Tra le tante vicende della Repubblica Sociale Italiana che la storiografia ufficiale ha tenuto nascoste per 72 anni sono comprese, indubbiamente, quelle di Giuseppe Solaro, protagonista di una carriera politica conclusasi con il suo martirio, il 28 aprile 1945 a Torino. Nei suoi appena 31 anni di vita, analogamente a Berto Ricci, Italo Balbo e Alessandro Pavolini, ha rappresentato perfettamente la reincarnazione del fascista puro; membro dei GUF, volontario nella guerra civile spagnola al fianco dei nazionalisti nel 1936, sensibile alla cultura e grande appassionato di questioni economiche.
Il punto cardine è qui; durante gli anni saloini – nei quali fu l’unico federale ad avere il permesso di incontrare Benito Mussolini senza preavviso alcuno – si fa portavoce delle rivendicazioni operaie interne alla FIAT, criticando l’atteggiamento doppiogiochista di quest’ultima nei confronti degli Alleati e dei comandi tedeschi che bloccavano ogni iniziativa di socializzazione e, soprattutto, la mentalità capitalista. Auspicando un’elevazione del lavoro a strumento regolatore dell’attività economica anziché di sovrintendenza nella redazione dei rapporti tra i vari soggetti giuridici e una partecipazione attiva del lavoratore ad ogni attività interne ed esterne all’azienda secondo i principi della Terza Via corporativa – equidistanza dal liberismo alto-borghese e dal garantismo socialdemocratico -, Giuseppe Solaro parla di sovranità monetaria in relazione ai rapporti tra gli Stati europei, definendola come sola e unica deterrente all’instaurazione di una tecnocrazia finanziaria. Un pensiero sociologico che, analogamente a quello di Jürgen Habermas, è di una attualità disarmante alla luce delle condizioni in cui versa – anzi, ha sempre versato – l’Unione Europea, ridottasi ad un crogiolo di interessi burocratici e finanziari fallimentare su ogni ogni terreno, dalla Brexit, all’immigrazione, alle minacce agli Stati membri che ne hanno prodotto il default economico (leggasi Grecia).
Per un’Europa solidale, Giuseppe Solaro sostiene che non ci debbano essere i cosiddetti “ruminanti della ricchezza”, poiché la loro esistenza contribuirebbe alla formazione di esagerati patrimoni e alla povertà permanente, la quale sarebbe la vergogna del sistema liberale. I fascisti, quindi, come lui sostiene, devono essere i protagonisti, per impedirla e creare una lotta serrata contro ogni tipo di sfruttamento. Un parallelismo, per i più attenti, con i cosiddetti “partiti populisti” come il Front National di Marine Le Pen o l’UKIP di Nigel Farage, definiti tali dal mainstream al fine di squalificarli tout-court agli occhi dell’opinione pubblica e mantenere lo status quo dell’Europa quale realtà globalizzata e, per quanto concerne la politica estera, vassalla all’ovile atlantista. In “La Riscossa” n. 41 del 12 ottobre 1944, scriveva; “I veri ribelli siamo noi. Ribelli contro un mondo vecchio di egoisti, privilegiati, conservatori, capitalisti oppressori, di falliti sistemi, di falsi e bugiardi. Ribelli contro un mondo di ingiustizia. Ribelli in nome della santa causa, di una giusta società e ordinata, di rispetto del lavoro e della dignità nazionale, di amor di Patria e del senso familiare.” Un testamento ideale che ogni attore politico o semplice cittadino contrario al globalismo bi-partisan e al mondialismo apolide dovrebbe fare suo, gelosamente.
(di Davide Pellegrino)