Fra magia e religione: le rune e il loro utilizzo

« Rune tu troverai
lettere chiare,
lettere grandi,
lettere possenti,
che dipinse il terribile vate,
che crearono i supremi numi,
che incise Hroftr degli dèi. »

Ancora oggi sono molti i contesti in cui si fa ampiamente uso di rune (scandinave, soprattutto). Si tratta principalmente di ambienti musicali o politici, dove la fascinazione per il mondo germanico e per il paganesimo norreno hanno tutt’ora ampia presa. Purtroppo però nella maggior parte dei casi queste rune vengono ostentate senza una reale conoscenza delle stesse, seguendo più che altro un immaginario spesso distorto e mitizzato del complesso universo scandinavo.

Innanzitutto va detto che l’alfabeto runico era l’antico alfabeto usato dalle popolazioni germaniche nord-occidentali e che probabilmente entrò in uso verso il I secolo (sebbene la questione sia ancora molto dibattuta). Il Fuþark antico, ovvero la più arcaica forma di alfabeto runico conosciuto, era composto da 24 rune, solitamente suddiviso in 3 gruppi (detti aett) di 8 rune ciascuno. Da questo, in epoche più recenti, sarebbero poi derivati anche il Fuþark recente e l’anglosassone antico. E’ il Fuþark recente, composto da sole 16 rune, a rappresentare il cuore dell’antica lingua norrena. Viene infatti anche chiamato, per semplicità, alfabeto runico scandinavo.

L’alfabeto scandinavo, a partire dal IX secolo, ci ha lasciato un’enorme quantità di esempi di iscrizioni, soprattutto sopra le cosidette pietre runiche. Era infatti un alfabeto diffuso e conosciuto, usato nella quotidianità e in un’epoca già ormai parzialmente cristianizzata. Sono oltre 6000 le pietre runiche giunte fino a noi. La maggior parte di queste sono state trovate, ovviamente, in Scandinavia, sebbene non manchino casi di ritrovamenti in Inghilterra, Scozia, Europa continentale e Mar Baltico. Un’incisione runica si può addirittura leggere sul fianco del Leone del Pireo nell’Arsenale di Venezia. A incidere quelle rune furono dei mercenari scandinavi durante il XI secolo.

A differenza di quello recente, il Fuþark antico ha invece lasciato ben poche tracce. Le rune, nella prima età germanica, erano infatti conosciute solamente da una ristretta elite di letterati e sacerdoti. Erano in pochi a conoscerle, e ancora di meno a usarle. Questo perchè le rune, per i popoli germanici, non avevano solamente la funzione di alfabeto segnico; esse avevano in sé anche un forte potere magico, misterico e religioso. Venivano usate con estrema attenzione e solo da coloro che ne conoscevano profodamente il significato. E’ stato Odino a “scoprire” il potere delle rune e a farlo conoscere agli uomini. Odino che, non a caso, è il dio che tutela la magia e la saggezza più profonda.

Il Padre degli Dei è quindi il primo maestro delle rune (Erilaz) e il primo a saperle usare. Ma pure per Odino la conoscenza del mondo runico non è una passeggiata. Il dio, per apprendere l’arte delle rune, deve sottoporsi a un sacrificio, soffrendo e rischiando di morire. Nell’Havamal è descritto come Odino sia stato costretto a rimanere appeso per nove giorni e nove notti all’albero cosmico Ygdrassil per ottenere tale conoscenza.

Le rune, nella loro accezione magica e religiosa, non erano usate a caso, o alla leggera. I germani e gli antichi scandinavi tracciavano questi segni in complessi rituali, spesso per lanciare maledizioni mortali o per proteggersi nell’imminenza di una battaglia. Un esempio è il Nidstang; si trattava di un palo di legno alto circa 3 m, sulla sommità del quale veniva solitamente inchiodato un teschio di cavallo. Il tronco veniva poi interrato, lasciando che il cranio del cavallo “guardasse” verso l’abitazione della persona che si voleva maledire. Prima di fare questo però, sul palo venivano incise delle rune di maledizione, principalmente la runa Thurisaz (ᚦ) e la runa Isaz (I). Il cavallo, inoltre, simboleggiava la runa Ehwaz (ᛖ) ed era uno degli animali sacri a Odino, patrono della magia runica. Tramite il Nidstang si lanciava una maledizione molto potente contro il proprio nemico, portandogli sventura e spesso la morte.

E qui veniamo al tasto dolente anticipato all’inizio. Capita infatti spesso di vedere persone indossare, utilizzare od ostentare rune senza conoscerne il vero significato. Spesso portando addosso rune o sequenze di rune che per gli antichi germani simboleggiavano morte o sventura. Capita anche, e in casi ancora più frequenti, di trovare rune accostate a significati che non appartengono loro. E che spesso sono l’esatto opposto di come erano in verità utilizzate. Un esempio è la runa Teiwaz/Tyr (ᛏ), una delle più conosciute e utilizzate (anche in ambito politico). Capita molto spesso di trovarla usata come runa della vita, dell’amore o portafortuna. Ma la runa Teiwaz è la runa del dio Tyr, signore della guerra e in tal senso va interpretata. I guerrieri vichinghi incidevano la ᛏ sui propri scudi o sulle proprie armi prima di andare in battaglia, per propiziarsi l’aiuto della divinità. Non è una runa della fortuna, ma una runa di guerra e di battaglia. Una runa violenta, potremmo dire. Casi analoghi li possiamo trovare anche in altri casi, come con la Algiz (ᛉ ) o la Odal (ᛟ ). Tutte rune che vengono indistintamente identificate come portafortuna o simboli di vita, ma che in verità avevano significati ben precisi. E che, in certi contesti, possono assumere valenze nefaste o negative.

Il discorso si potrebbe estendere anche oltre le rune, fino ad arrivare al Mjölnir, il Martello di Thor. Tutt’ora diffusissimo come ciondolo o pendente, sono ben pochi quelli che ne conoscono il reale significato. In determinati contesti, ad esempio, è credenza che il Martello di Thor possa portare a una morte violenta e in giovane età. Con questo non voglio assolutamente dire che le rune non vadano usate, o che il Mjölnir non debba essere utilizzato. Si tratta però di simboli che hanno una forte valenza religiosa e magica. Bisogna quindi trattarli con attenzione, senza superficialità e cercando sempre di informarsi sul loro significato e utilizzo. Se non credete al loro potere spirituale tanto vale fare a meno di usarli, se invece ci credete ritengo sia nel vostro interesse utilizzarli nella maniera più giusta e corretta possibile.

(di Andrea Tabacchini)