Viaggio nella politica spagnola

Calato il sipario sulla corsa all’Eliseo,che ha incoronato l’europeista Emmanuel Macron, sono ancora molti gli scenari aperti negli altri paesi europei: dalla Germania, che a settembre vedrà sfidarsi Angela Merkel e Martin Schultz per il titolo di cancelliere, al Regno Unito, al voto per la prima volta dopo la Brexit. In altri paesi, invece, pur non essendo imminenti nuove elezioni, i partiti stanno già affilando le lame in vista di scontri futuri; è, tra i molti, il caso dell’Italia, che potrebbe tornare alle urne nel 2018 con una nuova legge elettorale.

Qui potremmo inserire anche la Spagna che, pur avendo rieletto il conservatore Rajoy nel 2016, non sembra mai uscita dal clima della campagna elettorale, aspramente teso e incerto per il futuro. Ciò è dovuto al fatto che i principali partiti si trovano a sottilissimi margini di distanza in termini di percentuale e tutti, se la situazione dovesse riprodursi tale e quale nel 2020, in prossimità delle prossime elezioni, sarebbero papabili di vittoria. Per lo meno, questo è ciò che traspare leggendo gli ultimi sondaggi.

Questi mostrano il Partido Popular dell’attuale presidente in testa con il 31% dei consensi, staccando così nettamente i rivali socialisti (PSOE) al 19,9%, Podemos al 19,7% e i centristi di Ciudadanos al 14,5%. Per quanto il centrodestra abbia un discreto margine di vantaggio rispetto agli altri partiti, tutti addossati alla soglia del 20%, si tratta di un campanello di allarme per Rajoy, che perde due punti percentuali, rispetto ai sondaggi di marzo. Il Partito Socialista è in picchiata, mentre i consensi per Iglesias e Rivera sono aumentati. È ora necessario, al fine di comprendere come si sia arrivati a questo risultato e come la situazione possa evolvere in futuro ,fare un passo indietro, tornando alle elezioni parlamentari del 2015 e ai 316 giorni di immobilità, prima di legittimare nuovamente Rajoy.

Siamo esattamente al 20 dicembre 2015, il PP vince la tornata elettorale ma, sulla scena politica spagnola, irrompono due nuovi movimenti: Podemos e Ciudadanos. Il primo è un chiaro esempio di quello che la stampa chiama “populismo di sinistra”, che combatte cioè le politiche di austerità dell’UE ma guardando al greco Tsipras, piuttosto che a Marine Le Pen. Capeggiati dal giovane professore universitario Pablo Iglesias, riescono ad ottenere al loro esordio sulla scena politica nazionale un buon 15%, nonché la salita alle poltrone di sindaco a Madrid (Manuela Carmena), Barcellona, La Coruna, Cadice e altre importanti città.

I Ciudadanos, “Cittadini”, è invece una formazione nata del 2005 in Catalogna, ma consolidatasi nel resto del paese solo dieci anni dopo, conquistando il 13% dei consensi alle urne. Tra i loro principali punti spiccano un forte europeismo, il liberismo (potremmo definirli i Macron di Spagna) e la lotta contro l’indipendenza della Catalogna. La loro entrata in parlamento ha rotto il decennale bipolarismo centrosinistra-centrodestra, socialisti-popolari, e proprio questo aspetto è la causa scatenante di una lunga telenovela politica, durata quasi un anno.

Il vincente Rajoy (ricordiamo intanto che il PSOE ha guadagnato solo il 22%, peggior risultato nella storia della democrazia castigliana) prima di tornare al governo ha bisogno della legittimità della camera e del senato. Qui, Podemos, Ciudadanos e le piccole formazioni basche, catalane e valenciane fanno fronte comune all’opposizione, a loro si aggiungono poi i socialisti in crisi, lasciando di fatto i popolari incapaci di governare perché senza alleati. Inizia così una rincorsa a possibili interlocutori che ricorda quanto vissuto in Italia nel 2013, con lo sterile corteggiamento di Bersani al Movimento 5 Stelle e la nascita del governo “a larghe intese” di Enrico Letta.

Tutte gli sforzi dei conservatori sono però vani e l’unica scelta possibile per sortire dall’immobilismo si configura nell’indire nuove elezioni nel giugno 2016. Rajoy vince ancora, incrementando i consensi dal 28 al 33%; dopo altri mesi di sabotaggio da parte degli avversarsi e l’intervento diretto di Re Felipe VI, nell’ottobre dello stesso anno, un debole governo è finalmente formato. Decisivi in tal senso i voti a favore di Ciudadanos e l’astensione dei socialisti.

Nonostante la fine di questa “stagnazione” tutti escono sconfitti: Rajoy, in minoranza in parlamento e contro una forte opposizione, i socialisti che perdono il leader dimissionario Pedro Sanchez e Ciudadanos, che, con la loro scelta determinante, perdono molta credibilità agli occhi degli elettori. Alla luce di tutto ciò, i nuovi sondaggi rivelano un buon segnale per il presidente che, sebbene sia ostacolato dai rivali politici e abbia perso il 2% nelle statistiche, pare avere il sostegno del popolo spagnolo.

Anche Ciudadanos sembra essersi ripreso,grazie anche all’incessante propaganda sulla questione dell’indipendentismo catalano, da cui molti cittadini, un tempo secessionisti, paiono essersi distaccati. La forza di Podemos è invece in continua ascesa, rivelandosi l’unico valido sfidante del Partido Popular, mentre chi naviga in cattive acque sono i socialisti.

Nel 2016, il brutto risultato dell’anno precedente viene confermato, evidenziando una crisi sempre più marcata, con un elettorato che guarda a Iglesias e una dirigenza senza un uomo forte che guidi il partito che fu di Felipe Gonzales. La vittoria alle primarie dell’ex Segretario Pedro Sanchez, contro gli sfidanti Susana Diaz e l’ex Premier basco Patxi Lopez, ottenuta in modo tanto disatteso quanto netto, sembra tuttavia star rilanciando il partito: almeno nei sondaggi.

(di Guido Snaporaz)