La magia dei simboli: il Vegvìsir e i sigilli islandesi

«Se qualcuno porta con sé questo simbolo, non perderà mai la propria strada nella tempesta o nel cattivo tempo, anche se percorre una strada a lui sconosciuta.»

E’ con queste parole che il Vegvísir viene presentato all’interno del celebre Manoscritto di Huld, redatto verso la metà dell’800 da Geir Vigfusson. Il libro, che raccoglie materiale proveniente dalle antiche tradizioni scandinave e islandesi, è una raccolta di formule magiche, racconti e incantesimi. Una delle fonti principali per il Manoscritto di Huld è infatti il codice Galdrastafir og Náttúra þeirra (Magia e Natura), sorta di manuale per decifrare e disegnare i sigilli magici della tradizione islandese. Una tradizione che affonda saldamente le proprie radici nell’antica religione germanica e nel mondo vichingo. La Huld che dà il nome al manoscritto di Vigfusson è, non a caso, una famosa völva (una veggente e sciamana), amante di Odino. Huld, in norreno, vuol dire inoltre “segreto”. Un nome sicuramente adatto per un libro di formule magiche e religiose.

Ma che cos’è di preciso il Vegvísir? Si tratta di una Doga, un sigillo magico islandese. Nel Manoscritto di Huld ne sono indicate diverse, con diversi utilizzi e significati, ma il Vegvísir è sicuramente il più famoso di tutte. Spesso identificato come una bussola o un compasso, è solitamente ritenuto un simbolo fortunato e benaugurante. Il suo scopo era infatti quello di indirizzare colui che lo portava verso la strada giusta, sia dal punto di vista geografico che spirituale. Il termine stesso Vegvìsir è indicativo di questa valenza; è infatti l’unione dei due termini islandesi Veg e Vìsir, cioè “strada” e “guida”. Questa doga è dunque una guida, un accompagnatore che veglia sul viandante e lo aiuta a non perdersi.

Il Vegvìsir compare anche in manoscritti ben più antichi di quello redatto da Geir Vigfusson. Lo troviamo, ad esempio, anche nel Galdabròk, un libro di magia compilato nel 1600. L’opera elenca 47 incantesimi e formule magiche, alcune delle quali abbinate proprio all’utilizzo del Vegvìsir. La bussola islandese è inoltre citata in alcune antiche saghe islandesi. Sembrerebbe inoltre che il simbolo fosse utilizzato già in epoca vichinga, inciso sugli elmi o dipinto sulla prua delle navi. Il motivo era sempre lo stesso: non perdersi, mantenere la rotta, restare sulla buona strada.

Il Vegvìsir è un simbolo composto da 8 differenti glifi, diversi e distinti fra loro. Partendo da un centro comune, questi glifi si espandono in tutte le direzioni. Così come il simbolo guarda in ogni direzione, così il Vegvìsir è pronto a proteggere il viandante da ogni possibile pericolo lungo la strada. Nonostante sia certo l’influsso scandinavo e runico su questo sigillo, la bussola islandese ci lascia tuttavia diversi interrogativi. Come altre doghe islandesi infatti, sono parzialmente riscontrabili anche elementi grafici di tradizione medievale e rinascimentale, nonché allusioni sia al Cristianesimo che all’antica religione germanica. Alcuni studiosi hanno inoltre sottolineato come possano esistere anche flebili influssi galici, derivanti dall’incontro fra i vichinghi e i primi colonizzatori dell’Islanda (i monaci irlandesi).

Non è semplice decifrare con precisione il significato di tutti i glifi che compongono il Vegvìsir, sebbene il suo significato possa venirci in aiuto. L’elemento centrale del sigillo è infatti composto da 8 rune Algiz (ᛉ ), tradizionalmente associate alla buona sorte e alla protezione. A questa struttura di base sono però aggiunti ulteriori simboli, sia runici che semplicemente geometrici. Alcuni di questi, come la runa Tyr (ᛏ ) sul glifo a sud est, simboleggiano il coraggio e la forza. Altri, come i due pallini sul glifo a nord est, non hanno correlazione con la scrittura runica e sembrano piuttosto indicare la dualità del mondo e dell’animo umano.

Il Vegvìsir, come anche le altre doghe islandesi, non era comunque un simbolo da tracciare con semplicità o noncuranza. I sigilli necessitano infatti di un testimone, ovvero una componente organica di colui che intende farne uso. Sangue, saliva o altri fluidi corporei devono essere utilizzati nel tracciare il simbolo, affinché esso sia valido. Spesso dunque gli antichi islandesi usavano il proprio sangue o la propria saliva per disegnare il Vegvìsir sui propri elmi o sulle proprie navi. Ed è forse questo uno dei motivi per cui, ad oggi, non sono stati trovati reperti archeologici che presentano sigilli magici.

L’uso dei sigilli magici era fortemente radicato nella cultura degli antichi islandesi. Popolo di guerrieri, marinai e agricoltori, gli abitanti dell’Islanda erano soliti tracciare questi simboli per propiziarsi gli Dei e la fortuna, nonché per sopravvivere nelle difficili condizioni dell’estremo nord europeo. Grazie al Manoscritto di Huld possiamo conoscere alcuni di questi sigilli e il loro significato magico. Assieme al Vegvìsir, l’altra doga maggiormente utilizzata dagli islandesi era l’Ægishjálmur. Conosciuta anche come l’elmo del terrore, veniva utilizzata per proteggere i guerrieri. Il suo scopo era infatti quello di infondere la paura nel cuore del nemico, permettendo così a colui che la portava di risultare vittorioso in battaglia.

Ne esistevano poi molti altri; la doga Að unni era una runa d’amore, mentre la Dreprún serviva per maledire il bestiame di un nemico. Feingur era il sigillo della fertilità e Kaupaloki portava fortuna nei commerci. Altre doghe infine proteggevano dagli spiriti, dai ladri e dalla cattiva sorte. Chiamati Galdrastafur dagli Islandesi, questi simboli sono stati utilizzati sull’isola fino al secolo scorso. A essi venivano dati grandi poteri, magici e religiosi, e il loro uso non veniva mai preso sottogamba. D’altronde i simboli, specie se arcaici, hanno una loro potenza che è bene non sottovalutare o scordare mai. In essi sono infatti racchiuse le memorie, le tradizioni e le credenze dei popoli. E se i popoli possono scomparire o scordare la loro stessa spiritualità, i simboli hanno invece una memoria ben più lunga e resistente.

(di Andrea Tabacchini)