La carica (negativa) dei “berluschini”

Come ogni campagna elettorale che si rispetti, anche questa ci sta riservando molte sorprese e diverse perplessità. Vengono a galla gruppi, gruppetti, associazioni, correnti e personaggi che negli anni precedenti non erano mai usciti dalla loro autoreferenzialità.

Tra questi, nel centro-destra spiccano per delle ben precise caratteristiche umane e “politiche” i giovani di Forza Italia: i cosiddetti berluschini. Una componente del partito, questa, tutt’altro che omogenea.

Un berluschino non lo si vedrà mai fuori da un liceo a distribuire volantini, né nelle università: anche i gloriosi anni delle liste studentesche negli atenei sono finiti. I berluschini, infatti, preferiscono rintanarsi a cena e nei consessi privati con gli adulti, e, non si sa bene se per magia o se per osmosi, ne assimilano le caratteristiche che hanno fatto di Forza Italia un contenitori di sgambetti, screzi e scontri fratricidi tra correnti.

Così i berluschini, forse galvanizzati da lotte di potere intestine, si accodano a questo o a quel maggiorente di turno e ne seguono le gesta e i percorsi, inconsapevoli di essere solo delle piccole, minuscole pedine da far correre a destra e a manca (ed anche al centro!) all’occorrenza. Si creano in questo modo ulteriori sottogruppetti intenti a fare da scagnozzi ai più bravi, ma soprattutto più scaltri, tra i tirapiedi del movimento giovanile.

I giovani di Forza Italia hanno anche un certo codice estetico che conferisce loro il physique du rol per diventare dei veri e propri berluschini: abbigliamento elegante (spesso giacche sovrabbondanti che provengono con ogni evidenza dall’armadio del papà), capelli ordinati e pettinati, visi ripuliti da ogni residuo di barba, cravatte sgargianti e, non rara ciliegina sulla torta, la spilla di Forza Italia sulla giacca.

Non mancano ovviamente anche le berluschine, che, a dispetto di quello che maliziosamente si potrebbe pensare, non differiscono per spessore e ruoli dalle controparti maschili: abiti eleganti, sorrisi di circostanza e strizzate d’occhio ai dinosauri del partito, le giovani forziste tentano la scalata ad un partito dove le donne fanno da padrone, fino a quando capiscono che per scalarlo davvero bisogna andare oltre agli occhiolini.

In tutto questo luccicare di abiti, sorrisi a trentadue denti e smancerie che sconfinano troppo spesso nella leccata di culo vera e propria, i grandi assenti sono i contenuti. I grandi cavalli di battaglia sono l’argine all’ascesa dei comunisti nel ’94 e l’incompetenza attuale dei grillini, vero pericolo per il nostro paese, ai quali solo Silvio può frapporsi per evitare una deriva giustizialista e pauperista.

Tutto condivisibile, se non fosse che necessiterebbe almeno di una piccola contestualizzazione e qualche dato a supporto di queste tesi: dati che puntualmente non arrivano. Un altro grande leit motiv è la rivoluzione liberale, per rendere l’Italia finalmente un paese moderno e sgravato dai residuali di una Prima Repubblica spendacciona, farraginosa ed eccessivamente burocratizzata: a nessuno però sembra venire in mente che questa rivoluzione, al netto di solidissime ad ampie maggioranze parlamentari, non è mai stata nemmeno intrapresa.

Il motivo? Colpa degli alleati inaffidabili, ovviamente. Di una preparazione culturale a supporto di queste teorie, poi, nemmeno l’ombra. Al massimo può capitare di sentire nominare Milton Friedman, ovviamente senza averlo letto, ma solo perché ne ha parlato “il presidente”, e come se tutta questa mancanza di spessore non bastasse, ne ha parlato in un breve passaggio da Barbara d’Urso. E così il berluschino medio, tra un’accusa alle toghe rosse ed una a Travaglio, porta avanti la convinzione che Silvio resti l’unico grande politico in grado di fare il bene dell’Italia, perché, ovviamente, è stato un grande imprenditore.

A nessuno, però, pare passare per la testa che negli ultimi tempi la figura di Silvio è passata da quella del self made man che scende in politica e rompe ogni schema a quella di figura affidabile per i vari Scalfari e Santoro, nonché perfino dei centri di potere di quella Unione Europea, Merkel compresa, che fino a pochi anni fa sfidava a gran voce. Nella testa dei berluschini tutto questo appare regolare e sensato, come se facesse parte di un grande piano che a loro non è dato conoscere fino in fondo.

Ed ecco che, in periodo di campagna elettorale, il berluschino si trova a diventare turista: un continuo girovagare tra cene, presentazioni, inaugurazioni di comitati e nuove sedi di partito, dove non mancano le foto e i selfie di rito da postare su Facebook con l’ex ministro o il capo corrente di turno, abbracciati e sorridenti, incastrati in abiti ed espressioni costruite che ne fanno, più che delle giovani energie dalle quali ripartire, dei ferri vecchi dai quali liberarsi al più presto.

Capita anche di vederli agitare mani, braccia e smartphones al passaggio del “presidente” o della Mariastella (il famosissimo Ministro dell’istruzione, ora vera luogotenente del partito al Nord), con una passione che nemmeno ai concerti delle rockstar è facile percepire. Perché i berluschini, in fondo, non sono altro che dei “giovani-vecchi”, e come tali ragionano. Rappresentano, in qualche modo, la decadenza di una politica da avanspettacolo che è sempre più il simulacro di un passato che non c’è più, e ne sono la caricatura che nessuno sperava di vedere.

 (di Enrico Danieli)