“Oltre la linea”: Jünger e Heidegger sul nichilismo

“Oltre la linea” è un memorabile confronto tra Ernst Jünger e Martin Heidegger sul nichilismo, nella prima metà degli anni Cinquanta. Confronto che funge da diagnosi della situazione del mondo contemporaneo. Oggetto del contendere è la linea del nichilismo, il meridiano zero passato il quale non valgono più i vecchi strumenti di navigazione, poiché lo spirito, devastato dall’elevata accelerazione tecnologica, appare disorientato.

Il punto di partenza è comune a entrambi: il nichilismo caratterizza la nostra epoca. In questo confronto, edito come libro da Adelphi, e comprendente entrambe le posizioni, Jünger appare decisamente ottimista: il nichilismo è presentato come travaglio spirituale, che può essere sopportato fino in fondo e anche superato. Tuttavia, la linea del nichilismo non è la sua fine, bensì il suo punto mediano, oltre il quale il superamento del nichilismo accelera, ma non pone fine al nichilismo stesso. Superata questa linea, lo scenario mostra il nichilismo come carattere costitutivo della realtà stessa, cioè diviene regolare.

Come contrastare tale fenomeno? Secondo Jünger, solo erigendo barriere interiori (amore, amicizia, arte) che difendano le ormai rare oasi di libertà che rimangono nel deserto che avanza. Nella propria interiorità, l’uomo è inviolabile, e da qui egli può condurre la sua personale battaglia contro il nichilismo, non essendo influenzato da niente, né dalle chiese (simbolo del potere spirituale) né dal Leviatano (simbolo del potere politico), e riuscendo così, dunque, a mantenersi saldo nel vortice del nichilismo.

Heidegger, invece, si mostra molto più cauto, quindi meno ottimista, di Jünger: egli intende andare più a fondo di quest’ultimo, ossia ricercare l’essenza stessa del nichilismo. Infatti, se sarà mai possibile attraversare la linea del nichilismo, si richiederà il compimento del nichilismo, ossia la sua comprensione essenziale: invece di voler oltrepassare il nichilismo, dobbiamo prima raccoglierci nella sua essenza.

Come andare oltre il nichilismo? Heidegger è molto chiaro: razionalismo e irrazionalismo non sono gli strumenti adatti per farlo, concordando con Jünger, in quanto sia razionalismo che irrazionalismo sono due facce del nichilismo. Detto questo, quindi, non esiste etica, o virtù, possibile nell’età della tecnica. L’unica soluzione è quella di farsi carico del nichilismo, sperimentarne tutta la potenza, essendo il tratto caratteristico della nostra epoca. Dunque, che fine fanno le barriere interiori postulate da Jünger? Secondo Heidegger, sono inutili, poiché la strategia migliore è quella di attendere l’esaurimento completo del nichilismo, dopo che esso ha sprigionato tutta la sua potenza.

Concludendo il preambolo storico-filosofico, le posizioni che si delineano sono due, sostanzialmente: quella di Jünger, secondo il quale bisogna erigere barriere interiori contro l’avanzare del nichilismo e postulando una figura emblematica, come fece Nietzsche con Zarathustra, cioè quella dell’Anarca, teorizzata nel “Trattato del ribelle”, ossia di un solitario che, anche se può sottomettersi esteriormente alla legge, al suo interno può fare ciò che vuole. Afferma, infatti, Jünger in Oltre la linea:

“Il proprio petto: qui sta, come un tempo nella Tebaide, il centro di ogni deserto e rovina. Qui sta la caverna verso cui spingono i demoni. Qui ognuno, di qualunque condizione e rango, conduce da solo e in prima persona la sua lotta, e con la sua vittoria il mondo cambia. Se egli ha la meglio, il Nulla si ritirerà in sé stesso, abbandonando sulla riva i tesori che le sue onde avevano sommerso.”

Heidegger, invece, appare più pacato: secondo lui, solo un Dio può salvare. La battaglia contro il nichilismo non si può affrontare, ma solo subire: il pensiero si dimostra eroico, secondo lui, nel pazientare e nell’attendere la fine del nichilismo. Tale è l’atteggiamento della Gelassenheit, dell’abbandono pacato.

Avrei voluto scrivere questo articolo in tempi migliori, anche se sarebbero stati sempre molto turbolenti per via di ciò che stiamo vivendo. Perché quel preambolo sopra scritto? L’Occidente vive una gravissima crisi, al punto di poter decidere sulla vita e sulla morte dei suoi figli: oggi tocca a Charlie Gard, un bambino di 10 mesi malato e non curabile, domani ai nostri eredi. Nonostante vi sia stata la speranza di una cura sperimentale, quindi non sicura, negli USA, la Corte europea dei Diritti dell’Uomo ha decretato e stabilito la morte del bambino, attaccato a delle macchine che gli consentono di sopravvivere.

