La Madre Russia, un ponte tra oriente e occidente

Un giorno Joseph Rudyard Kipling scrisse: “l’Oriente è l’Oriente, e l’Occidente è l’Occidente, e i due non si incontreranno mai”. Se è vero che, al giorno d’oggi, tali entità siano due mondi nettamente distinti e, per molti aspetti, in contrapposizione, non è affatto vera la seconda parte di questa affermazione.

Innanzitutto, partiamo con l’illustrare la nostra premessa, ossia che Oriente e Occidente in principio non erano due mondi separati, ma, al contrario, costituivano un’unità originaria. Basti pensare all’ancestrale popolo indoeuropeo, che si diffuse dall’Europa all’India, passando per la Persia. Ma non è solo un legame di sangue che univa l’Occidente all’Oriente (legame che poi si è affievolito, a causa delle inevitabili mescolanze etnico-razziali a cui sono andati incontro i diversi popoli indoeuropei in Oriente), ma anche, e soprattutto, una precisa visione del mondo, una Tradizione comune.

Precisiamo subito, per i lettori meno avvezzi a questo dominio, che alla parola “Tradizione” non attribuiamo i comuni significati, che riconducono all’insieme degli usi, costumi e culti di un popolo e tutto ciò che può essere ricondotto ad un pittoresco e mistificato folklore, ma la intendiamo nel suo senso più alto: l’insieme delle verità ancestrali rivelate e tramandate di generazione in generazione; tali verità concernono il rapporto con il divino e l’ordine politico che va costruito verticalmente in funzione del divino. Si potrebbe scrivere un libro sulla Tradizione primordiale che accomunava l’Oriente con l’Occidente, nonché popoli molto diversi tra di loro (ed è già stato fatto da René Guénon nel suo libro “Il Re del Mondo”), noi non possiamo fare altro che citare pochi esempi, prendendo l’esistenza di questa Tradizione primordiale quasi come un assioma.

Un esempio molto potente è costituito dall’evidente analogia che sussiste tra la strutturazione della società tradizionale indiana e quella dei primi popoli indoeuropei. Entrambe hanno una struttura tripartita fortemente gerarchica e indirizzata verso l’alto: al vertice troviamo i brahmani (la casta sacerdotale che aveva il compito di tramandare il sapere tradizionale, un ruolo analogo era svolto, in particolare nei Celti, un popolo indoeuropeo, dai druidi), in mezzo gli kshatriya (la casta nobile e guerriera), in basso i vaisya (i mercanti e gli artigiani), senza considerare quella che sarebbe l’ultima casta, quella dei servi (shudra).

Una tale tripartizione, del resto, si può trovare anche in epoca medievale, ed è quella che descrive Adalberone di Laon, che divide la società nelle medesime categorie dando loro la medesima gerarchia: oratores, bellatores, laboratores.

E’ interessante notare come tale ordine sia stato sovvertito e pressoché ribaltato nella società moderna, dove la casta degli artigiani e dei mercanti (cioè i capitalisti e i banchieri) sta al vertice, i soldati stanno al loro servizio combattendo le loro guerre e facendo il lavoro sporco, mentre gli oratores sono relegati ad un ruolo insignificante, per non dire inesistente. Gli schiavi invece hanno mantenuto la loro posizione, e non sono altro che tutti i lavoratori sfruttati dai laboratores. Tutto ciò a dimostrazione di come la società moderna sia una società in tutto e per tutto anti-tradizionale.

Un altro esempio è costituito dalla comune concezione ciclica e periodica del tempo. Il guru induista Sri Yukteswar, vissuto a cavallo del XIX e XX secolo, spiega nella sua “Scienza sacra” come il tempo sia concepito come un ciclo (Mahayuga) composto da quattro ere che hanno un corso sempre degenerativo (una concezione simile si ritrova nel cosiddetto “mundus senescens” proprio del cristianesimo medievale): il Satya Yuga, il Treta Yuga, il Dvapara Yuga, e, infine, la più corrotta, il Kali Yuga, un’era oscura dominata dall’ignoranza, dal materialismo e dall’assenza di spiritualità, l’era in cui viviamo oggi.

Ma la stessa concezione del tempo la troviamo nella Teogonia di Esiodo, che suddivide il ciclo nell’età dell’oro, dell’argento, del bronzo, del ferro. Ciò a testimonianza di come la Tradizione occidentale fosse in origine un’unità con quella orientale.

Altre prove di un’unità originaria tra tradizione orientale ed occidentale possono essere ritrovate nelle numerose analogie tra i miti e le leggende. Possiamo citare, ad esempio, l’idea di un cataclisma, il diluvio universale, che segnò la fine dell’età dell’oro (tale racconto è ricorrente tra i popoli semiti, ma si trova anche nella mitologia greca, in quella indiana, e persino in quella cinese, la quale spiega con precisione che, in seguito a questo cataclisma, il popolo che abitava la Terra nell’età dell’oro, gli Iperborei, furono costretti a disperdersi migrando per tutto il pianeta).

Un altro avvenimento che viene ricordato in tutte le tradizioni è l’allusione a un qualcosa che, a partire da una certa epoca, sarebbe andato perduto o nascosto: il Graal per i Cristiani, il Soma per gli Indù, o lo Haoma per i Persiani. Altrove, tale simbolismo è diverso: presso gli Ebrei, ciò che è andato perduto è la pronuncia del gran Nome divino YHWH. L’idea fondamentale di tutti questi simbolismi, ad ogni modo, è la perdita del profondo legame che univa l’uomo con il divino, e la caduta del primo dall’età dell’oro.

