3 pro e contro sulla morte politica di Bannon

Steve Bannon è ufficialmente fuori dalla Casa Bianca. L’uomo da molti definito come “il cervello dietro la campagna elettorale di Trump” ha concluso la parabola della sua carriera politica; in molti sospettano un suo possibile ritorno nell’ambito del giornalismo e dei media.

Sia gli ammiratori che i detrattori di Bannon parlavano di lui in termini iperbolici. La maggioranza di ciò che è stato affermato e scritto a proposito di Bannon da entrambi i lati della barricata rientra nella categoria delle clamorose esagerazioni. Con questa premessa, la tendenza innegabile di Bannon a porsi come “uomo delle idee” è certamente originale nella nostra epoca di uniformità tecnocratica.  Ecco quindi i pro e i contro della morte politica di Steve Bannon:

I PRO 

1) La minaccia di una guerra commerciale con la Cina. Bannon ha di recente rilasciato la seguente dichiarazione riguardo all’eventualità di una guerra commerciale con una superpotenza nuclerare che rappresenta per inciso la più dinamica economia globale:

“Siamo in guerra economica con la Cina. È tutto già scritto. Non hanno paura di rendere pubbliche le loro intenzioni. Tra 25 o 30 anni esisterà una sola potenza egemone, e saranno loro se noi continueremo su questa strada. Con la Corea stanno cercando di confonderci. È tutta una mascherata”.

Qualora tale dichiarazione di intenti si trasformasse concretamente in una linea di condotta, le ripercussioni sull’economia statunitense potrebbero essere molto gravi. Donald Trump ha già approvato un memorandum che autorizza indagini a proposito di presunte pratiche poco trasparenti da parte della Cina circa l’utilizzo di proprietà intellettuale statunitense. A Washington si comincia a mormorare la parola “sanzioni” come possibile conseguenza di questa procedura.

Vista la dipendenza americana dalle esportazioni cinesi e dato che Pechino possiede somme sostanziali del debito sovrano statunitense, una “guerra commerciale” (espressione usata dallo stesso Bannon) avrebbe effetti catastrofici per l’economia degli USA e contribuirebbe a esacerbare l’ostilità agli interessi finanziari cinesi.

Bannon ha da sempre articolato il suo progetto politico entro una cornice in cui il conflitto con la Cina è inevitabile al punto da venire desiderato. Questa visione pericolosamente manichea potrebbe far precipitare ulteriormente il già precario equilibrio globale.

2) Guerra con l’Iran. Steve Bannon si trovava nel Golfo di Oman con la Marina Statunitense durante la crisi degli ostaggi nel 1980 in Iran. La nave su cui Bannon era imbarcato come parte della missione fallita intrapresa da Jimmy Carter.

Questo avvenimento ha di certo influenzato la visione profondamente anti-iraniana di Bannon. Così come l’ex Consigliere per la Sicurezza Nazionale Michael Flynn, Bannon dava espressione a un rigido fanatismo circa la necessità americana di imporsi sull’Iran mediante politiche aggressive, nonostante la nazione iraniana non abbia mai rappresentato un pericolo per gli Stati Uniti.

In quanto membro della fazione determinata a esasperare le tensioni con un’importante potenza eurasiatica, Bannon rappresentava un pericolo: l’ala contraria all’ostilità aperta con l’Iran necessita di tutto il sostegno possibile.

3) Sostegno a Narendra Modi. L’India di Narendra Modi è un paese che sta inutilmente provocando la Cina violando quello che è riconosciuto con ampio consenso come territorio sovrano cinese. Queste manovre sconsiderate da parte di Modi stanno avvicinando pericolosamente un’India munita di armi nucleari al conflitto con la superpotenza cinese più di quanto non sia avvenuto dal 1962, anno in cui i due giganti asiatici combatterono una breve guerra di confine che si risolse con una schiacciante vittoria della Cina.

Inoltre, Modi sta mettendo a dura prova la pazienza del tradizionale alleato russo acquistando a un prezzo spropositato armi statunitensi al fine di ingraziarsi un paese l’alleanza con il quale è ritenuta da molti indiani estremamente lontana dagli interessi nazionali. Le posizioni filoisraeliane di Modi hanno non soltanto eroso l’approccio tradizionalmente ragionevole ed equilibrato di Nuova Delhi a proposito della questione palestinese, ma hanno alienato la Siria, possibile mercato per prodotti e servizi indiani.

