Nazionale italiana: nome prestigioso, ma indifferente per tutti

Insomma, la Svezia: ovvero il più ostico dei nemici: questo il risultato del sorteggio per gli spareggi che diranno se andremo o no in Russia.

Ci sono alcune cose da dire e non riguardano il presente. La prima è che il tifoso italiano che “preferisce risparmiarsi noie e non qualificarsi” è a mio modo di vedere patetico: se si tifa, lo si fa e basta, anche se si è la Frattese. E se l’obiettivo è la promozione in Lega Pro, si tifa per la promozione in Lega Pro.

La seconda è che il nome della nazionale è troppo prestigioso e quindi forse, più che non tifare, sarebbe meglio prendere una sberla storica, in modo da incentivare il – timido – accenno di reazione che si è visto negli ultimi due anni nel lancio e nella promozione di alcuni giocatori (alcuni completamente sballati come da tradizione).

Forse ce ne sarebbe una terza, anzi certamente c’è: tra le tante cose che la cultura di questo staterello settantennale ha rovinato, ebbene sì, figura perfino il calcio azzurro. Roba secondaria, senza dubbio, ma anch’essa ha la sua influenza, perché coinvolge persone, stimola ottimismo o pessimismo, è un passatempo attraverso cui la mente vaga. 40 anni fa la nazionale era tifatissima (ma già in parziale declino, risollevato dal titolo del 1982) ed era davvero uno degli ultimi collanti rimasti a una nazione sempre più in ginocchio: oggi non la segue più nessuno.

E non si raccontino storie su quell’ allenatore o su quest’altro, che da tifosi juventini, milanisti, napolidi o quant’altro ce ne freghiamo altamente di chi siede sulla panchina o di chi è presidente.
La crisi in cui ci troviamo è figlia anche di questo totale disinteresse: non solo nel 1990 in casa, ma ancora nel 1994 negli USA sventolavano tricolori in massa nelle curve italiane ai mondiali. Oggi ci sono gruppi sparuti, sempre più indifferenti e tristi. Gruppi nei quali figurerei anche io.

Se una squadra non suscita interesse, per quale motivo si dovrebbe averla a cuore? Ecco spiegata la differenza nel post-sentenza Bosman tra noi e gli altri, quelli che portano un Benzema a diventare (dopo stenti di rendimento durati anni) titolare nel Real o – peggio – un Owen a vincere addirittura il Pallone d’Oro (nonostante un calo qualitativo che ha interessato tutti).

Negli ultimi anni ho sentito le peggiori sciocchezze: perfino gente che mi ha detto testuali parole: “Non tifo la nazionale perché il nazionalismo ha prodotto morti e catastrofi”. Insomma, qualsiasi elemento di collante, pur secondario e in questo caso perfino semplicemente sportivo e non certo guerrafondaio, è stato suscettibile di essere identificato come qualcosa da stigmatizzare. Non è normale che una maglia tanto prestigiosa, rappresentata da un museo così importante come quello di Coverciano, non venga onorata nella cultura popolare.

Il fatto che per la stragrande maggioranza degli italiani l’Italia nazionale calcistica, nonostante sia un simbolo assoluto della storia del calcio e detenga pure una buona metà dei record della FIFA ai mondiali (soprattutto difensivi, come è desumibile) equivalga ad un nonnulla evidenzia, oltre alla tristezza indicibile della tifoseria, anche l’ennesimo successo del pensiero anti-nazionale.

Che non si accontenta di aver già rovinato tutto il resto, ma ha deciso di farlo anche col calcio. Per concludere, dunque, viva l’Italia azzurra. In difesa della nazionale italiana, per qualcuno considerata addirittura frutto di “becero nazionalismo”, il che spiega come il politicamente corretto, l’anti-italianismo e tutte le derive al loro seguito ci stiano rovinando perfino il calcio. E come lo abbiano rovinato pure a quei pochi che la nazionale la tifano ancora, schiacciati dal conformismo dell’indifferenza.

(di Stelio Fergola)