I valori del guerriero Germanico

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Coraggio, forza, abnegazione, sprezzo del pericolo e della morte, successo e ricchezza: sono queste le qualità che ogni guerriero germanico cercava nel proprio capo ed in sé stesso.

Le popolazioni barbariche di origine germanica che abitavano al di là dei confini dell’impero romano, nel tanto temuto e selvaggio Barbaricum, il famoso “Hic sunt leones”, crebbero e si formarono in stretto contatto con la cultura greco-romana delle province civilizzate dell’impero. Il costante rapporto di natura commerciale, politica, militare e culturale che interessò i romani ed i selvaggi barbari al di là dei confini era necessario e proficuo per tutti e due.

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Roma pagava e manteneva come alleati un gran numero di re e capi barbarici affinché sorvegliassero le frontiere ed evitassero di saccheggiare le terre dell’impero. D’altra parte i capi delle tribù germaniche ricevevano prodotti materiali e ricchezze che ne ampliassero le ricchezze e rinforzassero la posizione al vertice della tribù. Sia chiaro, qualsiasi imperatore avrebbe potuto soggiogare queste popolazioni, ma non vi era alcun profitto: di schiavi nell’impero ce n’erano forse troppi, nella Germania città da saccheggiare non esistevano ed al massimo si sarebbero conquistate dense foreste e paludi infestate dalla malaria, tanto valeva tenersi dunque buoni questi “reucci” barbarici e impegnarsi nello scontro ad est contro l’impero dei Parti dalle ricche città o la Dacia piena di miniere d’oro.

Questo meccanismo venne però ad un certo punto a sfaldarsi: i re barbarici diventarono da capitribù a comandanti di vaste confederazioni di popoli che riunivano intorno a sé decine di migliaia di guerrieri dalle più svariate origini: popoli nomadi eurasiatici, germani del nord e dell’oriente, schiavi fuggitivi e disertori delle legioni. Ma ciò che più colse i Romani alla sprovvista fu che questi popoli erano nel tempo cambiati. Il lungo contatto con la cultura romana ne aveva infatti profondamente alterato le conoscenze culturali e militari, tanto che numerosi guerrieri germanici non solo avevano militato in seno all’esercito romano, ma vi avevano anche fatto carriera.

Così i barbari a poco a poco iniziarono a darsi delle organizzazioni militari, con re che erano comandanti militari astuti e scaltri come Alarico, Fritigerno, Genserico ed Attila. Queste nuovi popoli, riforgiatesi a contatto con Roma, si unirono sotto bandiere uniche, creando federazioni come quella degli Alemanni, che non vuole dire altro che “tutti gli uomini”, o i Franchi, ovvero i “valorosi”, i Longobardi e tanti altri. Un processo che la moderna storiografia ha definito di “Etnogenesi”. Roma venne cambiata e cambiò i barbari, anzi, come scrisse un famoso studioso, i barbari che distrussero l’impero non sono altro che “la più grande e geniale invenzione di Roma”.

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Ciò che le popolazioni germaniche non mutarono furono però le loro tradizioni belliche, ovviamente non combattevano più a petto nudo e con clave di legno come nel I secolo a.C. o nel I d.C. Ora indossavano elmi di ferro e cotte di maglia, armature e ampi scudi. Non mutarono neanche i loro valori, che rimasero quelli della tradizione tribale germanica, anzi li ampliarono grazie al continuo contatto con l’esercito romano valorizzarono le tradizioni di stampo militare.

Così le armi divennero oggetti sacri da tramandare di padre in figlio, basti pensare alla spada di Alboino sottratta alla salma dell’eroe da un duca longoardo di Verona, o la splendida lama di Carlo Magno, meglio ancora a Durlindana, la spada di Orlando che preferì lanciarla fra le mani del Cielo piuttosto che farla cadere in mano ai Saraceni. Ciò che caratterizzava la fama bellica delle popolazioni germaniche era però l’indomabile audacia. Il coraggio, quasi folle e temerario, ci è stato descritto dall’imperatore Maurizio nel suo Strategikon, (un trattato di arte militare), dove consiglia e suggerisce ai comandanti bizantini come affrontare i nemici e come gestire una battaglia.

Con un gusto etnografico tutto Greco l’imperatore descrive anche il comportamento dei popoli nemici di Costantinopoli, e parlando dei “Popoli Biondi”, i Germani, li descrive come rozzi e libidinosi, pronti a vendersi per dell’oro e così coraggiosi fino a sprezzare la morte. Popoli che in battaglia mostrano una ferocia fuori dal comune ma senza disciplina e ordine, pronti a morire pur di mostrare di essere degni di onori ma anche a sacrificarsi per aiutare i compagni in difficoltà. Valori che troveremo in tutte le saghe eroiche nordiche, dai Nibelunghi alla saga di Hegill. Nel X secolo sarà Odino ad incarnare questi valori nel novero degli dei Norreni, tanto che nell’Edda è il dio stesso a ricordare agli uomini come comportarsi.

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Uno spettro di valori che unitosi alla pietà e fede in Cristo, a ciò che rimaneva dei Mores romani, e alle virtù del combattente per la fede furono la base per l’etica cavalleresca. Coraggio, abnegazione, amore della guerra, desiderio di primeggiare sugli altri e difesa degli inermi sono la base dei valori dei “cavalieri”, non più solo guerrieri che combattevano a cavallo, ma una vera e propria elite militare con i suoi valori ed una propria etica di combattimento basata sull’onore.

(di Fausto Andrea Marconi)

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