Sospensione delle cure, malgrado la ferrea opposizione dei genitori, che, nel frattempo, si sono dati da fare, raccogliendo una somma di oltre un milione di sterline da investire nella cura del piccolo Charlie. Si tratta di un evento senza precedenti, che crea il precedente: decidere sulla base di un caso limite per introdurre una legge scandalosa e criminale, che va contro ogni legge etica e che sa tanto di nazismo. L’unica anomalia è che il sistema che ha deciso che Charlie debba morire si presenti come democratico, ma sostanzialmente è tirannico e, perché no, nazista. Certo, nazista. L’eugenetica e l’eutanasia non sono caratteristiche di una società civile, specie nel secondo caso, nel quale si agisca contro la volontà dei genitori, o dei diretti interessati.

Il titolo “Oltre la linea” è stato scelto proprio per descrivere in breve la situazione dell’Occidente: la linea rappresenta il punto di non ritorno, nel quale tutto è compiuto. È l’ultimo tassello di uno sprofondare che non può più peggiorare, tanto è grave la situazione.

Il silenzio della Chiesa in merito è emblematico: non una parola dal Papa, nonostante si sia scagliato ferocemente contro il muro di Trump, attenzione! Farebbe ridere, se non facesse piangere. Si tratta di un silenzio assordante e, direi anche, contro natura. Coloro che, all’interno del Clero, hanno parlato, hanno fatto più danno che beneficio, rendendo testimonianza dell’immane relativismo di cui la società contemporanea è oramai preda e malata. Il quotidiano Agensir, infatti, scrive così:

“Straziante”, soprattutto “per i suoi genitori, per la famiglia”. Usano questo aggettivo i vescovi inglesi nel definire la decisione adottata ieri dalla Corte europea dei diritti dell’uomo che stabilisce quanto già approvato dai tribunali britannici e, cioè, che si possono sospendere le cure a cui finora è stato sottoposto il piccolo Charlie Gard per mantenerlo in vita.

“In questo difficile caso – si legge in una nota diffusa questa mattina [28/06/2017] dalla Conferenza episcopale inglese – tutte le parti hanno cercato di agire con integrità e per il bene di Charlie, ciascuno secondo la sua visione. Da quando due parti con intenti opposti agiscono per lo stesso fine, per ottenere lo stesso risultato? È una contraddizione in termini, la logica che fine ha fatto? Ecco qui il relativismo. Comprensibilmente, i genitori di Charlie desiderano fare di tutto pur di salvare e migliorare la sua vita. Speriamo e preghiamo che, in seguito a questa decisione, possano trovare pace nei giorni e nelle settimane a venire. Incoraggiamo anche la comunità cattolica a pregare per Charlie, per i suoi genitori e per tutti coloro che si sono occupati di lui”.

Certamente, come se la perdita di un figlio, per il quale si è avuta la speranza della cura, qualunque cura, fosse semplice e banale da mandare giù e dimenticare, vero? Ma suvvia, incitate a pregare, piuttosto che denunciare questo abominio che sancisce la morte definitiva dell’Occidente.

Purtroppo, si legge ancora nella nota, “la malattia terminale prolungata fa parte della condizione umana: non dovremmo mai agire con la deliberata intenzione di porre fine alla vita umana, compresa la rimozione dell’alimentazione e dell’idratazione che potrebbe provocare la morte. Dobbiamo, tuttavia, riconoscere qualche volta i limiti di ciò che può essere fatto, mentre si agisce sempre umilmente al servizio del malato fino al momento della morte naturale.

Cosa fare, schierarsi con Jünger e con l’Anarca, rifugiandoci nella nostra interiorità, mentre esteriormente siamo consenzienti a tutto questo, oppure schierarsi con Heidegger, praticando l’abbandono, non reagendo in alcun modo? Né con Jünger né con Heidegger: la presa di posizione deve essere netta e l’azione dovrà seguirla, materialmente e idealmente.

La battaglia antropologica alla quale dobbiamo prendere parte si presenta devastante, al termine della quale sorgerà una nuova alba, un nuovo mondo, sulle macerie (morali, e forse anche materiali?) dell’Occidente. Qualunque sarà l’esito di questa battaglia, questo rappresenterà un punto di non ritorno.

(di Pasquale Ruggeri)