Pecunia non olet: l’inguaribile ipocrisia hollywoodiana

Harvey Weinstein risponde esattamente allo stereotipo del grande produttore cinematografico: è di etnia ebraica, ha conseguito negli anni un successo inimmaginabile accumulando un patrimonio a dir poco invidiabile ed è stato in grado di esercitare un’influenza tutt’altro che marginale tanto nel settore dell’intrattenimento quanto in quello politico, grazie ai generosi finanziamenti che non ha mai mancato di elargire alle più disparate personalità.

Ha raggiunto, de facto, lo status di indiscusso dominus dei giochi di potere che si districano all’interno di una delle industrie più floride della superpotenza statunitense, nella quale si intrecciano interessi miliardari. Come le cronache ci hanno riportato, negli ultimi giorni il nostro è stato investito da una ingente mole di accuse secondo le quali avrebbe abusato del ruolo di potente magnate per avanzare delle molestie di carattere sessuale nei confronti di attrici, modelle e sue collaboratrici.

Questi atti si sarebbero perpetrati nel corso degli ultimi trent’anni, il lasso di tempo nel quale il Weinstein ha goduto della posizione di assoluto protagonista all’interno del patinato jet set d’oltreoceano. Mettiamo subito in chiaro una cosa. Per quanto debba essere scontato abbiamo il dovere di ribadire una inconfutabile verità.

Al netto dei deliri nazifemministi circa il tasso dei femminicidi in Italia, nonostante il ridicolo di cui si coprono quanti conducano delle fantomatiche battaglie contro la pratica del “manspreding” (l’imperdonabile invasione degli spazi femminili da parte degli uomini che sui mezzi pubblici osano sedersi divaricando eccessivamente le gambe) o a favore del “freebleeding” (la scelta di abbandonare il sangue mestruale al proprio destino evitando di utilizzare assorbenti o tamponi), la violenza sulle donne esiste, è una delle peggiori piaghe sociali della società contemporanea e senza dubbio alcuno deve essere catalogata tra le pratiche più deprecabili di cui un uomo possa rendersi protagonista.

Nel particolare lo stupro, ma anche qualsiasi altro tipo di aggressione che non arrivi necessariamente al consumo dell’atto sessuale tramite l’uso della forza bruta, rappresentano la più grande lesione della dignità femminile. Fin qui, tutti d’accordo. Ora però, per l’ennesima volta, a destare più di una perplessità è il grande esercizio di ipocrisia sfoggiato da pasionarie, indignate e moralizzatrici dell’ultima ora, le quali, non sappiamo perché, sembrano legare l’opportunità di una pubblica denuncia esclusivamente all’eventuale tornaconto che potrebbero trarne.

Ecco qualcuno dei nomi più altisonanti coinvolti in questa triste vicenda riportati dai giornali: Rosanna Arquette, Judith Godrèche, Mira Sorvino, Katherine Kendall, Ambra Battilana Gutierrez, Rose McGowan, la nostra Asia Argento ed addirittura stelle di prima grandezza come Ashley Judd, Gwyneth Paltrow ed Angelina Jolie. Sono tutte uscite allo scoperto ora, una vola esploso il bubbone, e caso strano nessuna di esse ebbe l’ardire di rendere note le brutalità subite a tempo debito, subito dopo esserne state vittime.

Certo, per una donna non dev’essere facile fare i conti con un accadimento di questo portata, riportare di essere state oggetto di una violenza carnale – effettivamente perpetrata o solo tentata – non è esattamente come segnalare di aver subito un furto. Eppure, non possiamo fare a meno di considerare quanto, forse, anche un’altra occorrenza abbia inizialmente convinto queste donne a tacere. Se infatti si fossero messe di traverso ad un uomo tanto potente, considerato il burattinaio del variegato sottobosco hollywoodiano, probabilmente, le loro carriere non sarebbero state tanto folgoranti.

