Il caso Embraco: diritto al lavoro e sovranità economica

Il caso dei licenziamenti alla Embraco-Whirpool è emblematico per tutta una serie di ragioni. Con decisione unilaterale, una multinazionale che produce sul territorio italiano decide il licenziamento di 500 operai. Da un giorno all’altro 500 persone, con relative famiglie, si vedono gettate sul lastrico e senza alcuna valida ragione. Sotto un altro punto di vista la sovranità statale e politica italiana subisce l’ennesimo smacco ad opera di una Corporation. Una di quelle entità economiche che nel giro di pochi decenni hanno ridotto il pianeta terra ad un mucchio di merci “equivalenti” e “migranti”, gli esseri umani, e di rifiuti e macerie industriali, la natura stessa.

Lo stabilimento nel 1985 fu venduto alla Whirpool, la principale multinazionale americana di elettrodomestici, e nel 2000 Whirpool lo cedette alla sua controllata Embraco. Così tra il 2004 e il 2014 i primi problemi, con i dipendenti che hanno continuato a diminuire, dai 2.500, fine anni’90, fino ad arrivare ai 537 di oggi. Ancora nel 2017, la società aveva annunciato un’ulteriore riduzione. In gennaio, Embraco ha deciso di spostare la produzione in Slovacchia e quasi 500 operai hanno ricevuto una lettera che annunciava il licenziamento. Da lì si è aperto un tavolo di negoziazione col Ministero dello Sviluppo Economico, e il ministero aveva chiesto a Embraco di ritirare i licenziamenti e trasformarli in cassa integrazione. Nel frattempo si sarebbero cercate altre soluzioni. Ma le contrattazioni non sono andate a buon fine.

Da tutta questa vicenda si evince la problematica fondamentale dell’economia odierna: la perdita di sovranità politica dello stato nazionale – processo che in Italia ha avuto un’accelerazione, col 1992, quando un pugno di magistrati decidono l’assalto alla prima repubblica.

A partire dalla bolla speculativa 2007, si è avuta un’ulteriore accelerazione dello smantellamento della capacità regolativa dello stato sull’economia. Si è entrati in una vera e propria “fase di guerra”, in altre forme rispetto a quella classica. Una guerra che si combatte in varie forme: disoccupazione esasperante, con punte stratosferiche nel meridione; scarsa qualità dei servizi, a cominciare da quello sanitario; un potere politico che fa carta straccia della legge e tende ad eguagliare il livello di vita dei cittadini a quello degli immigrati clandestini; un livello di idiozia mentale, che si diffonde come un’epidemia.

In questo periodo storico si può parlare a tutti gli effetti di turbocapitalismo, un sistema con la caratteristica di ritmi forsennati e fanatici. Una sorta di misticismo economico con tanto di culto “irrazionale” per l’iperproduzione. Masse di individui costrette, neanche con la forza, ma col potere dell’induzione psicologica a produrre, produrre e produrre.

Incessantemente si continua a produrre e a consumare, in una vera e propria ossessione economica tipica della modernità. Riflettendo bene, siamo in presenza di masse di individui che ove mai, per miracolo, si trovassero più ore “libere”, in una giornata, non saprebbero cosa fare. E non parliamo poi di altri, che se si realizzassero altre forme economiche rispetto alla semplice accumulazione monetaria, si troverebbero davanti a mortali crisi di identità.

Scendendo più a contatto con questi apologeti del mondo del lavoro, troviamo gente che non conosce l’italiano e profferisce parolacce anglofone come “know how”, “problem solving”, “freelance”, “call” – il codice segreto del mondo delle agenzie interinali e dei nuovi cittadini del mondo.

È chiaro che queste masse di iperproduttivi si trovano in piena risonanza con coloro che dominano e governano questi processi. Oggi, inizia a diventare superfluo attaccare sistematicamente le élite senza porsi il problema del “perché io stia generando queste élite?” Esse sono lo specchio della disarmonia e della desertificazione interiore che è presente in forme diverse negli individui. È chiaro che in un gioco di interconnessioni del micro nel macro, così come nell’individuo anche nelle élite assistiamo al trionfo dell’economia “al centro di tutto”, dei bassi istinti, del consumismo senza senso, delle forme e dei corpi sganciati da contenuti e intelletto.

Riguardo questa vicenda un passaggio lo merita la nuova “socialdemocrazia”, che opera non a caso a difesa dei garantiti. Siamo in presenza di un sistema di lobby su lobby: amministrazione pubblica, sindacati, università e scuole, cooperative e onlus, centri di accoglienza, centri anti violenza, centri sociali. In favore di questo pacchetto di consensi la sinistra in tutte le sue forme e varianti, radical chic e stracciona, ha mandato in malora un paese. A cominciare da Prodi e dai suoi amici del Bilderberg, per finire a Gino Strada “il capo infermiere della NATO”, come recitava qualcuno in una bella definizione. Parafrasando Matrix, tutta questa gente sarebbe disposta ad “ammazzare” pur di difendere il sistema, e a tutti gli effetti ne rappresentano la vera guardia bianca.

È venuto il momento di tracciare una linea netta di demarcazione verso questi che sono i nemici dell’Europa, quella vera, della sua “rinascente” coscienza collettiva, del suo spirito e della sua anima. E all’interno di questo discorso è possibile ricostruire anche le coordinate di una nuova lotta di classe, tra élite sempre più ristrette ed arricchite e masse sempre più affamate e sopraffatte. Come recitava un vecchio postulato gramsciano se il vecchio non muore, il nuovo non può nascere, e mentre costruiamo la nuova Europa affrettiamo affinché quella vecchia perisca per sempre.

(di Roberto Siconolfi)