Il guerriero longobardo: il più feroce dei barbari

Il guerriero longobardo: il più feroce dei barbari

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Nella tradizione etnografica romana vi era un popolo, fra la moltitudine di barbari che si addossava sul confine dell’Impero, famoso per essere il più feroce di tutti: la gens dei Longobardi. Paolo Diacono, autore della Historia Langobardorum (la più ampia fonte che abbiamo per conoscere questo popolo), ci racconta che i Longobardi provengono dall’estremo nord, da una regione chiamata Scania, in Scandinavia. Nemmeno Diacono sembra credere molto a questa ipotesi, facendo riferimento ad un testo, l’Origo gentis Langobardorum, che venne scritto come prologo alle leggi di re Rotari nel 643, e raccontava di eventi avvenuti secoli prima.

Il guerriero longobardo: il più feroce dei barbari

Sebbene le prove che i Longobardi provenissero dalla Scandinavia meridionale non siano convincenti, sappiamo per certo, grazie alle prove archeologiche, che questo popolo dal bacino dell’Elba affrontò una lunga migrazione che infine lo portò ai confini dell’Italia, nella Pannonia romana – oggi divisa fra Austria, Ungheria e Slovenia-. Il racconto della migrazione è, dal punto di vista storico, molto interessante; se infatti non è una prova scientifica, ricorda sicuramente degli avvenimenti che forgiarono la società e la composizione della confederazione di popoli barbari che si riconoscevano come Longobardi. Non solo, la grande abilità in battaglia di questo popolo, famosa persino ai Romani, era dovuta al fatto che lo scarso numero dei Longobardi, confrontato alla moltitudine dei popoli vicini, li portò a sopperire con una terribile ferocia.

Popolo dalle grandi tradizioni guerriere, i Longobardi quando arrivarono a contatto diretto con l’Impero Romano riconobbero non solo un re, cosa non del tutto scontata, che li avrebbe condotti in guerra e che avrebbe gestito la diplomazia con Costantinopoli, ma forgiarono una vera e propria coscienza di popolo. Quando, sotto re Alboino nel 568, i Longobardi invasero la penisola non erano composti da un’unica etnia di origine germanica, bensì da una congregazione di popoli tutti riconosciuti come longobardi: vi erano Eruli e Gepidi, Avari e Bulgari, Rugi e Romani, nonché disertori dell’esercito imperiale. Alleati di Alboino vi erano anche 20.000 Sassoni. La lunga marcia verso l’Italia aveva portato i Longobardi in contatto con numerosi popoli diversi, tra cui gli Avari, popolo nomade delle steppe che tanto influenzò le loro caratteristiche belliche.

Il guerriero longobardo: il più feroce dei barbari

Primaria importanza assumerà infatti nella società longobarda il cavallo. Prova ne sono le leggi scritte che ne tutelano la salvaguardia e la proprietà. Caratteristica militare delle popolazioni germaniche del nord-ovest, (Franchi, Alamanni, Sassoni), era quella di combattere prevalentemente a piedi, come fanteria. Mentre popoli come i Goti (Ostrogoti e Visigoti), e i Vandali, nonché gli Alani erano invece da sempre a contatto con i cavalieri nomadi delle steppe russe, da cui avevano appreso l’importanza della cavalleria. Che i Longobardi combattessero prevalentemente come cavalleria, nel periodo della migrazione in Italia, è un dibattito ancora aperto fra gli esperti Italiani e non; sicuramente l’importanza del cavallo e della cavalleria non era indifferente, ma le armi ritrovate non sembrano avere le caratteristiche adatte per uno scontro fra cavalieri (sono infatti troppo leggere).

Il guerriero longobardo: il più feroce dei barbari

Nella società longobarda essere uomini liberi voleva dire essere guerrieri. Anzi, la capacità di portare armi e di combattere era la prima e più importante virtù nonché dovere per gli arimanni, gli uomini liberi. L’esercito longobardo non era omogeneo, come quello Romano che si troverà ad affrontare per lungo tempo, ma non per questo inferiore (anche se affetto da una grande indisciplina). L’armamento nel periodo della migrazione dipendeva dalle capacità di ogni uomo. I nobili erano armati con armature lamellari, molto comuni fra le popolazioni barbariche del periodo e composte da numerose lamelle di ferro, o cuoio, cucite le une alle altre. Queste arrivavano a coprire il busto e la schiena, difendendo anche le cosce. Vi era poi lo scudo di legno, rotondo e molto grande, con un umbone di ferro al centro, usato anche come arma nel muro di scudi. La spatha germanica, immancabile strumento di morte per i guerrieri più esperti e nobili era appannaggio appunto solo della nobiltà, mentre la maggior parte dei guerrieri doveva usare le lance, (arma sacra a Godan, Odino, il dio dei Longobardi ancora pagani), o asce ed accette. Sempre chi poteva permetterselo utilizzava anche l’elmo, del tipo Spangenhelm, con un nasale che poteva essere anche riccamente decorato. Tipico del popolo dei Longobardi era l’uso di un coltello ad una sola lama, il famoso scramasax, che nel tempo si allungò sempre di più (a significare probabilmente un suo maggiore utilizzo fra la cavalleria).

Il guerriero longobardo: il più feroce dei barbari

In verità sarebbe stato normalissimo incontrare anche Longobardi armati come soldati romani: infatti non solo furono per cinquant’anni federati dell’impero, per cui combatteranno molte guerre, ma il saccheggio dei cadaveri e il riutilizzo delle armature nemiche era una pratica comune. Paolo Diacono ricorda anche la presenza, fra i Longobardi, dei temuti cinocefali: le teste di cane, che possiamo identificare benissimo nei temuti berserker di origine norreno-germanica. I Longobardi entrarono nella penisola italiana sotto il comando di Alboino, re leggendario e grande guerriero, segnando un periodo di storia della nostra penisola che la tradizione storiografica latinista ha sempre cercato di ignorare o addirittura nascondere, ma che grazie ad una presa notevole presso il pubblico di appassionati ed all’attività di famosi accademici sta crescendo sempre più, uscendo dalle tenebre della storia per brillre alla luce del sole.

L’immagine in evidenza è una foto scattata presso l’evento Romans Langobardorum, pensato e organizzato dall’associazione Invicti Lupi; foto di Gioacchino Sparrone.

(di Fausto Andrea Marconi)

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