Con la Siria e con Assad, oggi più che mai

Era il 2011 quando in Siria, sulla scia delle Primavere Arabe che stavano coinvolgendo quasi tutto il Nord Africa, iniziavano le proteste di sedicenti gruppi democratici che chiedevano al governo di Damasco riforme di stampo occidentale per democratizzare il Paese. Malgrado questa premessa le proteste civili e pacifiche durarono ben poco e i cosiddetti “ribelli democratici” si rivelarono per quello che erano: ossia dei tagliagole facenti parte di varie correnti dell’estremismo islamico (in conflitto anche reciprocamente). Allo stesso tempo un’altra minaccia si iniziava a scorgere all’orizzonte, lo Stato Islamico, che avendo messo assieme vecchi quadri militari dell’esercito iracheno e miliziani di gruppi espulsi da Al Quaeda, e aver conquistato vari spazi di territorio in Iraq puntava dritto alla Siria. Come se ciò non bastasse a queste minacce si aggiungevano le eterne rivendicazioni curde, che cogliendo la palla al balzo, si materializzarono in una sorta di guerriglia a Nord del Paese.

Dopo ben sette terribili anni di incredibile sacrificio, costati la vita a migliaia di giovani siriani dell’esercito e a innumerevoli civili (spesso utilizzati come scudo umano dagli uomini del Califfato e del FSA), ora la situazione sembrava volgere alla normalità. Con il governo siriano di Bashar Al Assad che, solo contro un incredibile schieramento di forze, spesso e volentieri marionette dell’imperialismo americano o del salafismo saudita, e supportato nell’ultima fase della guerra dalla Russia, sembrava aver ripreso il totale controllo del territorio, con le ultime sacche di ribelli in via di normalizzazione. Ormai però è noto a tutti che all’Occidente democratico non piace perdere, in particolar modo se a sconfiggerlo è qualcuno che non intende arrendersi alle logiche della globalizzazione e del mondo senza frontiere, e con tutti i proxy dell’imperialismo sconfitti il rischio è che ora a scendere in campo siano direttamente quei Paesi che ormai da anni cospirano per la caduta del regime siriano.

Capiamo quindi intuitivamente che l’ennesima accusa di utilizzo di armi chimiche da parte del governo siriano caschi troppo a pennello per credere che ciò sia vero. A dar vigore a questa tesi del pretesto fantoccio non sono teorie del complotto, ma precedenti storici dei paesi NATO. Ricordiamo tutti infatti la famosa fialetta, contenente anche in questo caso armi chimiche, mostrata da Colin Powell all’assemblea ONU nel 2003 che giustificò l’entrata in guerra degli Stati Uniti contro il legittimo governo iracheno di Saddam Hussein. Alla stessa maniera ricordiamo le armi chimiche usate sempre da Damasco contro i “dimostranti pacifici” che valsero il supporto USA al FSA. E di esempi del genere ce ne sarebbero a bizzeffe. E’ scontato quindi dire che, oggi come oggi, per chiunque sostenga un mondo multipolare libero dalle ingerenze americane, l’unica alternativa possibile sia quella di sostenere il legittimo governo di siriano di Bashar Al Assad, nella sua lotta contro l’imperialismo a stelle e strisce, per una Siria laica, socialista e prima di tutto sovrana.

(di Pietro Ciapponi)