Pearl Harbor: 76 anni fa il punto di non ritorno

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Il 7 dicembre 1941 l’impero giapponese bombardò la base navale americana di Pearl Harbor. Questo attacco decretò l’entrata in guerra degli Stati Uniti l’8 dicembre ’41 contro il Giappone a cui seguirà, tre giorni dopo, la dichiarazione di guerra da parte dell’Italia e della Germania. L’attacco di Pearl Harbor, ricordato negli States come “il giorno dell’infamia”, è stato affrontato spesso dal pubblico e dagli storici con una visione troppo semplicistica degli avvenimenti precedenti e delle sue conseguenze. Non si può liquidare l’attacco di Pearl Harbor come un’aggressione inaspettata così come non si deve cedere alle visioni complottistiche di chi lo cataloga come un inside job.

Si poteva evitare? Quanto ne sapeva l’America di un possibile attacco nipponico? Dopo la Prima Guerra Mondiale, l’opinione pubblica statunitense aveva adottato una linea isolazionista (va ricordato il movimento popolare America First) e in un primo momento il governo sembrava aver adottato questa posizione; numerosa era la componente neutralista del congresso e personalità come Charles Lindbergh si batterono per evitare l’intervento statunitense; eppure da tempo l’America aveva avviato una politica di solidarietà nei confronti dell’Inghilterra, mandando rifornimenti e viveri via mare alla nazione in guerra con la Germania. Allo stesso tempo iniziò la distribuzione di unità militari nel Pacifico per arginare l’espansionismo giapponese. Nel 1941, i rapporti tra Giappone e Stati Uniti si fecero più tesi per via delle pretese territoriali nipponiche e per la presenza strategica delle basi militari sulla costa occidentale.

A nulla servirono le trattative tra i due Paesi e il 7 dicembre il Giappone sferrò l’attacco fatale contro la base di Pearl Harbor. John Edgar Hoover, allora capo dell’FBI, riferì di aver ricevuto informazioni sulla possibilità di un attacco giapponese a Pearl Harbor da Dusan Popov (agente infiltrato nei servizi tedeschi) ma – ritenendo la fonte poco affidabile – cestinò le informazioni. Solo in seguito ammetterà il suo errore. Il resto è storia. Gli Stati Uniti contribuirono alla vittoria degli alleati sul fronte occidentale e, dal punto di vista militare e politico, spodestarono l’Inghilterra nella lotta alle forze dell’Asse in occidente. Fu con il coinvolgimento degli Stati Uniti nella Seconda Guerra Mondiale che cambiarono i rapporti di forza tra le potenze alleate e, soprattutto, il peso politico da essi assunto nel dopoguerra. Il Giappone, il Paese che permise agli Stati Uniti di dichiarare guerra alle forze del Patto Tripartito, pagò la sconfitta con i bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki; bombardamenti che servirono ad avvertire l’ex alleato sovietico della nuova stagione che di lì a poco sarebbe iniziata: la Guerra Fredda e la corsa al nucleare.

Con Pearl Harbor la linea isolazionista non diventò semplicemente minoritaria, ma scomparve completamente dall’agone politico statunitense; da quel 7 dicembre 1941, l’America assunse il ruolo di potenza interventista. Poco dopo la fine del secondo conflitto mondiale, gli USA si impegneranno a combattere in Corea in nome dell’anticomunismo più sfrenato. La linea interventista che (auto)incoronerà l’America come “esportatrice di democrazia” iniziò da lì in poi con l’obbiettivo di “fermare il comunismo” e, una volta caduto il colosso sovietico, proseguì contro gli stati non allineati al nuovo mondo unipolare. La sempre rivendicata “lotta al terrorismo” e agli “stati canaglia” non si discosta particolarmente da quella adottata durante gli anni della Guerra Fredda o della Seconda Guerra Mondiale. Che fosse contro l’imperialismo giapponese, contro il fascismo, contro il comunismo o il terrorismo, gli Stati Uniti hanno sempre scelto l’intervento come il mantenimento dello status quo, strategia che continua ancora oggi.

Si poteva evitare il massacro di Pearl Harbor? Ad oggi, studiando le dinamiche dell’attacco, ci sembra un qualcosa di inevitabile e imprevedibile. I dati parlano chiaro. Ciò su cui riflettiamo, però, è questo: Pearl Harbor ha innegabilmente mutato il modo di pensare degli americani sul coinvolgimento militare del proprio Paese: scendere in guerra non era più un opzione da discutere ma una scelta obbligata. Questo pensiero, oggi, è più vivo che mai.

(di Antonio Pellegrino)

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