4 novembre e Trieste, dove più d’uno ancora ricorda la Vittoria

Quando quest’estate sono andato in visita ai monumenti della Vittoria nel Nord Est (su tutti, il Sacrario di Redipuglia), ho incontrato, sulla strada, anche un mio caro amico veneto, bravissima persona a cui ho chiesto informazioni per pernottare a Trieste. Viene fuori quasi immediatamente il discorso su “Piazza Unità d’Italia” e sui monumenti dell’epoca.

L’amico in questione conosce perfettamente le posizioni del sottoscritto e ne è completamente indifferente (teoricamente ostile, ma la realtà è che non gli importa granché). “Lì ci son tante delle cose che piacciono a te” mi dice “però non ti venga in mente di chiedere informazioni per “Piazza Italia” che lì di Italia non vogliono saperne nemmeno per sbaglio. Si chiama “Piazza Granda” “.

Annuisco, non entro nel merito, e procedo il mio viaggio subito dopo essere stato a Redipuglia.  Non tornavo a Piazza Unità d’Italia da molto tempo, da quando ero piccino e mi ci aveva portato il mio babbo. Per mia natura sono molto chiacchierone, mi piace parlare con la gente, “misurare” il sentore popolare, l’indifferenza l’ostilità o l’eventuale calore che possono esprimere riguardo certe tematiche.

E così confabulo, eccome se confabulo: parlo al bar, parlo dal paninaro dove mangio un boccone a pranzo, dialogo anche dopo aver chiesto informazioni per le varie strade o piazza. La sorpresa è che tutta questa ostilità per “l’Italia di cui nessuno vuol sentire parlare” io non l’ho notata. Semmai ho constatato molta indifferenza nei giovani, ma ho potuto ascoltare anche un barista – non a caso di altra generazione – che mi parlava con emozione di Nazario Sauro, della Grande Guerra, del padre che era stato ardito e partecipe dell’impresa fiumana.

E non solo. Poco al largo della Piazza, in pieno pomeriggio-serata, noto un signore che parla con un ragazzino di una decina d’anni. Era ovviamente il padre, suppergiù dell’età mia, intorno ai 35 anni, quindi non così “antico”. Tanto per cambiare scambio parole anche con loro, gli racconto del mio , di padre, che fin da piccolo mi ha sempre portato sui luoghi della Patria e della storia italiana. Lui – il signore – mi dice che porta spesso il figliolo a fare quattro passi in giro per il centro, tra una statua a Sauro e il Monumento ai caduti.

A questo punto torniamo all’origine di questo racconto, al mio amico veneto. Penso sia l’esemplificazione di come una retorica anti-nazionale abbia preso così preso il posto di quella che l’ha preceduta, evidentemente patriottica, da avere una visione distorta delle cose: questo senza possedere nulla di particolarmente “reale” in più, se non una maggiore diffusione, accettazione pubblica molto pervasiva, una vera legge di mercato “ideale” a cui nessuno è riuscito a sottrarsi negli ultimi decenni.

Una legge che ha fomentato l’indifferenza, la mancanza di attaccamento e, certo, anche la morte della Patria. Perché è scontato che a Trieste, dove ho notato – come del resto ricordavo da bambino – che tale attaccamento ancora sopravvive, seppur in forme particolari e disordinate (non potrebbe essere diversamente, in assenza di una pedagogia promotrice), tutto ciò sarà destinato a finire, continuando di questo passo.

Chi dice che non esiste un popolo “culturalmente” italiano sbaglia. Si tratta di una offesa troppo grande alla millenaria storia dello stivale dall’epoca post-romana in avanti, al di là di ovvie differenze e di esperienze statuali ancora più diversificate, soprattutto dal punto di vista socio-economico.  Nessun popolo è tale per virtù dello Spirito Santo, ma grazie all’educazione di genitori e nonni. L’Italia disgregata è la naturale conseguenza di una formazione malata di gran parte di questi. E della formazione ancora più malata dei figli che verranno.

Talmente imbambolati da non riuscire nemmeno a parlare con la gente comune, e da sostituire una presunta retorica falsata, quella nazionale, con una altrettanto falsa, quella anti-nazionale. Trieste, come diverse zone di confine a Nord Est, è uno dei pochi luoghi dove esiste ancora un barlume d’Italia. È ovvio che, continuando così, tale barlume si oscurerà per sempre.

Ciò nonostante, buon 4 novembre. E viva l’Italia, sempre.

(di Stelio Fergola)