Filippine: la battaglia per Marawi

Dal 23 maggio la città di Marawi, situata nell’isola filippina di Mindanao, è teatro di scontri tra un gruppo di militanti affiliati all’ISIS e le forze di sicurezza locali. Tutto ha avuto inizio dopo il fallimento di un blitz dell’esercito filippino, diretto a catturare Isnilon Hapilon, comandante del gruppo ribelle Abu Sayyaf e ritenuto uno dei terroristi più pericolosi del paese asiatico.

I militanti hanno chiamato in loro aiuto il gruppo islamico Maute, attivo dal 2013 e affiliato direttamente all’ISIS. Nell’attacco seguito all’intervento di Maute diversi edifici pubblici, come il carcere e l’ospedale, sono stati presi d’assalto, provocando devastazioni e feriti tra i civili. Pare sia stata presa di mira anche una chiesa e che un sacerdote con alcuni fedeli siano tenuti in ostaggio come scudi umani.

Il Presidente delle Filippine Rodrigo Duterte, che ha dovuto interrompere la sua visita in Russia per fare precipitosamente ritorno a Manila, ha così commentato la situazione: “c’è una guerra in corso e a Marawi si combatte strada per strada”. Duterte non ha però perso tempo, proclamando immediatamente la legge marziale e non escludendo di poterla estendere a tutto il resto dell’arcipelago. Il rischio infatti è che si crei un’alleanza separatista nel sud del Paese, con il coinvolgimento di organizzazioni filo-islamiste indonesiane e malesi.

Il 24 maggio la situazione s’è effettivamente aggravata. Le forze di Hapilon hanno continuato a tenere in scacco le forze di sicurezza tutt’ora impegnate nella bonifica di Marawi, infliggendo loro già alcune perdite, mentre tra i miliziani non se ne è registrata alcuna. È probabile che gli uomini comandati da Hapilon abbiano avuto esperienza di combattimento in Siria e siano dunque preparati a confronti in ambienti urbani.

Allarmanti anche le parole del Ministro degli Esteri australiano Julie Bishop che un paio di mesi fa, a fronte del ritorno di circa 600 miliziani dell’ISIS, metteva in guardia circa la possibilità che essi tentassero di stabilire un nuovo califfato nelle Filippine meridionali.

Il primo esito geopoliticamente rilevante scaturito da questa recrudescenza degli scontri che già in passato hanno insanguinato il sud del Paese asiatico, è stata la firma di importanti documenti di cooperazione con la Russia. Questi includono commercio, energia nucleare, investimenti, industria, trasporti, turismo e ovviamente anche la difesa.

Proprio nel settore della difesa, le Filippine hanno sottolineato il forte bisogno di acquistare nuovi e più efficaci armamenti per meglio far fronte alla minaccia dell’islamismo. La questione era già divenuta pressante dopo lo stop imposto da Washington alla vendita di circa 27.000 fucili all’esercito filippino; decisione motivata dalle presunte violazioni dei diritti umani verificatesi nel Paese sotto la presidenza di Duderte.

Il Ministro degli affari esteri filippino Alan P. Cayetano, parlando con la stampa, ha affermato che, pur non potendo discuterne i dettagli, gli armamenti promessi dai russi consentiranno alle forze di sicurezza di affrontare validamente la minaccia terroristica, limitando al minimo il coinvolgimento di civili.

Intanto i combattimenti a Marawi continuano con attacchi portati chirurgicamente da forze dell’esercito filippino infiltratesi in città martedì scorso, mentre i miliziani islamisti tengono la posizione facendosi scudo con alcuni civili presi in ostaggio.

(di Lorenzo Tubani)