Ostia, la rivelazione del pentito: PD pagava il “pizzo” agli Spada

In questi mesi, Ostia e il clan Spada sono stati sulla bocca di tutti. Giornali e televisione ci hanno mostrato il video dell’aggressione da parte di Roberto Spada ai danni del giornalista di Nemo, trasformando quel gesto di violenza gratuita e stupida in una sorta di manifesto politico.

Del resto, non poteva accadere in momento migliore: il caso Spada è stato strumentalizzato in pieno periodo elettorale, diventando l’argomento principale di tutte le forze politiche in corsa alle elezioni del municipio e specialmente dei due contendenti al ballottaggio, M5S e PD.

Quest’ultimo, ergendosi a paladino della legalità, ha condotto la sua campagna elettorale sulla “lotta alla mafia” e sui presunti legami tra Casa Pound Italia (il cui candidato presidente ha conseguito il 9,08%) e la famiglia Spada. Con la vittoria del M5S, la formazione del nuovo “parlamento” e i trentadue arresti ai danni di esponenti del clan, tra cui lo stesso Roberto Spada, la vicenda sembrava essere chiusa.

È trapelata invece una notizia che coinvolge direttamente gli esponenti dem del litorale romano: secondo la testimonianza di Michael Cardoni ( nipote del defunto Giovanni Galleoni detto Baficchio, capo dell’omonima organizzazione), la sede del Partito Democratico in via Antonio Forni pagava il pizzo agli Spada. “Anche la sede del Pd in via Antonio Forni pagava il pizzo a mio zio” questa è la dichiarazione di Cardoni che nel 2016, in veste di collaboratore di giustizia, mostrò agli inquirenti le zone di influenza del clan, le piazze di spaccio e i locali vittime di estorsione.

Il caso della sede democratica non è una novità: il locale era già noto per essere parte dello scandalo “Affitopoli”, il quale suscitò le forti reazioni dell’ex commissario PD ad Ostia, Stefano Esposito. Va ricordato che il Partito Democratico ad Ostia non è nuovo a connivenze con la mala locale: nel 2015 il municipio fu sciolto per infiltrazioni mafiose e successivamente commissariato, l’allora presidente Andrea Tassone (PD) è stato condannato a cinque anni. A difendere strenuamente l’ex presidente, fu Federica Angeli, “giornalista indipendente” di cui fino a pochi giorni fa si vociferava una candidatura alle politiche con il Partito Democratico (notizia smentita dalla diretta interessata).

Federica Angeli, elevatasi ad eroina antimafia, è stata la più convinta accusatrice di CPI nel periodo elettorale e in quello immediatamente successivo, arrivando ad accusare il candidato presidente Luca Marsella e il segretario nazionale Simone Di Stefano di intrattenere un filo diretto con il clan Spada artefici, secondo lei, del risultato conseguito dal movimento alle elezioni municipali. A smentire le illazioni della giornalista basta una semplice analisi del voto territoriale, collegi in cui l’influenza degli Spada era maggiore presentano meno voti rispetto ad altri“puliti”.

Ci chiediamo però, se l’aggressione da parte di un violento (che, senza giustificare, ricordiamo non essere pregiudicato per fatti precedenti alla testata) è riuscita a diventare un caso nazionale, vuoi per l’effetto mediatico o l’effettiva ripresa del gesto, tanto da sollevare inchieste e domande fuori dai confini del litorale, come mai non ci si indigna né si adottano le stesse misure per una notizia del genere non solo documentata da un’effettiva testimonianza ma anche da precedenti noti? Come al solito, per l’opinione pubblica, il marcio è sempre relativo.

(di Antonio Pellegrino)