Addio a Zbigniew Brzezinski, armò i talebani contro i sovietici

È il 3 luglio 1979 quando Jimmy Carter, in segreto, dà l’ordine di fornire aiuti militari ai mujāhidīn, fondamentalisti islamici, oppositori del regime filo-sovietico sorto dopo la Rivoluzione di Saur, guidata dal Partito Democratico Popolare dell’Afghanistan nel 1978.

A spingere per l’operazione, quel giorno, è Zbigniew Brzezinski, consigliere per la sicurezza nazionale. In una lettera al Presidente scriverà; “abbiamo la possibilità di dare all’Unione Sovietica il suo Vietnam. Mosca sarà costretta ad un conflitto insopportabile che la demoralizzerà e porterà, entro 10 anni, alla caduta dell’impero sovietico.”

L’Afghanistan, dopo la condanna a morte di Mohammad Najibullah il 27 settembre 1996, a Kabul, nei pressi del complesso dell’ONU, è diventato un bacino fecondo del fondamentalismo islamico, del wahhabismo e di barbarie dovute all’applicazione della sha’ria nella modalità più integralista possibile, ma a Zbigniew Brzezinski non sembrò importare più di tanto.

In un’intervista del 1998 dichiarerà di non avere alcun rimpianto, poiché per la storia sono stati più importanti la caduta dell’Unione Sovietica e la liberazione dell’Europa centrale, che quattro “musulmani scapestrati” come i talebani e Osama Bin Laden.

L’Islam non è una minaccia” sosterrà “è la religione predominante nel mondo con oltre un miliardo e 500 milioni di fedeli. Si dovrebbe guardare ad essa senza demagogia e emozioni e l’Occidente deve smetterla di inquadrarla in un unico blocco monolitico attuando una politica di visione globale.”

Siamo di fronte ad una palese russofobia, non sottoforma di razzismo vero e proprio, quanto più di avversione e paura nei confronti della vocazione imperiale di Mosca, la cui potenza avrebbe facilmente unito il blocco eurasiatico sotto il suo controllo. Non è un caso che, prima dell’Afghanistan, negli anni’ 60 si sia di fatto reso promotore di una politica estera nei confronti dell’Europa orientale atta a stimolare la tendenza centrifuga dei Paesi comunisti e ad acutizzarne i sentimenti nazionalisti per facilitare eventuali secessioni.

È grazie a questo approccio, mischiato alla filosofia della prassi metodologica non violenta di Gene Sharp, se oggi abbiamo assistito alle cosiddette “rivoluzioni colorate” volte a contenere l’influenza russa negli ex suoi Stati satellite – Ucraina, Georgia ecc- e a diffondere il verbo universale del globalismo e della democrazia secondo gli standard occidentali.

Proprio per questo motivo lo si può definire, insieme ad alcuni ambienti trotzkisti, uno dei padri del neo-conservatorismo, del quale conosciamo bene la follia psicopatica e le scelleratezze geopolitiche dalla fine del mondo multipolare in poi. Insomma, un uomo da cestinare nel dimenticatoio.

(di Davide Pellegrino)