G7: la rivincita di Trump, l’umiliazione degli anti-italiani

“Pur sostenendo i diritti umani dei migranti e rifugiati, riaffermiamo i diritti sovrani degli Stati di controllare i loro confini e fissare chiari limiti ai livelli netti di immigrazione, come elementi chiave della loro sicurezza nazionale e del loro benessere economico”.

È la frase centrale, il fulcro del documento comune redatto al G7 di Taormina.

Diciamolo senza mezzi termini: la sensazione, dopo l’incontro siciliano, è che abbiamo venduto un po’ troppo rapidamente la pelle dell’orso. Orso che in questo caso – più che evidente – è Donald Trump, ovvero il candidato anti-sistema prima e il presidente sottomesso all’establishment poi, per la precisione nei tre mesi successivi all’insediamento del 20 gennaio.

La politica, si sa, è questione da studiare nel lungo periodo. Il che la renderebbe – almeno su questo tema – tecnicamente incompatibile con la democrazia liberale, l’estrema libertà dei media, la possibilità di criticare e di impedire lo svolgersi dell’azione politica a breve termine quando per gran parte delle sue azioni occorrerebbe tempo, al fine di produrre una valutazione sugli esiti più genuina e concreta.

La brevissima storia della presidenza Trump non può essere un’eccezione in tal senso: è vero, nell’arco di pochi mesi abbiamo visto il capo del governo americano dapprima attivissimo per cercare di attuare quanto più possibile delle sue idee sulla rilocalizzazione delle imprese, sul freno all’immigrazione irregolare (in particolare da paesi considerati sensibili al terrorismo islamico), per poi ripiegarsi in gran parte di essi, schiacciato dai poteri del Pentagono, dalla stessa Corte suprema e di gran parte del Congresso.

Sulla politica estera non gli è stato permesso nulla dei suoi propositi, dal riavvicinamento alla Russia alla stessa politica in Medio Oriente che, per ora, pare la diretta prosecuzione di quella democratico-obamiana, probabilmente alle dipendenze delle scelte mai realmente discusse dei neocon statunitensi: lo dimostrano sia l’accordo con l’Arabia Saudita quanto l’ostilità prima mai pronunciata contro Assad in Siria.

A Taormina, però, qualcosa è cambiato. Al netto della prevedibilissima “lotta comune al terrorismo” che suona tanto delle solite chiacchiere ma del nulla concreto, delle divergenze tra Trump e tutto il coro paraambientalista europeo (ragione o torto che abbia sugli accordi di Parigi ancora non appoggiati ufficialmente dalla nuova amministrazione), al netto di una teorica lotta al protezionismo che nulla osta delle reali intenzioni di Trump (che contrariamente alla vulgata protezionista non è), c’è stata finalmente l’intesa su un elemento che il miliardario americano sosteneva sin dalla campagna elettorale, sbeffeggiato dai progressisti: il controllo dei confini e delle frontiere. Il ristabilimento – almeno parziale – delle prerogative dello Stato.

In Sicilia, questo riconoscimento è avvenuto: dalla stessa Merkel che dopo “l’accoglienza siriana” di due anni fa, sta ora perseguendo una politica di respingimenti e rimpatri. Una piccola, importante rivalsa per Donald Trump, evidentemente ancora non sufficiente per cantare vittoria, ma senza dubbio un segnale importante e del tutto inatteso su un argomento molto serio.

Noi rimaniamo alla finestra, lieti di aver appoggiato la sua candidatura che ritenevamo e riteniamo tutt’ora decisamente meno pericolosa di quella che sarebbe stata un’ennesima presidenza “democratica”, ma anche consapevoli che la battaglia interna alla Casa Bianca sia solo all’inizio. Essa potrebbe vedere Trump clamorosamente sconfitto alla fine dei giochi: in quel caso, non mancheranno le dovute critiche.

Chiudiamo, con soddisfazione, sottolineando la sconfitta assoluta dei principi degli anti-italiani che – purtroppo – dominano il nostro povero Paese. Dal clero giornalistico, alla sinistra politica, agli intellettuali da strapazzo: Vecchioni, Mentana e tutti coloro che hanno sostenuto l’ignobile e ridicola Marcia contro i muri, beh, ieri hanno ricevuto una bella scoppola.

Una scoppola non solo ai loro dogmi inumani e pericolosi, ma anche alla possibilità di poterli praticare senza freni come hanno sempre fatto negli ultimi decenni.

Una scoppola palesata durante lo speciale di Rai 3 sul G7 andato in onda ieri sera, in cui Sandro Gozi del PD ha praticamente perso i freni inibitori quando Germano Dottori gli faceva notare che l’accordo di Schengen, erroneamente fatto passare come un trattato per l’annullamento dei confini, presuppone in realtà un confine esterno ai Paesi firmatari che la stessa Italia non può disattendere.

Una scoppola per una parte politica che, fin dalle sue origini post-belliche è sempre stata minoranza nel Paese (seppur solida, governante, pontificante e trainante, come la definiva correttamente D’Alema). Parte, cultura politica che dagli anni Novanta in avanti sta portando avanti con ossessione una sottospecie di mostruoso “ideale” immigrazionista, con il vago e disordinato scopo di lungo periodo di renderla, un giorno, maggioranza, votata dai “nuovi italiani” che si sono sempre prodigati di importare.

Certo, dispiace che una sconfitta simile – per ora solo sulla carta, elemento che però non ne ridimensiona la novità – venga come sempre dall’esterno. È del resto impossibile che sia altrimenti: l’Italia è governata e indottrinata (salvo rarissime eccezioni) da chi la vuole distruggere, approfittando biecamente di una popolazione per larga parte lobotomizzata e sostanzialmente inconsapevole del dramma che si sta consumando.

(di Stelio Fergola)