Lega al Nord, 5 stelle al Sud: analisi geo-elettorale di un voto “di rivolta”

A poco più di una settimana dalle elezioni politiche del 4 marzo è possibile tracciare una linea guida per cercare di interpretare un risultato alquanto incerto, e foriero probabilmente di nuova instabilità e soluzioni politiche artificiose. Quattro sono le considerazioni preliminari che orientano questo tentativo di comprensione.

La prima, è che a distanza di molte ore dall’apertura delle urne non è ancora possibile avere un quadro definitivo dei seggi assegnati, mancandone all’appello sette per l’esattezza al Senato e dieci alla Camera. Pur non avendo un risvolto nel quadro generale, è una considerazione che rientra nella cronaca di queste elezioni.

La seconda, è che in questa tornata elettorale era chiamata al voto per la prima volta “la generazione del Terzo Millennio”, i diciottenni nati a ridosso del nuovo millennio. A dispetto di molte analisi pre-voto sull’orientamento politico dei neo elettori, il risultato appare abbastanza omogeneo tra il Senato e la Camera (dove hanno votato anche gli under 25).

La terza, prettamente tecnica e diventata oramai acquisizione comune, è che il Paese è fondamentalmente diviso dal punto di vista politico in due grosse aree. Una mappa pubblicata da “Il Giornale” ha simpaticamente evidenziato le somiglianze tra questa due aree e la storica divisione dell’Italia pre-unitaria, soprattutto per quanto riguarda la coincidenza geografica tra il risultato del M5S nel Mezzogiorno e il territorio dell’ex Regno delle Due Sicilie.

Si tratta per l’appunto di una espediente simpatico, che tuttavia non tiene conto, a fronte dell’indubitabile trionfo grillino al Sud, della compattezza dell’altra area, quella che dal Nord fino al Lazio vede affermare in modo netto la coalizione a trazione leghista. La presunta compatibilità, infatti, tra l’area dello Stato Pontificio, del Granducato di Toscana e dei vari Ducati tosco-emiliani con quella che era considerata la zona “rossa” a netta prevalenza della sinistra nell’Italia centro-settentrionale, è smentita dallo sfondamento per la prima volta nella storia repubblicana delle forze di centro destra proprio in quell’area.

Potrebbe sembrare un eccesso di pignoleria rispetto all’originale trovata de “Il Giornale”. In realtà, è la premessa per la quarta e ultima considerazione. Concentrata l’attenzione mediatica sulla parte proporzionale del sistema elettorale, quella che ha sbarrato l’accesso al Parlamento alle liste che hanno raccolto meno del 3% dei consensi a livello nazionale, si è sottovalutata la capacità di influenzare il risultato finale dei residuali 116 seggi al Senato e 232 alla Camera assegnati con altrettanti collegi uninominali, dove un solo voto in più permetteva la conquista del seggio; una sottovalutazione che forse ha riguardato soprattutto il centrodestra, convinto di fare bottino di collegi anche nel Sud, pur nell’incertezza di quella che già si annunciava come una battaglia collegio per collegio col M5S (una sottovalutazione che a onor del vero non ha riguardato un “democristiano dal buon fiuto” come Raffaele Fitto, come dimostra il suo celebre fuori onda con Matteo Salvini a poche ore dal voto).

Quanto è avvenuto in quel terzo di seggi, in quelle piccole entità elettorali chiamate collegi, ci permette in realtà di fare un’analisi geo-elettorale che non sarebbe possibile fare con una macro visione del risultato nazionale delle liste. Poiché a torto o a ragione non è stato possibile il voto disgiunto, il risultato dell’uninominale è pressappoco equivalente alla somma delle liste nel caso del centrodestra e del centrosinistra, fatto salvo lo sporadico caso di chi ha tracciato la croce solo sul candidato del collegio e non sulle liste ad esso collegate.

Appare chiaro che la frattura tra le due grandi e omogenee aree elettorali avviene non tanto sulla base della divisione pre-unitaria, quanto lungo una direttiva che, per pura coincidenza, rimanda alla novecentesca Linea Gustav, procedendo dalla pianura Pontina, tagliando l’Appenino nel Frusinate, sbarcando in Abruzzo dividendolo a metà sino l’Adriatico. È a partire dalle province di Latina, Frosinone, Chieti e Pescara, infatti, che avviene il balzo in avanti del M5S, sino a quel momento oscillante, con alcune eccezioni soprattutto lungo la costa adriatiche, su percentuali tra il 20 e il 25 per cento.

