Cosa ci dicono gli attentati a Teheran

Che l’obiettivo della guerra commerciale e diplomatica del Bahrein e dell’Arabia Saudita contro il Qatar fosse quello di elevare l’escalation di tensione con l’Iran era chiaro un po’ a tutti. Doha, infatti, condivide con gli Ayatollah un oleodotto, il South Pars (o North Dome) che per i piani revanscisti sunniti promossi da Re Salman è, ovviamente, profondamente di intralcio.

La reazione isterica non si è fatta quindi attendere: 3 kamikaze, eterodiretti dalla sua casata, si sono fatti saltare in aria nel Majles e nel mausoleo dell’Ayatollah Khomeini a Teheran. 7 morti. D’altronde, sull’Iran, non esistono divergenze di opinione all’interno dell’asse occidentale-sunnita; gli uffici del Pentagono, la CIA, Tel Aviv e Riad lo considerano un nemico da abbattere con ogni mezzo per limitarne, specialmente, la continuità territoriale in Siria e in Iraq, avuta inizio con l’imposizione di Nuri al-Maliki ai piani alti dopo la criminale caduta di Saddam Hussein.

Non è un caso, infatti, che nella giornata di ieri la coalizione a guida statunitense abbia intenzionalmente colpito le postazioni dell’esercito siriano lungo l’autostrada Damasco-Baghdad, di fatto favorendo la marmaglia takfira, la stessa che colpisce in Europa a cadenza ormai giornaliera. Non ci resta che attendere la reazione iraniana; con i missili Silkworm ben puntati sulla sponda occidentale del Golfo Persico non starà sicuramente a guardare.

(di Davide Pellegrino)