Il vergognoso scaricabarile di Napolitano sulla guerra in Libia

“Non possiamo rimanere indifferenti alla repressione. L’intervento è necessario perché senza il cessate il fuoco delle truppe fedeli al Raìs nessuna transizione democratica può avviarsi. È nostro impegno restare schierati in Libia con le forze di altri Paesi che hanno raccolto l’appello dell’ONU”.

Con queste parole, Giorgio Napolitano, il Presidente emerito, dava ufficialmente l’approvazione all’intervento militare congiunto con la NATO contro la Libia socialista di Mu’ammar Gheddafi. Era l’aprile del 2011.

Salvo alcune voci fuori dal coro interne alla Lega Nord, all‘Italia dei Valori e al PDL – Antonio Di Pietro e Carlo Giovanardi, in primis -, l’opinione pubblica italiana era polarizzata tutta nel sostenere gli insorti islamisti di Bengasi – eterodiretti da al-Qaeda e Fratelli Musulmani – del 17 febbraio 2011.

Gad Lerner, figura di spicco dell’intellettualismo atlantista, sul suo blog, il 27 aprile 2011, scriveva: “Abbiamo sentito opporre argomenti uno dopo l’altro per negare che bisognasse impegnarsi dalla parte degli insorti di Bengasi per consentire la deposizione di Gheddafi”.

Ne sarebbe scaturita una secessione della Cirenaica indipendente dalla Tripolitania. Il ritorno alle guerre tribali d’epoca precoloniale. L’instaurazione di un regime islamico qaedista. L’esodo (biblico!) di profughi a centinaia di migliaia. Tutte balle.

Il pacifismo di destra che si è contrapposto all’impegno lodevole della NATO, di Obama, di Cameron, di Sarkozy non ne ha azzeccata una. Oggi, con l’accordo di pace libico siglato da Emmanuel Macron all’Eliseo alla presenza di Khalifa Haftar (capo del Governo di Tobruch) e Fayez al-Serraj (capo del Governo di Tripoli sotto egemonia dell’ONU) che ha avuto come effetto immediato la nazionalizzazione dei cantieri navali francesi per ridurre l’influenza di ENI e Fincantieri, stiamo assistendo a dei silenzi imbarazzanti, negazioni dell’evidenza e repentini cambi di opinione.

“In una nave che affonda gli intellettuali sono i primi a fuggire subito dopo i topi e molto prima delle puttane”, diceva Vladimir Majakovskij, poeta e drammaturgo sovietico. Conscio del fatto che l’imperialismo francese di Nicolás Sarkozy ha avuto come obiettivo nientemeno che la riduzione del peso geopolitico dell’Italia nel Mediterraneo e la distruzione dei suoi asset economici in Libia – crollo del 77% delle esportazioni in termini di macchine specializzate e prodotti tessili e chiusure di aziende data la netta caduta degli investimenti -, il Presidente emerito sulle pagine di Repubblica ha smentito categoricamente di aver appoggiato qualunque tipo di interventismo di stampo colonialista ed imperialista nel Paese.

“Fu colpa di Berlusconi”, ha sostenuto. Per sua sfortuna, però, verba volant, scripta manent. Un’ulteriore traccia del suo assenso a quell’operazione ci viene data nel suo discorso durante le celebrazioni del 25 aprile del 2011, in quell’occasione Giorgio Napolitano disse; “nel ricordo delle lotte di liberazione e del 25 aprile, in particolare noi italiani sentiamo di non poter restare indifferenti di fronte al rischio che vengano brutalmente soffocati movimenti comunque caratterizzati da una profonda carica liberatoria.”

Un riferimento nitido alla causa della marmaglia islamista ed eterodiretta di Bengasi, non c’è che dire. Insomma, nessuno dei tragici sviluppi successivi sarebbe stato possibile senza il suo intervento. Il suo continuo richiamare alle “decisioni difficili” e alla Realpolitik, alludendo ad una salvaguardia dei valori baathisti quando ormai erano morti e sepolti ad opera delle bande islamiste, hanno avuto l’effetto di sgombrare il campo da ostacoli su cui Silvio Berlusconi sembrava destinato a inciampare. Questa è la verità.

(di Davide Pellegrino)