L’attuale “guerra commerciale” dell’India con la Cina non ha causato alcun danno significativo alla Cina, ma ha paralizzato un’economia carica di potenziale come quella indiana. Sul fronte domestico, le politiche perseguite da Modi hanno condotto alla discriminazione dei non-induisti. Musulmani e sikh si sentono minacciati e insicuri come mai prima nell’India contemporanea e la violenza contro le minoranze è oramai un fenomeno diffuso.

Dal momento che in America si prospetta una rovinosa guerra commerciale con la Cina e il tessuto sociale e l’unità nazionale sono irrimediabilmente compromessi, Modi è esattamente il paradigma di tutto ciò che gli Stati Uniti non devono fare.

 I CONTRO

1) Distensione con la Russia. Steve Bannon ha favorito non solo la distensione dei rapporti diplomatici con la Russia ma ha anche costruito relazioni favorevoli. Bannon ha capito che la Russia moderna è una società moderatamente conservatrice nella quale la tradizione cristiana ortodossa è vista positivamente da molti americani smarriti nell’edonismo e nella perversione che sono inesorabilmente collegate al liberalismo postmoderno. Con Bannon fuori dalla Casa Bianca si è persa una voce ragionevole e illuminata sulla Russia.

2) Realismo con la Siria. Bannon ha capito che la Siria e suoi alleati usciranno vittoriosi dal conflitto, e oltre a ciò stanno combattendo il terrorismo salafita che minaccia l’umanità intera. Durante la sua campagna, Trump ha più volte rifiutato di supportare il criminale cambio di regime in Siria e promesso di non ripetere l’errore di Obama di finanziare i terroristi in Iraq. Mentre il conflitto siriano è nella sua fase finale, Bannon ha dimostrato di avere ragione sulla Siria sia sul piano ideologico che pratico. Questa posizione purtroppo non è condivisa dalla maggior parte dell’élite di Washington.

3) Venezuela e Corea del Nord. Il lato pragmatico di Bannon è venuto alla ribalta per la sua opposizione alle recenti minacce di guerra contro la Corea del Nord e il Venezuela. Bannon ha compreso giustamente che le minacce coreane sono poco realistiche e ha convinto Trump a moderare i toni con il Venezuela. Mentre una guerra con la Corea del Nord è molto improbabile, il paese sudamericano è ricco di petrolio e sta tentando molti signori della guerra a Washington.

CONCLUSIONE

Anche se ci sono molte buone ragioni per mandare via Bannon, e altrettante per sentirne la mancanza, la triste verità è che la sua partenza dalla Casa Bianca è stata celebrata per le ragioni sbagliate. Bannon è associato con la base elettorale più di destra, che in alcuni casi sconfina nei gruppi di estremisti bianchi.

Il fatto che Bannon disapprovi gruppi come il KKK sembra non importare in un’America dove spesso la narrazione non coincide con la verità. C’è ovviamente la possibilità che qualcuno alla Casa Bianca considerasse le opinioni di Bannon sulla Cina troppo estreme. Ci sono alcuni indizi che provano la cosa: 24 ore prima della visita del presidente cinese Xi Jinping negli USA, lo scorso aprile, Bannon veniva rimosso dalla sua posizione nel Consiglio di Sicurezza Nazionale. È stata certamente una mossa per rassicurare i cinesi sul fatto che gli USA non intendono mostrarsi aggressivi verso di loro. Qualcuno, dietro le quinte, deve avere pensato che le dichiarazioni di Bannon sulla Cina fossero pericolose. 

Qualunque sia la verità, le dichiarazioni di Steve Bannon spesso variavano dal buon senso alla follia pura. Il suo pragmatismo negli ultimi tempi era distorto dall’ideologia della base di Trump. Questo è vero a prescindere dal fatto che uno ami o odi la sua persona.

(da The Duran – Traduzione di Maria Teresa Marina e Federico Bezzi)