1839: quando la fotografia uccise l’arte

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Il 9 Gennaio 1839 l’Accademia Francese Delle Scienze dava l’annuncio dell’invenzione del dagherrotipo. Era l’inizio della fine per il mondo dell’arte conosciuto fino a quel momento. Tutt’ora molti storici o esperti d’arte sembrano ignorare questo passaggio epocale. Eppure il 1839 segna il punto di svolta nella storia della pittura in Occidente. Joseph Niepce e Louis Daguerre riuscirono a fissare chimicamente le immagini che si formano all’interno della camera oscura, di cui molti pittori si servirono per parecchi secoli. Ci si meravigliò proprio di poter ottenere un’immagine della natura senza l’intervento di un’artista, solo grazie all’azione della luce. Da quel momento in avanti alcuni artisti cercheranno nei loro quadri di rettificare gli errori dell’occhio, di fare una pittura fotografica. La ricerca della “realtà fotografica” fino ad allora era stata una delle massime ambizioni dei pittori a partire da Giotto. Gli artisti che volteranno ufficialmente le spalle alla fotografia saranno giudicati dai posteri come i grandi artisti dell’arte moderna.

Nata la fotografia nacquero anche i fotografi. Spaventati dall’invenzione, molti pittori francesi firmeranno un manifesto contro la fotografia, chiedendo protezione da parte dello Stato. Lo stesso Baudelaire la definirà non come arte, bensì come pratica industriale. La stessa ingiuria di lavoro manuale lanciata a pittori e scultori da parte di chi praticava “arti liberali” nel Cinquecento, fino a Marsilio Ficino, venne lanciata tre secoli dopo ai fotografi da parte dei pittori. Gli impressionisti e Cézanne sapranno trarre da questa scoperta le necessarie conclusioni, e si volgeranno verso una forma di pittura non fotografica che condurrà, attraverso il cubismo, all’astratto e all’informale, quindi alle avanguardie del Novecento. Cézanne, che in origine aveva esposto con gli impressionisti alla mostra del 1874 (anno in cui viene affibbiato da un critico in senso dispregiativo il termine Impressionismo), metterà a punto una tecnica pittorica dello spazio che sarà fondamentalmente antifotografica. Consapevole della propria posizione nella storia della pittura, Cézanne scriverà: “sono il primo rappresentante di una nuova arte”.

Sempre in quegli anni si era fatta anche strada la concezione dell’arte sociale, antesignana del realismo socialista. Nel 1865 P.J Proudhon, in Del principio dell’arte e la sua destinazione, scriveva a proposito della funzione che potevano avere gli artisti nella società,e allo stesso tempo denunciava i difetti di questa “classe”: “ci si può intendere con un filosofo, uno scienziato, un imprenditore d’industria, un militare, un’economista, con tutta la gente che calcola, ragiona , combina, computa; ma con un’artista è impossibile”. Infatti proprio Cézanne rappresenta il prototipo dell’artista romantico e bohemien, staccato dalla realtà quotidiana, caratteristiche che troviamo ancora oggi in quell’art system contemporanea fatta di provocazioni e mistificazioni, abilmente smascherata da autori come Jean Baudrillard, che parlava di “complotto dell’arte”, o dallo stesso Angelo Crespi nel suo libro Ars Attack (il bluff del contemporaneo). E fu così che dal 1839 l’arte cominciò a rincorrere se stessa. La polvere da sparo ha sancito il passaggio dell’uomo come appendice della macchina in guerra, così come la fotografia ha sancito il passaggio della pittura da rappresentazione della realtà un tempo (religiosa, filosofica, politica, morale ecc..) a Rappresentazione del nulla nel nostro tempo.

(di Emilio Bangalterra)

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