Assodata quindi l’unità originaria tra Oriente e Occidente, constatiamo anche che, oggi, queste due entità siano mondi completamente distinti e separati. Tale spaccatura iniziò a delinearsi sul piano epistemologico e culturale con la rivoluzione scientifica nel ‘600, e, in seguito, con l’illuminismo, sino a giungere alla recisione di ogni legame con la rivoluzione francese. E non è un caso, quindi, che gli Europei abbiano iniziato a colonizzare in maniera massiccia l’Oriente solo nel XIX secolo, in seguito al diffondersi della cultura positivistica, e l’affermarsi degli idoli del progresso e della scienza.

In effetti, si potrebbe anche pensare che la colonizzazione dell’Oriente da parte degli Occidentali sia una chiara dimostrazione della superiorità della civiltà occidentale su quella orientale. Ma tale superiorità, se sussiste, è solamente sul piano materiale, ossia uno dei parametri più infimi per giudicare la grandezza di una civiltà. La verità è che l’Occidente ha pagato un carissimo prezzo per il suo sviluppo materiale: la perdita di qualsiasi valore spirituale e di qualsiasi legame con il sapere tradizionale.

Al loro posto, nell’Occidente si è affermata la scienza, ciò che gli Orientali definirebbero “scienza profana”, un “sapere ignorante”. La scienza, come è concepita oggi, è esclusivamente lo studio dei fenomeni del mondo sensibile, uno studio che non può in alcun modo essere collegato a nessun principio di ordine superiore; decisa ad ignorare tutto ciò che la supera, è vero che la scienza si rende indipendente nel suo ambito, ma tale indipendenza di cui fa vanto è solo il risultato della sua stessa limitazione.

Essa, infatti, giunge addirittura a negare ciò che non può conoscere, perché è l’unico modo per non ammettere la propria ignoranza. La scienza moderna procede in un modo analitico, tendendo a dividersi in più ambiti e specializzazioni (si veda Auguste Comte, uno dei primi teorici della scienza), perdendo di vista il principio unitario, rendendosi quindi utile solo per un progresso materiale fine a se stesso, che non soddisfa i bisogni dell’umanità, ma, anzi, ne crea sempre di nuovi.

La frattura tra Oriente e Occidente si manifesta, del resto, anche nella filosofia occidentale moderna, a partire da Cartesio e dal razionalismo, per finire nell’angoscia dell’esistenzialismo e nella frattura non solo tra il mondo metafisico e la coscienza individuale del kantismo, ma anche, in seguito, a partire da Freud e dalla psicanalisi, della coscienza individuale stessa, sancendo l’impossibilità di qualsiasi tipo di conoscenza e sfociando nel puro relativismo.

Non ci dilunghiamo oltre nell’analisi della frattura filosofica tra Oriente e Occidente, forse in futuro scriveremo un articolo apposito. Il sunto semplificativo della frattura tra Oriente e Occidente consiste, comunque, nella deviazione dal sentiero della Tradizione intrapresa dall’Occidente, che è sfociato nel materialismo della modernità, con le sue illusioni che hanno prodotto il fallimento delle idee che stanno alla base dell’Occidente, gli idoli di una religione laica.

Qual è quindi lo scopo di questa disamina? Non si tratta di imporre all’Occidente una tradizione orientale, bensì di restaurare una civiltà occidentale con l’aiuto dell’Oriente. E il luogo dove esistono le condizioni grazie alle quali ciò può avvenire è la Russia, che non a caso si estende geograficamente sia in Oriente sia in Occidente, costituendo da sempre un crocevia per l’incontro tra le due civiltà.

In effetti, la Russia sembra ancora immune dalle infezioni della modernità che patisce l’Occidente, e non è un caso che agli inizi del XX secolo, mentre tutti i paesi occidentali erano già industrializzati, la Russia fosse ancora quasi allo stato feudale, in larga parte rurale e contadino. Questo dimostra che la mentalità russa è analoga a quella degli Orientali: un disinteresse generale per il progresso materiale e, se tale interesse sussiste, è solo unicamente mirato allo scopo di competere con l’Occidente sul piano politico e militare, sfruttando jungerianamente lo sviluppo della tecnica moderna per una mobilitazione contro il liberalismo occidentale, questo fu il motivo che indusse l’URSS a perseguire una rapida industrializzazione.

D’altro canto, si potrebbe ribattere che la Russia fu vittima del bolscevismo marxista, un’ideologia anti-tradizionale, positivistica e materialistica, che deve la sua genesi alla stessa civiltà occidentale che abbiamo finora criticato. La realtà è che, sotto il cappello del materialismo storico, le tradizioni continuarono a vivere: si pensi che oggi l’ortodossia in Russia è in forte ripresa, mentre nell’Europa occidentale la secolarizzazione ha intaccato pesantemente l’aspetto religioso ben peggio di qualunque ateismo di stato.

Proprio per l’aver dimostrato, nel corso dei secoli, di possedere integrati gli anticorpi contro le più devastanti infezioni della modernità occidentale, è lecito, oggi, riporre le speranze per una rivoluzione conservatrice che investa l’Occidente a partire dalla Russia, proprio ora che ci sembra di essere piombati in una nuova Guerra Fredda.

(di Riccardo Calabretta)