Ma è lungo quella direttiva che avviene anche l’altro scarto importante, il sorpasso delle Lega, che sino a quel momento ha dominato incontrastata il centrodestra, da parte di Forza Italia, e che si manterrà costante in tutto il Mezzogiorno. Il voto proporzionale di lista, dunque, serve più che altro come sfumatura per comprendere alcune aree specifiche, come i centri storici delle grandi città e le tendenze all’interno delle coalizioni. Vediamo, dunque, sulla base delle suddette premesse, come il voto nei collegi vada a modellare queste due macro aree che possiamo chiamare Centro-Nord e Sud.

Prendiamo come riferimento il voto del Senato della Repubblica, per una questione di mera praticità, in quanto i collegi sono di meno (la metà) e più grandi, non avendo del resto, come già detto, il voto giovanile alla Camera dei Deputati creato sostanziali differenze tra i due rami del Parlamento. Allo stato attuale, a risultati definitivi non ancora pervenuti, questa la divisione dei seggi della quota uninominale:

Senato della Repubblica
TOTALE 116
CDX 58 56 2
M5S 44 7 37
CSX (+SVP) 13 13 –
Altri 1 1 –
CENTRO-NORD SUD
(Lazio Compreso) (Abruzzo e Molise compresi)
La quasi totalità dei collegi vinti dal centrodestra appartiene all’area Centro-Nord (56 su 58). Il Nord vero e proprio, compresa la Liguria ed esclusa l’Emilia Romagna, mantiene il suo orientamento tradizionale, votando compatto la coalizione a trazione – giustamente si può dire – leghista, dato che il partito di Salvini esce vincitore in tutte le province del Nord nella sfida con l’alleato Forza Italia (tra il 10 e il 14 per cento), doppiandolo e talvolta triplicandolo.

La Lega raccoglie quasi il 32% in Veneto, sfiora il 30% in Lombardia, oscilla ovunque tra il 20 e il 25%. Se possibile, anzi, la coalizione di centrodestra implementa il suo radicamento, dilagando in Liguria – eccezion fatta per il collegio di Genova, l’unico che vede prevalere nel Nord il M5S – ed espugnando il Trentino (3 collegi su 6) e alcune aree come il collegio di Venezia dove il centro sinistra era più forte. La performance dei grillini è buona, mediamente oltre il 20% e sopra il Partito Democratico.

In particolar modo quando si passa dalla provincia alle zone periferiche delle grandi città, dove il centrodestra (la Lega soprattutto) rallenta, il centrosinistra cresce ma non abbastanza da imporsi, è qui che il M5S raggiunge il massimo dei consensi. Semplicemente non pervenuta la coalizione di Matteo Renzi, che conquista, a parte i tre collegi dell’Alto Adige -grazie all’alleanza con l’SVP – solo due collegi del Nord, Milano centro e Torino centro.

Nel centro storico di Milano i grillini finiscono quarti, superati anche da Forza Italia (l’unico partito che non subisce sostanziali variazioni tra provincia, aree metropolitane e centri storici), il Partito Democratico è intorno a il 30% e la lista +Europa di Emma Bonino supera il 10%, in netta controtendenza col dato nazionale. Un dato simile a quello di Torino dove vincono i democratici e la lista della Bonino è sopra il 6%. La vera novità è il risultato del Centro, dove perfino al tempo dell’Unione di Prodi il centro sinistra vinceva con percentuali sopra il 50% dei consensi. I

l dato sembra aggregare quest’area al Nord, con la Lega (intorno al 20%, Bologna e Firenze a parte) sempre avanti al partito di Berlusconi e un bilancio indubbiamente positivo in termini di collegi: 4 su 8 in Emilia Romagna; 4 su 7 in Toscana; 3 su 3 – clamoroso – in Umbria. Particolarmente simbolico il risultato nel collegio senatoriale di Livorno, vinto dal centro destra (incorporando esso, a differenza di quello camerale dove infatti ha prevalso il centrosinistra, anche la provincia di Grosseto, tradizionalmente meno di sinistra).

