere coscienza della subalternità sociale e della debolezza culturale dei ceti popolari”. Torniamo alla celebre massima di Brecht: se il popolo non farà come dirà il governo, il governo eleggerà un altro popolo. Sarebbe interessante sapere su quali dati si basa, il Serra, per sostenere che nei figli delle “famiglie bene” esiste questo presunto rispetto per l’autorità e nelle famiglie “povere” (ma quanto povere?) invece si forgino i futuri spacciatori di droga, magnaccia e terroristi.

L’ultima implicazione, più implicita tuttavia evidente, è quella di una presunta irrecuperabilità dei soggetti di cui si parla e, conseguentemente, dell’inutilità stessa dell’educazione. Non si sprecano le perle per i porci, giusto? Forse ricordiamo male, ma fu proprio la sinistra, storicamente, a spingere per una maggiore educazione del popolo, per l’accesso all’ascensore sociale, per un’uguaglianza di condizioni. Dando per buono quanto dice Serra, è evidente che la sinistra ha fallito nel proprio stesso scopo e, resosi conto di ciò, abbia abbracciato le “classi colte”, divoratrici di cultura e insensibili al populismo.

Forse non sbagliava Indro Montanelli, quando diceva che “la sinistra ama così tanto i poveri che li vuole aumentare”: materialmente, spiritualmente e oggi anche culturalmente. In fondo, Serra si limita a puntare il dito contro le presunte “classi subalterne” senza offrire alcuna pur blanda soluzione al problema, né evidenziare quali e quanti errori hanno portato a una situazione di quasi anarchia nell’ambiente scolastico.

Se volete capire perché la sinistra social-liberale si è condannata all’irrilevanza; perché sempre la sinistra ha raccolto ciò che ha seminato, soprattutto dal ’68 a oggi; perché e come, in ultimo, gli appartenenti alle élite hanno arroccato la propria posizione costituendo una società nella società (sulla torre, anzi, sull’amaca d’avorio), non perdetevi l’ultimo pezzo di Michele Serra.

(di Federico Bezzi)