Viene dunque spontaneo interrogarsi in merito alla sincerità dell’adesione che queste professioniste così come tante altre attiviste asseriscono di nutrire nei confronti della causa femminista. Cosa ricopre una rilevanza maggiore, il rispetto della donna, della sua dignità e del suo corpo, oppure è più importante l’accesso alla fama, alla celebrità ed al successo? Io non avrei il minimo dubbio, ma il fatto che lo scrivente sia un uomo eterosessuale bianco, uno straight white male a tutti gli effetti, senza dubbio fa sì che questi non abbia diritto di esprimersi sulla questione.

C’è poi un altro aspetto fondamentale da prendere in considerazione. Gente, stiamo parlando di Hollywood, un coacervo di saltimbanchi, nani, giocolieri, artisti circensi ed individui in perenne attesa dell’occasione della vita, uomini e donne disposti a tutto pur di raggiungere fortuna ed affermazione, un fenomeno sociale che potrebbe essere definito come un puttanaio istituzionalizzato.

Eppure, l’Academy ha cercato di correre subito ai ripari con l’obbiettivo di salvaguardare la propria immagine. In preda ad un raptus di psicosi schizofrenica, attraverso un comunicato ufficiale è arrivata per voce dei suoi rappresentanti a giudicare il comportamento di Weinstein “Del tutto antitetico agli standard dell’Academy e della comunità di creativi che questa rappresenta”. Sì, avete letto bene. “Del tutto antitetico agli standard dell’Academy”.

Gli standard dell’Academy? E quali sarebbero gli aulici standard che renderebbero tale immondo postribolo un esempio da seguire? Quegli stessi standard per i quali le audizioni ed i provini con attricette ed aspiranti starlette si svolgono regolarmente nelle camere da letto di produttori e caporioni vari? Quegli stessi standard per i quali le sceneggiature ed i soggetti delle pellicole che sbarcheranno nelle sale cinematografiche di tutto il mondo subiscono sistematicamente una certosina interpolazione per mano dei galoppini del Governo al fine di renderle una perfetta propaganda pro USA?

Che la fabbrica dei sogni sia una sorta di quinta colonna a stelle e strisce piazzata in ogni angolo del globo ed espleti una funzione di carattere propriamente politico non è un mistero, al contrario, si tratta di un assunto incontrovertibile. Sarebbe sufficiente andare a rileggersi le dichiarazioni rilasciate sull’argomento da Aurelio De Laurentiis solo poche settimane addietro. Ciò che però appare insopportabile è la volontà di ergersi ad educatori e paladini del buon costume rivendicata dagli attori di questo marcio e corrotto sistema.

Con la stessa chiave di lettura andrebbero poi analizzate le prese di posizione dei due nuclei familiari che negli ultimi tempi hanno avuto tra le mani le redini dell’universo Democratico, i Clinton prima e gli Obama poi. Entrambi i clan hanno in una qualche misura beneficiato dei servigi messi a disposizione dal Weinstein attraverso i finanziamenti riconosciuti dal produttore al partito in questione, ad organizzazioni loro affini o alle rispettive campagne elettorali.

Arcinote sono le continue imbeccate e gli ammonimenti sia di Hillary che di Michelle in favore dell’uguaglianza di genere e la vicinanza ideologica delle due signore alle istanze dell’universo femminista, e del resto anche questo è un terreno nel quale l’appoggio di Weinstein non è mai mancato. Risulterebbe credibile una ricostruzione dei fatti secondo la quale le nostre paladine fossero completamente all’oscuro dell’andazzo imperante nei corridoi degli studios?

Ognuno risponda alla domanda come meglio preferisce, per quanto ci riguarda fatichiamo ad immaginare, tanto per dire, una Hillary Clinton intenta a vagliare le diverse fonti dei suoi finanziatori per scartare quelle provenienti da soggetti ritenuti poco reprensibili in tema di condotta morale.

(di Giovanni Rita)