Quello che era storicamente il tradizionale bacino elettorale della sinistra italiana regala al centrosinistra solo 7 collegi, con il Partito Democratico sempre sotto il 30% (eccetto Firenze), trasformandosi in un ridotto tosco-romagnolo, monco dell’Emilia, di un pezzo del tronco appenninico e della sponda adriatica, dove, già annunciata da un ottimo risultato a Rimini, si registra anche l’avanzata del M5S che conquista le Marche (3 su 3) e con percentuali sopra il 30% prefigura quanto avverrà nel Mezzogiorno.

Merita menzione il risultato del collegio camerale di Macerata, dove dopo i recenti i fatti di cronaca, a dispetto della sovraesposizione mediatica e l’accusa di razzismo rivolta contro un’intera comunità, ha prevalso il centro destra. Il Lazio, infine, è il caso limite della macro area Centro-Nord. Dalla provincia di Frosinone in poi avviene il sorpasso di Forza Italia, sebbene nella regione della vituperata “Roma Ladrona” il partito di Salvini è praticamente appaiato a quello di Berlusconi al 14%. Percentuale incredibile se si pensa alla Lega “storica” di Bossi. Il centrodestra conquista 6 collegi su 10, uno solo a Roma. Il M5S conferma la sua forza nelle aree metropolitane delle grandi città, espugnando i 3 collegi periferici di Roma, spesso sopra il 35%.

Qui nel Lazio il centrosinistra conquista l’ultimo collegio, quello di Roma Gianicolense, che comprende il centro storico della Capitale. In linea con quanto successo a Milano e Torino, dove il centrodestra è più debole, anche qui il M5S rallenta (sotto il 20% al centro di Roma) e vince il centrosinistra con un Partito Democratico forte e la lista +Europa sopra l’8%. Una correlazione che fa riflettere quella tra M5S, PD e radicali nelle aree urbane. Non a caso Emma Bonino si è fatta comodamente candidare in questo collegio.

Veniamo ora alla seconda macro area, il Sud, dove eccezion fatta per L’Aquila e Reggio Calabria al centrodestra, il M5S conquista 37 collegi su 39. La vastità, l’omogeneità e la profondità del risultato non lasciano scampo a interpretazioni: costantemente sopra il 40% dei voti, spesso sopra il 45 e in otto collegi oltre il 50 (a Casoria 58), i grillini intercettano il consenso in uscita da un centrosinistra mai sopra il 20% dalla Campania in poi, perdente nettamente anche nella roccaforte della Basilicata, non risparmiando per questo il centrodestra: Forza Italia ancora intorno al 20%, ma lontana anni luce dai tempi d’oro del berlusconismo, la Lega ancora capace di raccogliere tra il 5 e il 7 (12 in Sardegna) che, tuttavia, non compensa un risultato deludente per Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni fermi al 4.

Un voto, quello grillino, trasversale, che nonostante lo storico discorso del voto clientelare del Mezzogiorno, evidenzia anche il potere di un voto d’opinione dal forte sapore di ribellismo e insofferenza nei confronti dei partiti tradizionali, puniti tutti, eccezion fatta per Lega che sbarca nel Sud con un ottimo risultato. Neanche Noi con l’Italia, la cosiddetta “quarta gamba” democristiana del centrodestra è esente dal fallimento, specie in quei territori dove aveva la missione di recuperare il voto moderato e cattolico per mettere in sicurezza i traballanti collegi del Sud e delle Isole. Niente è stato risparmiato dallo tsunami grillino.

Lo stesso dicasi per Liberi & Uguali, incapace di intercettare il voto in uscita dal PD tanto nel Nord, quanto nelle regioni “amiche” del Centro, che nel Meridione: D’Alema che finisce quarto nel “suo” collegio senatoriale di Nardò, così come la Boldrini in quello camerale di Milano centro, sono gli emblemi del fallimento di questa operazione di camouflage per la classe dirigente della sinistra italiana.

Non il centrodestra, ma la Lega di Salvini ha vinto nel Centro-Nord, a fronte di una Forza Italia mai così ai minimi termini e una destra di Fratelli d’Italia apatica. Un voto, che pur con le sue specificità tende ad assomigliare a quello del Sud per il M5S (a sua volta profondamente diverso da quello sempre grillino delle aree metropolitane delle grandi città del Centro-Nord) in una direzione di rivolta nei confronti dei partiti e della classe dirigente che hanno guidato la sedicente “Seconda Repubblica”. Una direzione che ovviamente è tutto da vedere dove approderà. Sempre che mai approderà effettivamente da qualche parte.

(di Daniele Dalla Pozza)