La nascita di Israele e la questione palestinese

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Il Medio Oriente ha sempre costituito un allettante obiettivo per le élite europee e orientali, le quali hanno più volte interferito causando situazioni geopolitiche che si ripercuotono nella contemporaneità, creando problemi politici, culturali ed economici di una certa rilevanza. La questione israelo-palestinese si può annoverare tra le matasse non risolte della geopolitica mondiale.

Una matassa causata sia da una negligenza occidentale, poiché si cercò in tutti i modi di donare un “focolare” nazionale agli ebrei senza tenere conto di numerosi fattori politico-culturali dell’area, sia dalla scarsa volontà di collaborazione insita, in quel determinato contesto, nei popoli arabo ed ebraico. In questo articolo analizzeremo la contestualizzazione storica riferente alla nascita dello Stato di Israele.

Innanzitutto bisogna premettere che già dalla fine del secolo ottocentesco si cercava di trovare uno Stato per gli ebrei europei, vittime di soprusi e violenze di ogni tipo, oltre alla “emarginazione sociale”, concretizzata dalla presenza di quartieri riservati esclusivamente alla popolazione ebraica (i cosiddetti ghetti).

Per soddisfare il proposito di ottenere una terra ebraica, fu fondato da Moses Hess, Leo Pinsker e Theodor Herzl il movimento sionista (gli storici però considerano Herzl come fondatore principale). Il movimento riteneva che la strada diplomatica fosse la più giusta per ottenere uno Stato Ebraico, ma incoraggiò anche gli ebrei a emigrare in Palestina per riprendersi il proprio territorio. Vennero fondate le “kibbutz”, le comunità ebraiche in Terra Santa sorte dopo il 1911.

Il Sionismo stava crescendo come movimento politico, e i britannici provarono ad approfittarne: nel 1903 concesse ai sionisti la possibilità di utilizzare le terre dell’Uganda come possibile territorio per il nuovo Stato. Nonostante la risposta favorevole di Herzl, che vedeva questa mossa come un piccolo passo e quindi una parziale “vittoria”, (poiché avevano ottenuto supporto internazionale) la proposta venne rigettata dalla maggioranza della comunità sionista, che continuò a chiedere la Palestina come sede di Israele.

Una decina di anni più tardi, però, i britannici emisero la Dichiarazione Balfur, in cui riconoscevano ufficialmente il ruolo politico del Sionismo. L’obiettivo della Dichiarazione era di attrarre dalla propria parte la popolazione ebraica europea, che politicamente era orientata in un’ottica “filo-tedesca”, a sostegno quindi del nemico principale dell’Intesa. Dando sostegno al Sionismo, inoltre, il Regno Unito poteva aspirare a scacciare la Francia dalla Terra Santa (poiché essa aveva assunto il ruolo di protettrice dei cristiani nel mondo) e quindi mettere in sicurezza la colonia egiziana e sopratutto il Canale di Suez. Ma doveva ancora scorrere molta sabbia nella clessidra per gli ebrei prima di ottenere la Terra Promessa.

Nel 1916 la Francia e l’Inghilterra tentarono di accordarsi sull’allora futuro Medio Oriente libero dal giogo ottomano, spartendosi le zone di influenza. Sottoscrissero quindi il Trattato di Sykes-Picot, il quale assegnava ai Francesi la Grande Siria (Siria, Libano, Anatolia Sud-Orientale e Iraq del Nord), agli Inglesi Haifa, San Giovanni d’Acri, l’Iraq Meridionale e la Giordania. Infine, anche se non prese parte direttamente agli accordi, la Russia ottenne il controllo dell’Armenia e di Costantinopoli. La Palestina, ad eccezione dei porti in mano ai britannici, sarebbe stata posta sotto controllo internazionale.

Bisogna però sottolineare che il suddetto trattato fu firmato durante la celebre rivolta araba del 1915, guidata da Lawrence d’Arabia, il leggendario colonnello inglese che promise alle popolazioni arabe una grande nazione unita. Questo significava che le potenze alleate non sapevano esattamente come si sarebbe conclusa la guerra contro l’Impero Ottomano: questo rende il trattato di Sykes-Picot un documento importante ma non fondamentale per il successivo corso degli eventi che si è venuto a creare; sicuramente costituisce un buon punto di partenza, dato che alla fine del conflitto le aree furono suddivise in linea di massima come deciso nel trattato, anche se ci furono delle eccezioni, come la Palestina, che era sotto mandato inglese.

Questo provocò una disillusione nelle popolazioni arabe, che si sentirono tradite da coloro che avevano considerato come “liberatori”. Inoltre, questa delusione nell’esito della guerra aumentò quando gli Arabi videro che i nuovi occupanti della Palestina, gli inglesi, non fecero nulla per arginare l’immigrazione sionista.

Emblematico del sentimento arabo nei confronti dei coloni ebrei è questa frase, pronunciata da una delegazione palestinese in occasione del Congresso Siriano del 1919: “Il Sionismo è più pericoloso dell’occupazione francese [in Siria], giacché essi [i francesi] sanno di essere stranieri, mentre i sionisti pensano in Palestina di essere a casa propria” (citato in F. Massoulié, “I conflitti del Medio Oriente”).

