Yuri Guaiana, altra Fake News in salsa russofoba

Quello di Yuri Guaiana, una delle tante braccia rubate alla vecchia e gloriosa acciaieria sovietica, è, fondamentalmente, un caso che non esiste. Tanto per cominciare, a differenza dell’amico dei “ribelli moderati”, Gabriele Del Grande, e il cocco di Yale, Alexei Navalny, non è stato arrestato ma solamente fermato per controlli di routine del visto e dei documenti e immediatamente lasciato andare.

Pressoché ordinaria burocrazia quando, in un Paese estero, pretendi con arroganza e presunzione di entrare in un edificio della Pubblica Amministrazione, in questo caso la Procura Generale, location leggermente differente da quelle turistiche quali la Piazza Rossa e la Cattedrale di San Basilio. Il suo ergerlo a martire dei “diritti dei gay” è, quindi, una strumentalizzazione bella e buona atta ad alimentare la propaganda russofoba a vantaggio dei suoi burattinai, in questo caso la Open Russia, una ONG legata ai soliti “filantropi” e fondata da Mikhail Khodorkovsky, ex oligarca padrone della Yukos nonché epico saccheggiatore dei beni statali ai tempi di Boris Eltsin e per questo condannato nel 2003 e nel 2010 per frode fiscale, riciclaggio di denaro sporco e appropriazione indebita.

Insieme a Anna Politkovskaja, cittadina USA e attiva sostenitrice di Yabloko, partito finanziato dalla NED (National Endowment for Democracy, ramificazione CIA per destabilizzare dall’interno i Paesi non allineati agli interessi occidentali) e Dmitry Muratov, oligarca riciclatosi nell’editoria, proprietario di Novaja Gazeta e storico accumulatore di ricchezza durante la crisi finanziaria del 1998, rappresenta una delle tante “anime belle” del fronte anti-putiniano coccolato dall’Occidente.

Per dovere di cronaca, a Mosca, così come a Kazan, i locali gay abbondano, e vi si possono trovare tranquillamente personaggi del calibro di Boris Moiseev (amatissimo) o lo stilista Sergey Zverev trascorrere in pace le loro serate e divertirsi. Chissà se tali attività le potrebbero fare nella tollerante Arabia Saudita, nell’arcobalenato Qatar, nell’emancipato Bahrein o nel cosmopolita Kuwait, dove soggetti della risma di Yuri Guaiana – alla fine utili idioti dell’imperialismo – ben si salvaguardano dal dover andare a protestare.

(di Davide Pellegrino)