No borders da ius soli? Viva il Muro, faro di civiltà

“Quel muro di filo spinato al Brennero ci rivela che qualcuno in Europa oltre all’anima ha perso pure la memoria”.

Sono frasi come questa, che pronunciò Enrico Mentana lo scorso anno, quando l’Austria minacciava di chiudere o quanto meno di controllare le proprie frontiere al flusso di immigrati, che ti fanno sentire a casa.

Eh già, perché se nel resto del mondo qualche sprazzo di lume della ragione comincia a balenare, da noi si continua a vaneggiare, in un totale scollamento dalla realtà, su quanto sia bello un mondo senza barriere, limiti e confini. Stile “come può uno scoglio arginare il mare” e “respirando brezze che dilagano su terre senza limiti e confini”.

Tornando al più prosaico Mentana, occorre dire che frasi come la sua, declinate in varie salse, si sono sentite e si sentono un po’ ovunque, diramate come sempre a reti unificate dai sacerdoti del bigottismo progressista.

Si va da un apocalittico “i muri non ci salveranno” a un più pacato “erigere barriere non è la soluzione”. In ogni caso assiomi, perché di questo si tratta, che tocca prendere per buoni per non essere tacciati di fascio-omo-nazi-fobo-qualsiasicosa.

Prendiamo il pacato “erigere barriere non è la soluzione”: poco, anzi nulla, importa se al confine tra l’Ungheria e la Serbia, blindato dalla barriera voluta dal premier Orbán, i migranti che tentano di attraversare la frontiera si contino oramai sulle dita. Ciò è irrilevante perché erigere barriere non è la soluzione.

No. Non lo è.

Poco importa se la Bulgaria ha costruito una recinzione di filo spinato lunga 33 km al confine con la parte sudorientale della Turchia, se la Grecia ha eretto una barriera di 10,5 km di filo spinato lungo il suo confine con la Turchia, se la Spagna ha fortificato le recinzioni delle due enclavi nordafricane di Ceuta e Melilla, se Il Regno Unito costruirà oltre 3 km di recinzione di massima sicurezza al porto del Tunnel sotto la Manica di Calais, se l’Austria ha interrotto la procedura delle richieste di asilo per cercare di rendere il paese “meno appetibile” ai migranti rispetto agli altri paesi dell’Unione europea. Se, infine, ancora l’Austria prova a resistere sul Brennero. Con la consueta perspicacia Angelino Alfano, il quale non comprendeva, l’aveva definita una “decisione inspiegabile”.

E non comprendiamo nemmeno noi come di fronte ad un’emergenza di tale portata che vede milioni di persone pronte a riversarsi sul territorio dell’Unione e in considerazione della particolare posizione geografica del nostro paese che rischia un fatale effetto imbuto, ovvero il totale ed irreversibile collasso, si possa ancora, del tutto irresponsabilmente e disonestamente, fare un uso propagandistico e distorto della storia.

È certo infatti che quando si parla di filo spinato e muri il pensiero corre a quel novecento che ha visto le nazioni europee divise dalle trincee, dalla cortina di ferro, dal muro di Berlino. Pagine buie della nostra storia che nessuno vuole rivivere, rassicuriamoci tutti.

Il punto è che l’equazione sempliciotta sottesa agli anatemi contro chi suppostamente perderebbe la memoria è quella di equiparare chi si schiera a favore della sovranità nazionale ad un fanatico guerrafondaio pronto ad entrare in guerra con le altre nazioni europee. Il che come emerge dalla semplice esposizione del concetto è semplicemente ridicolo, oltre che antistorico.

Far passare chiunque ritenga compito prioritario dello Stato la tutela del cittadino come un fascista redivivo o un nazista significa con tutta evidenza fare sciacallaggio storico e tutta questa prosopopea di richiamo alla memoria emerge per quello che è: pura propaganda.

Non può infatti sfuggire che le economie e i rapporti di forza attuali sono radicalmente cambiati rispetto a quelli del secolo scorso e che la guerra oggi è già in atto ed è una guerra commerciale la cui arma più formidabile è proprio il liberoscambismo su scala globale che necessita dell’abolizione delle frontiere a vantaggio di formazioni sociali che sono esse stesse transnazionali e nomadiche per definizione, come lo è la finanza.

In questo contesto lo Stato nazione, ovvero una politica della comunità e per la comunità rappresenta l’unico possibile argine allo strapotere della finanza internazionale, ragion per cui la suggestione per cui un’ Italia sovrana e capace di proteggere i propri confini rischierebbe di dichiarare guerra alla Germania o alla Francia è pura allucinazione.

Gli slogan modaioli del no borders /abbattiamo i muri et cetera, spacciati come diktat del progresso sono poi la cornice culturale e ideologica della quale si serve il mondialismo e del quale si fanno portavoce gli utili idioti no global (sic!) del sistema i quali ne diffondono il verbo ripetendo più o meno automaticamente che non c’è progresso se si erigono barriere.

Ebbene, niente di più falso. Le mura delle nostre città stanno li dopo migliaia d’anni a testimoniarcelo.

Dal limes romano, alla grande muraglia cinese, alle mura medievali, le mura hanno garantito per secoli pace e progresso ai territori che cingevano. Lo stesso sviluppo di una produzione culturale significativa è legato alle mura. Senza mura non sarebbero sorte né biblioteche né scuole, né arti. Di una storia fatta di comunità e di individui che in essa si riconoscono ci parlano le mura. Nel circondarsi di mura deve scorgersi quindi, in primis, la delimitazione dell’ambito cittadino con i suoi peculiari diritti e doveri e al contempo una fonte di autoriconoscimento in quanto gli uomini fanno veramente comunità solo nella prossimità e percependo la loro differenza dagli altri.

Ecco allora che il muro e con esso la frontiera proseguono in ambito socio-culturale ciò che la pelle è per il singolo essere vivente, ossia quel qualcosa che permette l’individuazione dello stesso, la sua sopravvivenza e, al contempo, lo scambio equilibrato con l’esterno e col diverso.

(di Sarah Mosole)