Dopo la spartizione del Medio Oriente, le tensioni tra popolazione araba e ebraica in Palestina aumentarono drasticamente. Londra, avendo ottenuto il mandato in Palestina, escluse la possibilità di instaurare un governo autonomo palestinese, poiché riteneva che esso avrebbe fermato l’immigrazione ebraica. Tentava quindi di risolvere un problema politico eliminando ogni forma di autonomia. Ma la miccia era pronta per esplodere.

Nel 1922 iniziarono le prime sommosse contro l’occupazione inglese. Il Gran Muftì di Gerusalemme, massimo capo religioso palestinese, assunse il ruolo di leader del movimento della resistenza araba, poiché essi rifiutarono di farsi rappresentare dall’Agenzia Ebraica, proposta dai britannici. Il motivo del rifiuto va ricercato nel pensiero dei leader arabi del tempo: “o tutto o niente”. Ovviamente, se avessero accettato la proposta di Sua Maestà, sarebbero stati costretti a scendere a patti con i propri nemici, ovvero gli inglesi e i sionisti.

Il Gran Muftì di Gerusalemme era di orientamento panarabo, e credeva che solo tramite la lotta si potesse ottenere le rivendicazioni arabe. Aumentarono le sommosse: il 1929 fu un bagno di sangue. 6 anni dopo, nel 1935, gli arabi chiesero un governo agli inglesi, ma essi rifiutarono. Scoppiò la “Grande Rivolta Araba” che durò 3 anni.

Fu istituita la Commissione Peel (dal nome del suo Presidente, William Peel) nel 1937, per cercare una soluzione pacifica al conflitto: fu proposta la spartizione della Palestina in due Stati, uno arabo e uno ebraico. Mentre fu accolto favorevolmente da alcuni sionisti, fu respinto dai palestinesi, poiché la maggior parte delle terre coltivabili sarebbe finito nello Stato Ebraico. Ripresero quindi le ostilità, a cui gli inglesi risposero con la violenza, imprigionando, esiliando e uccidendo i guerriglieri arabi. La rivolta terminò nel ’39, con la pubblicazione del Libro Bianco (un documento in cui si limitava l’immigrazione ebraica) da parte delle autorità inglesi.

Il secondo conflitto mondiale rese sensibile l’opinione pubblica alla causa sionista. La scoperta dei campi di concentramento, i racconti agghiaccianti dei sopravvissuti alla pulizia etnica nazista, i terribili esperimenti medici condotti nei campi di sterminio non fecero altro che rendere necessario uno Stato Ebraico.

Fu così che nel 1947 venne diviso la Palestina in 3 parti: uno Stato Ebraico, uno Arabo e Gerusalemme sotto controllo internazionale, per evitare tensioni. Gli inglesi iniziarono a ritirare i propri soldati. All’indomani della spartizione scoppiò la guerra, prorompendo con tutta la sua violenza. Le milizie ebraiche massacrarono interi villaggi, come Deir Yassin. Di tutta risposta, i guerriglieri palestinesi assaltarono i kibbutz e fecero numerosi stragi. Fu una sequela continua di massacri e carneficine.

Nel 1948, nonostante la guerra volgesse a favore dei Palestinesi, il 14 maggio fu proclamato lo Stato d’Israele da David Ben Gurion. Il giorno dopo, però, una coalizione araba composta da Egitto, Transgiordania, Siria, Libano e Iraq, supportata da milizie arabe di volontari, attaccarono il neonato Stato.

Israele, che aveva preparato un piano di difesa (il cosiddetto “piano D”) contrattaccò e distrusse centinaia di villaggi arabi. Nel 1949 la guerra ebbe termine con la vittoria israeliana. Essa provocò una diaspora palestinese, poiché circa 711.000 arabi lasciarono la propria terra. Anche 800.000 ebrei emigrarono dalle zone arabe a Israele.

La Palestina venne di nuovo spartita: l’Egitto ottenne il controllo della Striscia di Gaza, mentre la Transgiordania ottenne quello della Cisgiordania. Israele proclamò Gerusalemme come capitale. Questa decisione è alla base tuttora di conflitti, alimentati nel 2017 dal Presidente Americano Donald Trump che ha dichiarato di riconoscere Gerusalemme come capitale dello Stato Ebraico, scatenando critiche e proteste dai paesi arabi, oltre a manifestazioni palestinesi.

La prima guerra arabo-israeliana si concluse quindi con l’affermazione del neonato Stato Ebraico. Sarà molto difficile disinnescare le tensioni fra i due popoli, convinti entrambi di difendere la propria terra. A entrambe le parti manca la sicurezza. Agli ebrei la sicurezza di una terra in pace, agli arabi la certezza di una Patria. Dovrà essere fatto un lungo lavoro diplomatico e politico, e alcune mosse dell’Occidente dovrebbero essere più caute. Va ricordato però, a onor di cronaca, che dal 2004 la Corte Internazionale di Giustizia riconosce le terre della “Linea Verde” come territori occupati da Israele.

(di Federico Gozzi)

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