Accordo USA-Arabia Saudita, così si continua a favorire i terroristi

110 miliardi di dollari è la cifra dell’accordo di vendita di armi stipulato, da Donald Trump con l’Arabia Saudita durante il suo primo viaggio all’estero. Le recenti trattative di pace siglate ad Astana da Russia ed Iran con la mediazione della Turchia, oltre a creare vaste aree di de-conflitto, di fatto garantiscono l’integrità territoriale della Siria.

Per chi, ovviamente, è interessato alla balcanizzazione della stessa al fine di annettere territori, zone cuscinetto o aree di influenza si tratta di uno scenario da incubo. Ecco, quindi, che il primo obiettivo di tale ingente vendita è sabotarle, continuando a fornire supporto logistico-militare ai “ribelli moderati”. Scelta quantomai infruttuosa ed inutile: nell’area a nord di Hama, infatti, solo nel mese di aprile, un attacco dell’esercito siriano ha praticamente distrutto le loro linee difensive e causato la morte di più di 3000 loro uomini.

Con la bonifica della sacca di al-Waer, di fatto i governativi hanno perso il controllo dell’intera città di Homs, dopo Aleppo, Daraa e i sobborghi damasceni di Qaboun e Berzeh. La guerra contro Bashar al-Assad, per i ribelli, è ormai persa e un’eventuale continuazione forzata non farebbe altro che acutizzare la sofferenza del popolo siriano, costantemente martoriato da 6 anni.

Per quanto concerne lo Stato Islamico, la situazione militare è la seguente: lo scenario a Mosul è compromesso dato che le forze speciali irachene, supportate dalle milizie sciite, continuano ad avanzare sul fronte occidentale. Stesso medesimo copione a Deir-el-Zor, dove raid aerei russo-siriani hanno colpito diverse sue postazioni permettendo alla 104 Guardia Repubblicana del Generale Issam Zahreddine di avanzare.

Appare chiaro, quindi, come il secondo effetto dell’accordo sia quello di permettere ai jihadisti di riorganizzarsi militarmente e di rifiatare, essendo Casa Saud loro diretta sostenitrice e genitrice. Gli USA hanno garantito indirettamente altri anni di terrorismo salafito-wahhabita nella regione. Un capolavoro, non c’è che dire.

Il conflitto in Yemen risulta essere pesante per le riserve belliche saudite. Gli Houthi, miliziani sciiti supportati dall’Iran, occupano la catena montuosa del Najran, rendendo impossibile all’Arabia Saudita il controllo militare di una porzione di territorio grande come l’Italia. Inoltre, dall’anno scorso, sono presenti stabilmente nel territorio del Regno, precisamente nella base militare di Sang, nella provincia di Jazan.

Ad un passo dal collasso, sola e abbandonata – l’Egitto di al-Sisi, dato il supporto ai Fratelli Musulmani, ha rotto l’alleanza – ecco che l’accordo stipulato con Donald Trump permetterà a Riad di allentare la pressione sul suo territorio da un lato, e dall’altro di continuare a perpetrare un autentico genocidio data l’incapacità della coalizione a guida saudita di bombardare obiettivi militari.

Dal 2014, l’aviazione , incapace di bombardare postazioni militari, si è resa responsabile di utilizzo di bombe a grappolo, di 10.000 morti civili e di oltre tre milioni di sfollati nel Paese. Il tutto, ovviamente, con il silenzio del mainstream occidentale, impegnato ormai ad alimentare supinamente quella narrativa che, da 26 anni a questa parte, rappresenta la spina dorsale giustificazionista dell’imperialismo e dell’unipolarismo egemonico a stelle e strisce. Non ultimi, i “forni crematori” di Bashar al-Assad a Saydnaya.

(di Davide Pellegrino)